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cd

  • Pierluigi Balducci – “Stupor mundi” – Dodicilune Dischi Ed250
  • Massimo Barbiero, Maurizio Brunod, Alexander Balanescu, Claudio Cojaniz – “Marmaduke” – Splasch Records CDH 2524.2
  • Claudio Fasoli – “Venice Inside” – Blue Serge 019
  • Roberta Gambarini , Andrea Donati – “Under Ityalian Skies” – 2 CD – Kind of Blue 10033
  • Emilio Merone, Luca Nostro, Scott Colley, Antonio Sanchez – “SYS2 QUARTET “ELEMENT” – 008.2 Saint Louis Jazz collection
  • Pippo Matino – “Joe Zawinul tribute” – Wide Sound – WD 179
  • Marc Sinan – “Fasil” – ECM 2076
  • Vassilis Tsabropoulos – “The Promise” – ECM 2081
  • Nils Økland – “Monograph” – ECM 2069

Pierluigi Balducci – “Stupor mundi” – Dodicilune Dischi Ed250
Si fatica a collocare nel solo ambito squisitamente jazzistico questo “Stupor mundi”. E’ musica di ampio respiro, ne’ si puo’ parlare di contaminazioni, perche’ piuttosto siamo di fronte ad una curatissima sintesi di suggestioni diverse, molto raffinata e allo stesso tempo pero’ priva di bizantinismi. Gia’ la scelta strumentale e’ ricercata: un quartetto d’ archi, un accordion, la chitarra elettrica, il basso (elettrico ed acustico) e percussioni e batteria rappresentano realta’ musicali di per se differenti. Ma nei preziosi arrangiamenti colpisce la versatilita’ reciproca dei ruoli di ogni singolo strumento della compagine. Se gli archi da un’ introduzione contrappuntistica si aprono alla sonorita’ slava in “Woland’s polka”, l’ accordion assume un fraseggio quasi violinistico perfettamente intonato ma non scontato. L’ accordion nel piccolo tango “Deviens ce que tu es” e’ solidamente legato al quel mondo sonoro, dal ritmo inequivocabile ma dall’ armonizzazione complessa, resa pero’ solidamente intellegibile dal basso e dalla chitarra che non fanno perdere il filo melodico. In una frase si potrebbe che c’e’ un po’ di mondo musicale in questo lavoro, che ha una sua certa ambiziosa bellezza, e che parte dalla musica colta europea, passa per l’ Europa dell’ est e persino per talune danze mediterranee ed arabe ( basti ascoltare attentamente “Mirrors”) . E’ un estro, quello di Balducci e dei suoi musicisti (tutti molto bravi) che e’ compositivo piu’ che improvvisativo, e consiste nel far dialogare attraverso la musica scritta questi differenti mondi sonori non solo facendoli incontrare e mescolandoli, ma piuttosto costringendo ognuno di essi a disegnare tutti i colori e i sapori musicali possibili del proprio strumento, anche nell’ interazione reciproca. E l’ interazione reciproca e la versatilita’ non sono, forse, aspetti fondamentali del jazz? (D. F.)

Massimo Barbiero, Maurizio Brunod, Alexander Balanescu, Claudio Cojaniz – “Marmaduke” – Splasch Records CDH 2524.2
Quando la sperimentazione sonora e l’ improvvisazione libera hanno il potere evocativo a cui arriva questo splendido quartetto si rimane semplicemente incantati. Probabilmente questo accade perche’ Barbiero, Brunod, Balanescu e Cojaniz hanno il dono prezioso dell’ espressivita’, che anche in momenti completamente atonali li rende comprensibili da un punto di vista inconscio ed emotivo. E’ una musica di confine, la musica di Marmaduke, in cui questi quattro eccezionali musicisti interagiscono liberamente ma arricchendosi di un ascolto reciproco tale che creano uno sperimentare sanguigno, mai manieristico, e fanno viaggiare chi ascolta attraverso sensazioni di malinconia, di energia, talvolta di struggimento fino a momenti di drammatizzazione sonora vera e propria, come in “Dago suite”. Nella liberta’ c’e’ sempre un appiglio che consente di ritrovare un provvidenziale orientamento in un mare cosi’ ricco di suoni: puo’ essere il passaggio reiterato sulle note di una pentatonica del violino, puo’ essere un pastoso accordo minore del pianoforte , o un improvviso battito della batteria che richiama all’ ordine. In tutti i brani c’e’ uno scambio osmotico di suoni tra i quattro strumenti, che da’ la sensazione emozionante di assistere da una postazione nascosta allo svolgersi di un dialogo privato tra gli artisti in gioco, privato eppure cosi’ universale, perche’ la musica, quando e’ espressiva, parla con un linguaggio universale. E questo accade in “Lune#9” , in cui la batteria esalta il fraseggio del violino, e stimola le reazioni della chitarra elettrica, dando vita un flusso sonoro non privo di momenti melodici molto delicati, contrastanti con il clima armonicamente destrutturato; oppure in “Mostar”, che e’ fatta di un poetico lirismo, vibrante, tragico a tratti, che nasce da un impasto armonico di grande bellezza: il pianoforte e la chitarra disegnano l’ atmosfera sulla quale il violino ricama piccoli preziosi inserti che sanno dell’ Europa dell’ est da cui proviene, e la batteria e’ meravigliosamente intensa, poiche’ fa scorrere quel fluire di suoni invece di incasellarli in battute ritmiche predefinite. Ma anche quando gli strumenti sono solo il vibrafono e la chitarra acustica ( “Cristiana”), essi creano una melodia allo stesso tempo leggera e viva, su un alternarsi di tre unici accordi, e la sensazione e’ quella che a quel brano non serva altro, se non cio’ che gia’ contiene. E’ musica da ascoltare e riascoltare, tante volte, con attenzione, ma che non sia un’ attenzione intellettualistica, perche’ quella non e’ adatta per capirne la complicata, in quanto ricchissima…. semplicita’. (D. F.)

Fasoli claudio 1

Claudio Fasoli

Claudio Fasoli – “Venice Inside” – Blue Serge 019
Confesso che ogni qualvolta mi accingo a recensire un album di un musicista con cui sono legato da vincoli di una certa amicizia mi trovo in qualche imbarazzo: riuscirò a non farmi condizionare dalla stima e dall’affetto che provo per l’artista in questione?
In questo caso l’imbarazzo è durato davvero poco: sono bastati pochi minuti d’ascolto per convincermi che l’atto d’amore di Claudio per la sua città va annoverato tra le realizzazioni meglio riuscite di questo eccellente sassofonista. Nato a Venezia, Fasoli aveva già dedicato diverse composizioni alla sua città ma non un intero album , lacuna brillantemente colmata con “Venice Inside”.
Ottimamente coadiuvato dai componenti il suo giovane Emerald Quartet, vale a dire Mario Zara pianoforte ,Yuri Goloubev contrabbasso e Marco Zanoli batteria, Fasoli esprime tutto l’ amore per la sua Venezia . Evidentemente sopraffatto dai ricordi,dalle emozioni vissute che – spiega Fasoli – “sono profondamente presenti dentro di me” – già nella scelta dei titoli il musicista fa esplicito riferimento ai luoghi della sua infanzia. Così ritroviamo nomi che risultano familiari a chi ben conosce questa straordinaria città: Giudecca e Rialto ,tanto per citarne solo due, ci rimandano ad immagini di una bellezza unica che musicalmente Fasoli esprime alla sua maniera, soffusamente, senza strillare, mai andando sopra le righe ma offrendo una musica intensa, ricca di sfumature, in cui la sua abilità compositiva si intreccia con la straordinaria facilità improvvisativa (si ascolti al riguardo la splendida “Aponal”).
Il suo sax soprano (preferito in questa circostanza al tenore) disegna linee dalla accentuata cantabilità sorrette da una ricchezza armonica che abbiamo imparato a considerare uno degli elementi caratterizzanti lo stile del sassofonista. Il tutto alla costante ricerca di una efficace sintesi che leghi in qualche modo il jazz di oggi alla grande musica europea, nel tentativo, perfettamente riuscito, di affrancarsi completamente dai modelli statunitensi. (G.G.)

Roberta Gambarini , Andrea Donati – “Under Ityalian Skies” – 2 CD – Kind of Blue 10033
Roberta Gambarini viene a ben ragione considerata una delle migliori interpreti jazz del momento, particolarmente versata nel canto scat, tanto da meritarsi posizioni di prestigio nei referendum indetti tra il pubblico dei lettori sia da “Downbeat” sia da “Jazz Times” oltre alle applaudite presenze in numerosi e importanti festival internazionali; dal canto suo Andrea Donati è un contrabbassista ,compositore, arrangiatore molto stimato, tra gli altri, da Ennio Morricone mentre Alda Merini è una delle più importanti potesse italiane viventi autrice, con Donati, dei brani presenti nel primo dei due CD che compongono l’album e che sono stati registrati a Milano negli ultimi anni novanta e nuovamente missati e rimasterizzati nel 2009.
Ciò premesso i due CD sembrano piuttosto diversi, come se appartenessero a due distinti progetti. Nel primo Roberta è accompagnata , oltre che da Donati, da Marco Brioschi tromba e flicorno, Emmanuel Bex all’organo Hammond, e da una robusta sezione percussiva composta da Carlo Virzi, Federico Sanesi, Kal dos Santos e Gilson Silveira. E sono proprio le percussioni e l’organo Hammond a caratterizzare questa prima parte del lavoro in cui la Gambarini si muove con il solito swing dando, tra l’altro, una magistrale prova di scat in “12:00 A.M.”; quando il gioco percussivo si attenua, si instaura una diversa atmosfera fortemente condizionata dai testi della Merini ed allora il gioco diventa più etereo, concettuale .
Nel secondo CD Roberta è accompagnata, oltre che da Donati, Virzi e Sanesi anche dal fisarmonicista Gianni Coscia e dal sassofonista Silvio Binello; anche in questo caso Coscia riesce a dare una sua impronta alla musica rendendola più immediata e coinvolgente.
In primo piano resta, comunque la prova magistrale di Roberta che ancora una volta evidenzia il meglio di se, vale a dire l’utilizzo molto particolare della voce in un approccio spiccatamente strumentale ,un timbro particolarmente caldo e coinvolgente, un’intonazione perfetta e grandi capacità improvvisative che la portano ad affrontare con disinvoltura qualsivoglia situazione. (G.G.)

Emilio Merone, Luca Nostro, Scott Colley, Antonio Sanchez – “SYS2 QUARTET “ELEMENT” – 008.2 Saint Louis Jazz collection
Il jazz, quello elegante e suggestivo delle piccole formazioni, necessita certamente di una doverosa perizia tecnica, ma anche del successivo divincolarsi da essa, perche’ si arrivi ad un risultato “musicale” in senso stretto. A volte i giovani artisti sono tentati di dimostrare di “esserci” e di accreditarsi in questo mondo cosi’ vasto con tecnicismi – spesso simili tra loro – , che pur essendo indici di studio e dunque di bravura, vanno a discapito di quello che si suole definire interplay. Emilio Merone (pianoforte) e Luca Nostro (chitarra) sono musicisti che hanno oramai oltrepassato la fase delle “potenzialita’” e questa “ansia da prestazione” mostrano di non averla affatto, per fortuna. Con Scott Colley al basso e Antonio Sanchez alla batteria danno vita sonora a belle composizioni originali, spaziando da brani ritmici mai scontati, fluidi, densi di idee melodiche, a brani di atmosfera (vedi il concentrico “Mind Ring”, in cui il pianoforte ripete sempre la stessa cellula melodica sull’ improvvisazione di chitarra batteria e basso, e che provoca una inaspettata assuefazione, tanto che si rimane sorpresi dal suo interrompersi ); a brani che, come “Crisalide”, dopo una introduzione notevole del pianoforte solo, crescono di intensita’, arricchendosi gradualmente dell’ intervento degli altri musicisti, e dei pregevoli soli di contrabbasso e chitarra, e dello stesso pianoforte, fortemente sostenuti dalla misurata ma creativa eleganza della batteria di Sanchez.
Queste qualita’, individuali e di relazioni sonore arrivano certamente ad un risultato che non e’ solo curatissimo e (indiscutibilmente) raffinato, ma anche, come detto all’ inizio, suggestivo e mai stucchevole o musicalmente narcisistico, come a volte certo jazz sa purtroppo diventare. (D. F.)

Pippo Matino – “Joe Zawinul tribute” – Wide Sound – WD 179
Ci sono affetto, ammirazione ed energia ma nessuna traccia di piaggeria in questo bel tributo a Zawinul. La continuita’ con il grande artista e’ garantita dal chitarrista Chatterje – che nei Weather Report ha militato per oltre 10 anni (bellissime le sue incursioni vocali, oltre che la sua strepitosa chitarra elettrica), che interagisce con una formazione di ottimo livello tutta italiana. Pippo Matino ha il merito di ripercorrere le inconfondibili sonorita’ di Zawinul con ammirato rispetto ma non senza una percepibile, e ben amalgamata, esperienza propria, di intelligente rilettura di una fusion che, in quanto tale, fa trapelare anche il proprio apporto musicale ed individuale. Non siamo quindi di fronte ad una riproposizione a specchio, tutt’ altro. Gli stessi brani originali (di De Girolamo, Matino, Chatterjee, De Luise) sono costruiti innegabilmente su quel clima musicale ma hanno anche l’ energia della musica metabolizzata e non semplicemente riutilizzata. Quando un artista ha l’ esigenza di dare un tributo ad un musicista che per sua stessa ammissione lo ha profondamente influenzato, come e’ auspicabile che nella musica avvenga – perche’ la musica e’ ascolto e progressione anche attraverso le influenze reciproche – da’ anche la chiave di una lettura, aperta e non imbarazzata sui propri stilemi di partenza. E a meno che egli non sia un clone dell’ artista da cui e’ partito (e non e’ il caso di Matino) questo denota un gioioso coraggio, perche’ da quelle influenze, semplicemente, si comincia la propria personalissima strada. Il risultato e’ un cd bello, piacevole, sorridente, non nostalgico, anche per il notevolissimo apporto di musicisti come Cisi, De Girolamo, Romano, De Luise, e della bella voce di Silvia Barba, che ognuno con la sua ben definita personalita’ accarezzano e rievocano Zawinul senza darne pero’ una scialba ma verosimile riproduzione. (Daniela Floris)

Marc Sinan – “Fasil” – ECM 2076
Ecco un ulteriore “nuovo acquisto” della prestigiosa etichetta tedesca: si tratta di Marc Sinan, straordinario chitarrista di madre turco-armena e di padre tedesco che si presenta alla testa di un quartetto comprendente la vocalist Yelena Kuljc, la pianista Julia HÜlsmann, il contrabbassista Marc Muelbauer, il percussionista Heinrich Köbberling e Lena Thies alla viola. “Fasil” è basato su un’idea del chitarrista e di Marc Schiffer, autore dei testi, e ci parla della vita Aisha, il grande amore e la più giovane moglie di Maometto, e le improvvisazioni che si ascoltano nell’album prendono vita da frammenti di recitazione del Corano registrati dallo stesso Sinan in Turchia. Unitamente alle composizioni di Julia Hülsmann costituiscono una sorta di suite dall’indubbio fascino ed originalità. In effetti Sinan e compagni si muovono lungo direttrici tutt’altro che battute spaziando dalla musica colta all’improvvisazione più radicale in un progetto transculturale che per essere portato a giusto compimento abbisogna di forti personalità. Ed in questo album le forti personalità, per l’appunto, non mancano; Sinan è cresciuto fortemente ancorato alle sue duplici radici ed ha concepito l’idea di questo album suonando le passacaglia di Biber, Couperin, Bach e Silvius Leopold Weiss:ad un certo punto ha intravisto la possibilità di creare una musica che costituisse una sorta di ponte con la musica islamica e lo ha fatto con una buona dose di incoscienza ripagata da risultati eccellenti ; Julia HÜlsmann si è confermata pianista e compositrice di grosso spessore sapendo rispondere adeguamente alle sollecitazioni offerte dai testi di Marc Schiffer mentre Yelena Kuljić ,nel ruolo di Aisha, è stata definita dal “Frankfurter Rundschau come “la più eccitante nuova voce nel panorama jazzistico attuale.” (G.G.)

Vassilis Tsabropoulos – “The Promise” – ECM 2081
Il pianista greco Vassilis Tsabropoulos è il protagonista di quest’altro eccellente volume della ECM (il sesto) in cui presenta un repertorio composto unicamente da suoi brani. A confronto con una musica evidentemente vissuta e sofferta, Vassilis dà il meglio di sé in quel piano-solo che costituisce probabilmente la sua più significativa dimensione. L’artista può così dare sfogo alla sua inventiva senza doversi preoccupare di cercare una qualsivoglia mediazione con i suoi partners. Di qui una musica che sgorga serena, spontanea in cui l’improvvisazione non sembra giocare un ruolo di primissimo piano. In effetti gli undici bozzetti disegnati dal pianista greco evidenziano speso una sorta di fil rouge che ne lega alcuni nella costruzione di un percorso in cui l’ascoltatore si lascia condurre per mano alla scoperta di un universo musicale sicuramente non usuale. Non bisogna al riguardo, dimenticare che nell’attuale mondo del jazz Vassilis rappresenta una sorta di unicum proprio per la peculiarità della sua formazione. Pianista di impostazione classica, allievo del greco-armeno Georgii Gurdjieff (di cui ha interpretato in altri album alcune composizioni) approccia le sue fatiche discografiche con la piena consapevolezza di possedere un bagaglio che gli consente di attingere sia dalla grande musica europea sia dalla musica balcanica in un mix davvero straordinario. Se a ciò si aggiunge una tecnica sopraffina caratterizzata da tocco raffinato e suono personale un senso particolare dell’armonizzazione e soprattutto una spiccata tendenza all’essenziale si avrà un quadro preciso della musica che si può ascoltare in questo CD. (G.G.)

Nils Økland – “Monograph” – ECM 2069
Nils Økland è musicista dalle molteplici sfaccettature: violinista e compositore, maestro nello strumento nazionale norvegese, l’”Hardanger fiddle”, profondo conoscitore della musica folk ma anche della musica classica e contemporanea nonché del jazz tradizionale, ha frequentato con successo anche il terreno dell’improvvisazione avendo studiato a lungo con Biøner Andresen, bassista del gruppo di Terje Rypdal. Insomma un bagaglio di conoscenze ed esperienze che lo ha portato dapprima ad una proficua collaborazione con il pianista Christian Wallumrød (“A Year From Easter” e “Sofienberg variations” rispettivamente del 2004 e del 2001) e quindi a questo “suo” primo album ECM in splendida solitudine. Registrato nella vecchia chiesa della sua città natale, Avaldsnes nel sud ovest della Norvegia, l’album è stato curato in ogni minimo particolare soprattutto nella ricerca di quella sonorità che Nils andava cercando; “la chiesa – spiega lo stesso Økland – produce un timbro speciale, leggero e fors’anche un po’ ombroso. E’ un genere di costruzione non pesante ma solida e isolata. Audun (Audun Strype suo produttore e collaboratore da lungo tempo) sistemò i microfoni molto vicino agli strumenti di modo che il timbro distinto dell’ambiente divenne una sorta di sfondo, come una presenza che ti riporta la Norvegia di un tempo.” Ed in effetti ascoltare questo album è come rileggere buona parte di quegli elementi che oggi fanno grande la musica norvegese. E’ infine interessante notare come i brani del CD, tutti composti da Økland, risalgano a quattro cinque anni fa e siano stati originariamente scritti per ensemble più o meno larghi . La performance in solo che possiamo gustare in “Monograph” è perciò il frutto, cospicuo, di un apposito lavoro di rilettura e riscrittura che l’artista ha operato per esprimere la sua musica in modo diverso e “solitario”.

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