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IL MUSICISTA DI CORTE ED IL JAZZISTA

Si passano ore a tentare di capire perche’ un concerto da impeccabile stilisticamente diventi emozionante, commovente, gioioso, persino sensuale. Certamente l’ incontro tra musicisti apparentemente agli antipodi, separati da tre secoli di musica e da linguaggi sonori opposti, e’ anomalo. Un jazzista, che dell’ improvvisazione ha fatto non una semplice variazione tematica virtuosistica, ma una “composizione estemporanea”, proveniente sempre da un vissuto emozionale profondo ed un geniale musicista di corte, che compone le sue complesse sonate con una scrittura scoperta che non lascia scampo al pianista: e’ necessaria una tecnica ferrea per non tralasciare alcun passaggio di quel mirabile intreccio contrappuntistico di note. Lo stupore nasce proprio perchè composizioni concepite con quel rigore porterebbero a pensare ad una “prigionia” di chi decide di eseguirle, ad una sorta di coercizione esecutiva obbligata, volta a garantire un perfetta riproduzione degli artifizi tecnici e stilistici: e la coercizione e’ il contrario dell’ improvvisazione.

Se il pianista ha pero’ entrambe le caratteristiche (tecnica ferrea di stampo classico e mood improvvisativo), l’ incontro “anacronistico” tra i due artisti si accende di vita, dove per “vita” si intende una interazione profonda. Perché, probabilmente per indole, nell’ eseguirla il jazzista non vede la sonata come un insieme chiuso e schematico, da cominciare e finire, ma analizza anche, non certo cerebralmente, temi, intrecci e cellule melodiche che per lui hanno un senso speciale. C’e’ forse una ricerca dell’ “impulso creativo” nel suo nascere, e delle sue motivazioni, perchè un jazzista nella sua musica, improvvisando, quell’ impulso lo conosce bene e lo vive quotidianamente. Emerge l’ interesse all’ “idea musicale” di Scarlatti nell’ attimo prima di scriverla… non è forse improvvisazione, la musica, prima di diventare codice scritto?
Da questa prospettiva si riesce a comprendere perche’ Pieranunzi estrapoli e giochi con singoli episodi sonori che a quella sonata appartengono. Ma anche durante l’ esecuzione non improvvisata si coglie un interesse squisitamente emotivo verso il momento creativo scarlattiano, quel “cogliere l’ attimo” fugace, ma per lui fondamentale. Il risultato è che Scarlatti torna a vivere come uomo e musicista, sia nell’ interpretazione della sonata, sia nella parte improvvisativa: non e’ piu’ vetrificato dietro una difficile partitura, testimonianza di un passato da riprodurre. Ne nasce una musica talmente vitale ed emozionante, che i due sembrano abbracciarsi e dialogare profondamente. E’ come se, attraverso il jazzista, il musicista di corte tornasse a respirare, a parlare, a vivere.
Il risultato di questa misteriosa interazione e’ che al termine del concerto ci si arriva quasi a convincere che le sonate di Scarlatti non possano che essere interpretate da un pianista di jazz! Sempre che, come Pieranunzi, il pianista abbia alle spalle quella preparazione pianistica classica che crei i presupposti linguistici e tecnici che sono alla base dello strano dialogo tra un musicista di corte ed un jazzista.

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