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Samuel Hällkvist Center – “Samuel Hällkvist Center”

Samuel Hällkvist Center – “Samuel Hällkvist Center”

Samuel Hällkvist Center – “Samuel Hällkvist Center” – 21819
Sono tutti polistrumentisti i “responsabili” di questo album: il leader alla chitarra, mandolino , e percussioni varie, Joel Wastberg ai sassofoni, trombone, tastiere e percussioni, Johannes Burstrom al basso elettrico, tastiere , mandolino e percussioni, Knut Finsrud batteria, tastiere, percussioni, tromba..cui si aggiunge David Carlsson alla tromba in un brano.
La musica è difficilmente definibile dal momento che racchiude diversi universi musicali senza rispecchiarne alcuno in modo specifico: di certo si avverte innanzitutto una straordinaria preparazione di base da parte di tutti i musicisti, in secondo luogo una sicura propensione a rischiare, a percorrere strade non usuali alla ricerca soprattutto di un proprio sound, infine una creatività non indifferente che fa ben sperare per il futuro del gruppo.
In effetti Samuel Hällkvist è un chitarrista trentenne, nominato musicista jazz svedese per il 2010, un prestigioso premio che la Caprice Records e Concerts Sweden mettono in palio ogni anno oramai dal 1972. E questo album evidenzia appieno tutte le sue potenzialità sia di esecutore sia di compositore dal momento che ben sei dei nove brani presenti nel CD sono opera sua.
Come non si può certo dire che Samuel sia un virtuoso ma il suo stile è del tutto pertinente rispetto a quello che le sue composizioni vogliono esprimere; da questo punto di vista la scrittura di Samuel appare asciutta anche se in qualche modo descrittiva secondo le concezioni da lui stesso più volte espresse e che vogliono la musica “dire qualcosa , qualsiasi cosa essa sia”.

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Jacob Karlzon – “Heat”

Jacob Karlzon – “Heat”

Jacob Karlzon – “Heat” – 21809
Jacob Karlzon è sicuramente uno dei più brillanti pianisti oggi attivi sulla scena europea: capace di adattarsi ai più diversi contesti, lo troviamo perfettamente a suo agio sia accanto ad una grande vocalist come Viktoria Tolstoy, sia nel canonico trio pianoforte – contrabbasso – batteria, sia in gruppi più ampi. Il suo pianismo può, infatti, essere percussivo intenso, così come profondamente meditativo ed intimista, senza perciò che venga meno l'originalità del suo stile . E non è certo un caso che in Svezia Jacob sia oramai considerato il naturale continuatore di quella linea pianistica che partendo da Bengt Hallberg passa attraverso Jan Johansson per arrivare fino a Bobo Stenson. In questo “Heat” Jacob dimostra di meritare appieno tali apprezzamenti: l'album è dedicato dallo stesso pianista a quanti hanno una così forte passione da determinare in qualche modo tutta la vita: “Io suono – afferma – perché devo farlo”. E questa passione, questa determinazione traspaiono perfettamente dall'album in oggetto in cui Karlzon suona sia in trio (con Hans Andersson basso e Jonas Holgersson batteria) sia in quintetto con l'aggiunta del trombettista Peter Asplund e del sassofonista Karl-Martin Almqvist, affrontando un repertorio in massima parte da lui stesso scritto: a sette sue composizioni si aggiungono “Sonatine Modéré” di Maurice Ravel , “Hollow life” dei Korn una band heavy metal di Bakersfield e “Gollum's song” dal film “Il Signore degli anelli”.
A mio avviso la dimensione ideale per Karlzon è, comunque, il trio nel cui ambito appare più rilassato e nello stesso tempo sempre pronto ad improvvisare con la massima libertà ben coadiuvato dai compagni di viaggio. Si ascolti al riguardo “Hollow life” contrassegnato anche da una straordinaria prova del batterista Jonas Holgersson.

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Olga Konkova – “Improvisational four”

Olga Konkova – “Improvisational four”

Olga Konkova – “Improvisational four” – Cap 21799
La Caprice ha dedicato una collana denominata “Improvisational” ad una serie di improvvisazioni per solo piano e questo ne è il quarto volume.
Protagonista la russa/norvegese Olga Konkova che si misura con le canzoni di Joni Mitchell o forse sarebbe meglio dire con un repertorio ispirato dalla vocalist. E' il dicembre 2007 e la pianista si trova nella sala concerto del “Nybrokajen 11” di Stoccolma accompagnata solo dal produttore; davanti a lei un meraviglioso Steinway D che Olga comincia ad accarezzare dolcemente…si scalda…prende confidenza…ma prima di iniziare la session vera e propria manca un elemento fondamentale, l'indicazione del tema su cui dovrà improvvisare, indicazione che le viene fornita solo qualche minuto prima di cominciare.
Di qui l'assoluta spontaneità e creatività che si percepisce all'ascolto dell'album: Olga affronta il materiale tematico evidenziando innanzitutto il massimo rispetto per le composizioni della “collega”; il suo pianismo cerca di carpire fino in fondo i segreti melodici e armonici di ogni pezzo passando così da momenti di coinvolgente esplosività ad atmosfere intimiste e ricercate come non mai, evidenziando quella che è forse la caratteristica principale dell'artista: una profonda conoscenza della letteratura pianistica che non si limita al jazz americano o scandinavo ma comprende , altresì, la musica classica i cui echi si avvertono soprattutto nella delicatezza del tocco e nell'assoluto controllo della dinamica.

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Josefine Lindstrand – “There will be stars”

Josefine Lindstrand – “There will be stars”

Josefine Lindstrand – “There will be stars” – 21811
La vocalist Josefine Lindstrand ha vinto il premio come artista jazz in Svezia nel 2009 ed ha quindi avuto la possibilità di incidere per la Caprice questo album che rappresenta il suo debutto discografico. Debutto assolutamente positivo dal momento che ci presenta una vocalist perfettamente consapevole dei propri mezzi espressivi che non vuole stupire alcuno ma solo cantare alla sua maniera. E per farlo ha scelto una via tanto originale quanto difficile: ha selezionato alcune poesie scritte intorno al 1900 dall'americana Sara Teasdale (1884-1933) e le ha rivestite con la sua musica, fresca, originale che si fa riascoltare con estremo piacere. Josefine dichiara apertamente di trarre ispirazione dalla natura svedese con le sue foreste, le sue querce i suoi abeti che visti attraverso il vetro di una finestra danno un senso di passato…ma lei non si accontenta e vuole allacciare la sua musica anche al presente: di qui le sue composizioni che, a sua detta, sono un “misto tra musica francese da cabaret degli anni '60, pop e il sound, per l'appunto, delle foreste svedesi”.
Accompagnata da un organico assai variabile, la Lindstrand (che in due brani suona anche la chitarra e l'Hammond B3) evidenzia una vocalità tutta giocata sui registri medio-alti che ben si adatta alle atmosfere sognanti di molti brani. Insomma una vocalità da grande artista il cui talento è stato riconosciuto ed apprezzato da straordinari musicisti, che l'hanno chiamata a collaborare, come Django Bates e Uri Caine.
Ma si può definire ancora jazz la musica della Lindstrand? La risposta la fornisce lei stessa affermando che la cosa ha poca importanza: “Jazz – spiega – è piuttosto un'attitudine, una forma musicale al cui interno i musicisti possano sentirsi liberi di fare ciò che sentono, che vogliono” E come non essere d'accordo?

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Edda Magnason – “Edda Magnason”

Edda Magnason – “Edda Magnason”

Edda Magnason – “Edda Magnason” – Cap21812
Ecco all'esordio discografico un'artista di cui sentiremo parlare molto data l'assoluta originalità del suo stile.
La pianista, cantante e compositrice si propone con un organico variabile del tutto inusuale, di cui fanno di volta in volta parte Tomas Ebrelius al violino , Martin Eriksson al contrabbasso, Emeli André voce, Jonas André tastiere e basso elettrico, Nils Berg clarinetto basso, sei musicisti che Edda compone e ricompone a seconda delle proprie esigenze espressive saldamente legate ad un repertorio da lei stessa interamente composto.
Un'artista, quindi, completa…almeno sulla carta; ma anche ad un ascolto attento la prova è superata brillantemente: la giovane svedese, che si è avvicinata alla musica fin da bambina, evidenzia una maturità espressiva già completa che le consente di ricercare soluzioni tanto azzardate quanto originali soprattutto in termini di sound. Ella stessa definisce la sua musica una sorta di puzzle in cui ricercare i pezzi che combaciano tra di loro e si tratta di un'operazione effettivamente possibile e gratificante dal momento che nell'album è possibile individuare echi provenienti da diversi contesti: jazz, musica folkloristica, pop, musica classica. E questo modo “visuale” di concepire la musica trova anche un'estrinsecazione nelle delicate illustrazioni che accompagnano il booklet.

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