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Enrico Pieranunzi

7 maggio – Enrico Pieranunzi, pianoforte, Luca Bulgarelli, contrabbasso alla Centrale Montemartini

La musica ha sempre avuto, la caratteristica di rispecchiare non solo l' anima, l' interiorita' del compositore e il suo ambiente culturale, ma anche quella dell' ambiente fisico, del luogo in cui (o per cui) e' stata concepita. I suoni hanno sapori diversi a seconda del contesto in cui si librano, e lo spazio fisico per cui la musica e' stata destinata ha sempre avuto una importanza fondamentale sul tipo di “feedback sonoro”. Il che porta sempre l' artista a compiere preventivamente scelte adeguate al tipo di musica che vuole scrivere, e l' esecutore a bilanciare i suoni rispetto all' ambiente in cui avviene la performance.Ma quando il concerto e' un concerto di jazz, e i musicisti si trovano per la prima volta a fare i conti con un' acustica a dir poco complicata, come alla Centrale Montemartini, in cui il riverbero e' di notevolissima entita', quello che puo' accadere e' un piccolo miracolo non solo di adattamento subitaneo, ma anche di “sublimazione” istantanea di quello che poteva essere un handicap per la performance di due di livello (Pieranunzi e Bulgarelli).
Nel jazz, come si sa, si assiste spesso ad una “composizione in diretta” – specie nella parte dell' interpretazione improvvisativa, e in questo specifico caso il pubblico ha assistito non solo alla musica alla quale questi due artisti lo hanno abituato, ma anche alla strepitosa capacita' immediata di entrambi di ascoltare e in un certo senso “rispettare”, dunque utilizzare al meglio la “voce”, nonche' il respiro, dell' ambiente che li circondava, facendoli loro e trasformandoli in altri strumenti musicali. Cosi', ecco il pianoforte di Pieranunzi indugiare su accordi diminuiti, che si sovrappongono senza dissonare e creano una atmosfera sospesa ed affascinante, in cui l' eco fa si che la musica implementi se stessa, ed ecco Bulgarelli, sensibile ed attento, che bilancia quelle spirali di note con note lunghe, dopodiche' in un ascolto reciproco e anche dell' eco stessa, le note aumentano e crescono insieme, scegliendo anche formule di suoni ribattuti che creano accordi negli accordi. A quel punto il riverbero non e' piu' il problema da limitare, ma finisce addirittura per diventare congruo, anzi, necessario: persino in un trascinante che si arricchisce del contrasto tra definitezza della struttura armonica ed indefinitezza acustica. Contrasto che Pieranunzi e Bulgarelli esaltano anche con l' accento martellante su battere e levare, battere e levare, “acquerellati” dall' acustica di una sala enorme con soffitti altissimi. D' altronde la stessa Centrale Elettrica Montemartini, splendido esempio di imponente archeologia industriale, con i suoi macchinari intatti, contrasta con le statue romane esposte al suo interno, dissonanti eppure anch' esse intonate ad essa, se non altro perche' l' insolita cornice ne esalta il candore, l' armonia, la morbidezza classica. In questo senso l' ambiente e' intonato a sua volta alla musica: nella medley di standards, cosi' dolci all' orecchio, Bulgarelli fa cantare il suo contrabbasso che ha una sonorita' talmente amplificata da far diventare i suoni quasi “visibili” ad occhio nudo; Pieranunzi potenzia la valenza evocativa e lirica della malinconica “ Miradas “ approfittando proprio del lato quasi “misterioso” di una acustica cosi' complessa quale quella della Centrale. Ogni nota ha un suo preciso senso ritmico e/o melodico, ogni singola suggestione, proveniente dalla musica o anche dal suo riverbero, viene dispiegata fino in fondo, non lasciando nulla di inespresso, sia nei soli, sia nell' interazione tra i due artisti . Ogni piccola cellula melodica (vedi nella bellissima “ Je ne sais quoi “ ) centra un “bersaglio emotivo”, e si imprime in chi ascolta e persino nell' eco destrutturante della Centrale Montemartini.

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