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Enrico Pieranunzi

Coloro i quali, come chi vi scrive, hanno avuto la fortuna di trovarsi domenica 24 gennaio all' Auditorium san Micheletto a Lucca hanno assistito ad un fluire di musica tra due artisti cosi' libero e allo stesso tempo cosi' reciprocamente generato, che e' uscito dalla sala dopo piu' di un' ora e mezzo di concerto quasi spaesato da quanta creativita' quell'incontro ha fatto scaturire.
“Improduo” e' il nome del duo Pieranunzi / Bianchi, l' uno pianista di jazz ma non solo, l' altro pianista classico ma anch'esso non solo. I mondi musicali di appartenenza sono, se visti in maniera schematica, diversi. Ma la bellezza dell' Improduo e' proprio che al di fuori dagli schemi cio' che unisce due artisti cosi' differenti e' la musica, e come gia' detto tante volte ma mai abbastanza, la musica non ammette fili spinati, ne' confini, ne' – a meno che non sia di basso livello – schematizzazioni.

“Comporre, interpretare e improvvisare” e' il titolo del concerto. Cosi' nei momenti di improvvisazione libera, di composizione simultanea senza alcun riferimento “colto” i due artisti si attestano magari uno sul registro acuto e uno sul registro grave in un miracoloso (poiche' istintivo) perfetto bilanciamento sonoro, in cui le dissonanze sono passionali e leggere e a tratti persino drammatiche, o piene di energia vitale, per poi assottigliarsi in momenti nostalgici, in un gioco dei contrasti tutt' altro che strategico, ma testimonianza di un flusso di pensieri, di sensazioni e di ascolto dell' altro.
Poi pero' il jazzista entra nel mondo dell' interprete classico, ed insieme Enrico Pieranunzi e Massimo Giuseppe Bianchi affrontano il “carnevale di Vienna” di opera 26: l' opera scritta sfuma presto nell' improvvisazione, e la mano destra di Pieranunzi tiene strette quelle “note chiave”, quelle cellule melodiche che per sua stessa ammissione lo hanno fatto pensare a Bill Evans: Bill Evans e Schumann, in comune la musica, quella vera, e chi ascolta capisce che tutto e' possibile e tutto puo' ancora accadere. E soprattutto, sentendo anche Bianchi improvvisare su quelle liricissime note si comincia a capire che forse proprio quei piccoli gruppi melodici hanno una loro peculiarita' di significato in se stessi, che travalica i secoli, una loro natura precisa che Evans e Schumann, in quanto artisti avevano scoperto: un piccolo agglomerato di note che di per se significa qualcosa di commovente, o emozionalmente importante. Non per nulla Bianchi, prima di affrontare un altro brano di Schumann, parla di “intuizione tattile sullo strumento” e Pieranunzi – che con il suo lavoro su Scarlatti del quale avevamo parlato gia' in questo sito aveva affrontato il tema – ci fa notare quanto sia labile il confine tra improvvisazione e musica scritta. Tutto questo con un rispetto verso i musicisti (Bach, Scarlatti, Schumann, Chopin) quasi commovente, una amorevole delicatezza nel momento in cui si sfocia nell' improvvisazione sui loro temi di partenza, una cura estrema ma mai fiacca, che consente di sentire come connaturato anche il passaggio da Schumann ad un ritmo di bossanova. E se da un corale di Bach si procede in progressione in un crescendo che prevede anche note blues, trascinandoci sino ad un gospel, e' stata sorprendente sentire una religiosita' solenne di uno e dell' altro genere musicale in fondo (mutatis mutandis) non cosi' dissimile. Ecco perche' oltre che musica di altissimo livello questi due eccellenti pianisti hanno regalato anche una fondamentale lezione di apertura mentale, di grande respiro culturale: un costruttivo abbattimento di confini che spesso limitano e costringono la nostra percezione di questa arte che invece per sua natura ha un qualcosa di universale a prescindere da epoche, generi, compositori.

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