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Devo dire che sono stato molto in dubbio circa l'opportunità di soffermarmi su questo argomento, ma l' ennesimo episodio accaduto proprio l'altro giorno (e che non citerò per amor di patria) mi ha convinto ad intervenire.

E' fuori di dubbio, come ho più volte sottolineato, che il jazz italiano stia attraversando uno dei momenti più felici della sua storia grazie soprattutto ad una folta schiera di musicisti ottimamente preparati che sanno oramai farsi valere a livello internazionale. Artisti come Enrico , Enrico Rava, Gianluigi Trovesi, Paolo Fresu, Danilo Rea (…e di nomi se ne potrebbero fare molti altri per cui mi fermo qui) ottengono successi convincenti dinnanzi a qualsivoglia pubblico evidenziando qualità artistiche fuori del comune unitamente ad una indubbia e riconosciuta “professionalità”.

Ecco, è proprio su questo concetto che vorrei richiamare la mia e la vostra attenzione.

Nel microcosmo del jazz molti passi in avanti sono stati fatti sotto questo specifico aspetto dal momento che si è passati da un tempo in cui si andava avanti un po' alla carlona, alla realtà di oggi in cui tutto viene maggiormente studiato, approfondito, esaminato. Ed ovviamente questo discorso ha interessato tutte le componenti del jazz…per cui stona maggiormente notare come, ancora nel mondo degli uffici stampa e/o degli addetti stampa questo discorso non trovi piena rispondenza.

E consentitemi una breve digressione. Nel mondo dell'economia (altro settore in cui esplico la mia attività di giornalista) quello dell'ufficio stampa è un discorso molto ma molto delicato in quanto ci si rende perfettamente conto che proprio attraverso di esso passa l'immagine dell'azienda o ente e quindi , in ultima analisi, del successo o meno sul mercato. Di qui una serie di requisiti indispensabili per occuparsi della materia; l'addetto stampa deve, in estrema sintesi, a) conoscere non bene ma benissimo l'azienda in cui lavora e il prodotto servizio che la stessa propone; b) conoscere non bene ma benissimo il mercato con cui ci si intende relazionare; c) conoscere non bene ma benissimo i soggetti di riferimento e cioè i giornalisti; d) conoscere non bene ma benissimo le tecniche di comunicazione. Obiettivo primario è quello, come dicevo, di promuovere l'immagine dell'azienda e quindi fare in modo che i giornali ne parlino molto e in modo positivo. Occorre, quindi, veicolare la notizia nel modo più acconcio e non basta certo indire una conferenza stampa e spedire gli inviti per considerare concluso, ad esempio, il lavoro di lancio di una qualsivoglia manifestazione. Se il giornalista non viene alla conferenza è assolutamente indispensabile fargli avere egualmente la cosiddetta “cartella stampa”.

Ebbene, questi elementari principi che troverete esposti in qualsivoglia manuale di comunicazione, nel mondo del jazz non sempre trovano diritto di cittadinanza.

E a questo punto vorrei sgombrare il campo da possibili equivoci: nella città in cui opero, vale a dire Roma, le strutture più importanti quali l'Auditorium Parco della Musica e la Casa del Jazz si avvalgono di uffici stampa quanto mai efficienti e professionali.

Ma se allarghiamo l'orizzonte, allora le cose non vanno poi così bene: c'è in giro la strana convinzione per cui mentre se fai l'avvocato devi essere laureato in giurisprudenza, se fai il medico devi aver letto e studiato qualche libro, se fai l'ingegnere devi essere laureato in ingegneria, per occuparti di comunicazione nel jazz non serve molto: possibilmente una presenza gradevole e una discreta (neanche ottima) padronanza della lingua italiana (la conoscenza approfondita del jazz è un mero optional).

E il discorso riguarda un po' tutte le componenti del mondo del jazz: dalla case discografiche ai locali, dagli organizzatori di concerti ai responsabili di rassegne pure importanti…per finire ai cosiddetti giornalisti (titolo quanto mai abusato nella nostra realtà…ma questo è un altro discorso su cui prima o poi occorrerà riflettere). Spesso si affronta il compito di comunicare la realtà jazzistica con estrema superficialità, non rendendosi conto di quanto sia viceversa delicato questo ruolo. E così accade che magari devi chiamare un addetto stampa (sic) tre o quattro volte per avere del materiale che non ti arriverà mai e in tal modo si perde l'occasione di avere una segnalazione od un articolo … oppure ti senti trattato da qualche casa discografica quasi con sufficienza senza che ci si renda conto che nel rapporto etichetta-giornalista è quasi sempre la prima ad avere bisogno del secondo. Ma , per capire tutto questo e comportarsi di conseguenza, occorre possedere quella magica parolina citata nel titolo: “professionalità”.

Ma qual è l'effettivo significato di questo termine di cui oggi tanto ci si riempie la bocca? Secondo il DE MAURO per professionalità deve intendersi “capacità, competenza e serietà nell'esercitare una professione” mentre per il Vocabolario della Lingua Italiana Treccani si tratta della “qualità di chi svolge il proprio lavoro con competenza, scrupolosità e adeguata preparazione professionale”. Per dirla in altri termini è un “professionista colui che esercita la propria scienza e ne ricava autorità, si manifesta e dichiara tale, e tale viene percepito”. Non a caso per alcune professioni la legge dispone l'esistenza di un Ordine di un Albo professionale o di un collegio a cui chi vuole svolgere quella professione è tenuto a iscriversi (esempi: l'Ordine degli Ingegneri,l'Ordine degli avvocati, l'Ordine dei medici, l'Ordine dei giornalisti … guarda caso).

Ciò detto quanto dei comportamenti più sopra esposti si attaglia al concetto di professionalità così come viene comunemente inteso? Rifletteteci e datevi (o se preferite datemi) una risposta.

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