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Gabriele Boggio Ferraris 4tet - “Say the truth”

Gabriele Boggio Ferraris 4tet – “Say the truth” – Dodicilune dischi ed271
E' un cd che scorre molto piacevolmente questo “Say the truth”, musica rilassante certo, ma non banale ed anche ricca di spunti. I brani sono tutti originali eppure trasudano musica ascoltata e metabolizzata, dunque anche esperienza, che pero' porta con se anche una certa originalita'. In alcuni casi prevale il tema elegante (“Francesca”), sviluppato benissimo e con un occhio rispettoso e anche affettuoso ai grandi del jazz, non scordando gli italiani naturalmente (vedi ad esempio reminiscenze che sembrerebbero riportare al pianoforte di Pieranunzi, ma non solo); ma in “The sound of water” i suoni diventano quasi onomatopeici, e il vibrafono dipinge soprattutto una musica di atmosfera ; e se in “Say the truth”, costruito in un tempo dispari, il vibrafono ha il privilegio di poter adagiare la sua improvvisazione sugli instancabili ed espressivi Mirko Mignone e Riccardo Fioravanti (pianoforte e contrabbasso), generosi nel mantenere il punto ritmico senza essere ossessionanti, in “Moovin' funk” e' la batteria di Stefano Bagnoli che rende ritmicamente ricco e fantasioso un brano semplice e rilassato, orecchiabile, facendolo a tratti quasi apparire sghembo. Tale ricchezza ritmica persiste durante le improvvisazioni di vibrafono e tastiera, rendendo interessante e mutevole un brano apparentemente “docile”. Da citare anche “Monko”: il pianoforte, non senza fugaci citazioni tematiche alla Duke Ellington, viaggia tra una parte di stampo modernamente dispari ad una tipicamente swingata in minore, che riporta all' atmosfera del jazz club. Fioravanti e' esperto creativo e prezioso, il pianoforte di Mignone e' coinvolgente, e il Vibrafono di Boggio Ferraris e' certamente poliedrico – e queste caratteristiche sono garantite durante tutti i 53 minuti di musica. (Daniela Floris)

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Antonio Ciacca – “Lagos blues”

Antonio Ciacca – “Lagos blues” – MTM 32
Ciacca è uno dei pochissimi personaggi del mondo jazzistico italiano che sia riuscito ad ottenere un posto di assoluto rilievo nell'ambito delle istituzioni internazionali: attualmente Antonio è infatti Direttore della Programmazione del Jazz presso il Lincoln Center: ciò è dovuto da un canto alle sue indiscutuibili doti di organizzatore e conoscitore della materia, dall'altro alle sue indubbie qualità “musciali” evidenziate appieno da questo suo sesto lavoro da leader. Lavoro che per Ciacca rappresenta un ennesimo traguardo raggiunto dal momento che ha finalmente coronato un suo sogno: suonare con il suo mentore, cioè quel Steve Grossman che occupa stabilmente le scene più importanti da quando nel 1969 sostituì Wayne Shorter nel celebre gruppo-fusion di Miles Davis. Il quintetto con cui Ciacca si ripresenta al suo pubblico è completatao da Kengo Nakamura al basso, Ulysses Owens alla batteria e Stacy Dillard all'altro sax tenore. L'album presenta sette brani di cui solo il brano d'apertura che da il titolo al CD e la ballad “Nico's song” sono scritte dallo stesso Ciacca cui si aggkiungono due brani di Steve Grossman, uno di Paul Chambers, il celeberrimo “Body and soul” e in chiusura “Reflections in D/,” un omaggio al maestro Duke Ellington. In tutti i brani Ciacca evidenzia un pianismo calibarto, mai sovra le righe e sempre al servizio dei due sassofonisti raggiungendo un equilibrio esecutivo di grande eleganza. Superlativo, come spesso gli accade, Steve Grossman che forse meriterebbe ancor più considerazione di quanta ne abbia finora ottenuta. (Gerlando Gatto)

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Giacomo Mongelli – “Suite 24”

Giacomo Mongelli – “Suite 24” – Dodicilune dischi ed254
Il batterista e percussionista barese Giacomo Mongelli ha scelto assai bene i suoi compagni per questa sua prima fatica discografica: Gianni Lenoci pianoforte, flauto e percussioni, Giovanni Maier basso e Gaetano Partipilo sassofoni sonotra i migliori esponenti del jazz made in Italy. E il risultato si vede: la musica scorre fluida, compatta, spesso impegnativa all'ascolto ma proprio per questo mai banale e superficiale, in quanto tutti e quattro gli artisti sembrano propensi ad improvvisare nella più completa libertà pur tenendo conto l'uno degli altri.. Il musicista pugliese è , in effetti, un convinto assertore dell'improvvisazione totale, convinzione maturata anche attraverso un attento ascolto e studio di artisti del calibro di Maderna, Stockhausen, Jarret, Cage, Coltrane, i cui influssi sono stati profondamente interiorizzati per essere poi riversati nelle composizioni che si ascoltano nell'album(sei firmati dallo stesso Mongelli cui si aggiunge il conclusivo “The Wedding” di Abdullah Ibrahim). Il brano più interessante è, a nostro avviso, quello che da il titolo all'album in quanto, come spiega lo stesso autore, rappresenta la massima espressione della libertà improvvisativa in quanto “ognuno di noi quattro ha vissuto in maniera completamente libera la musica che sviluppava. L'interazione, il rispetto e l'ascolto hanno fatto il resto. Il brano Suite 24 è quanto di più avrei potuto chiedere ai miei compagni per la realizazzione di un concetto di suono da cui da tempo ero alla ricerca”. (Gerlando Gatto)

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Stefano Pastor – “Freedom”

Stefano Pastor – “Freedom” – Silta CLAMCD 520
Il violinista Stefano Pastor si è oramai ritagliato un suo spazio nell'ambito del jazz internazionale, come si evidenzia sia da quest'ultimo CD inciso in quartetto con Gianni Lugo al sax soprano ricurvo, George Haslam al sax baritono e Giorgio Dini al contrabbasso, sia dall'ottimo piazzamento al Top Jazz 2009, sia dalle ottime recensioni ottenute dal CD in duo con Borah Bergman da parte di “All About Jazz New York”. Strumentista dotato di una solida preparazione di base, Pastor frequenta territori affini all'estetica del free jazz senza però esasperarne i contenuti. Nel senso che nella sua musica è ben possibile rintracciare i riferimenti alle radici della musica afro-americana seppure rivisitate alla luce di quanto elaborato dalle scuole americane degli anni 60 prima e dai musicisti chicagoani poi. Di qui una musica che si costruisce momento dopo momento grazie allo straordinario interplay tra i quattro e alle notevoli capacità improvvisative dei musicisti, Tra questi particolare il lavoro del contrabbassista Giorgio Dini che da solo costituisce la sezione ritmica del quartetto mentre Pastor e Lugo creano un clima che non conosce pause su cui si erge il sax baritono di Haslam alla ricerca di linee alle volte persino suadenti.
Insomma un jazz certo non nuovissimo ma che comunque si ascolta con interesse. (Gerlando Gatto)

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