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Francesca Ajmar / Roberto Bernardini – “Gato de suburbia”

Francesca Ajmar / Roberto Bernardini – “Gato de suburbia”

Francesca Ajmar / Roberto Bernardini – “Gato de suburbia” – koiné kne 009

Francesca Ajmar è un’appassionata cultrice della musica brasiliana a cui dedica quest’album e lo fa con un amore ed un trasporto tali da farci apprezzare queste registrazioni anche se inserite in un filone oramai fin  troppo sfruttato. In effetti sono molti, troppi, i musicisti italiani che prima o poi si misurano con la musica brasiliana con risultati non sempre straordinari.. per usare un eufemismo. Francesca invece riesce a trovare delle chiavi di lettura non scontate attraverso cui rileggere certe pagine non troppo battute e farcele gustare al meglio. Quindi due i punti di forza dell’album, oltre naturalmente alla bravura della stessa Ajmar: la scelta del repertorio e la scelta dei compagni di viaggio. Quanto al primo punto la vocalist ha puntato sulle liriche di Aldir Blanc, giornalista, scrittore, poeta-paroliere molto stimato nel suo Paese, liriche che sono state vestite in musica da artisti di assoluta eccellenza come João Bosco, Moacyr Luz e soprattutto Guinga, personaggio straordinario anche dal punto di vista umano. Quanto all’organico, la Ajmar ha davvero scelto il meglio chiamando accanto a sé, seppure in combinazioni diverse, Roberto Bernardini alla chitarra, Marco Bianchi al vibrafono, Tito Mangialajo Ratzinger al contrabbasso, Roberto Giannella alla batteria, Gilson Silveira alle percussioni (l’unico brasiliano del disco)e soprattutto quello straordinario Gabriele Mirabassi che con il suo clarinetto si è già segnalato come uno dei più sensibili interpreti dello choro. Risultato: undici pezzi di grande suggestione in cui Francesca Ajmar esplica appieno tutte le proprie potenzialità, con una voce suadente, perfettamente intonata, essenziale, senza sbavature o inutili orpelli. Magnifico anche il lavoro di Bernardini , chitarrista maturo cui spettava il compito forse più difficile dato che i tre autori brasiliani sono chitarristi di eccellente livello: ebbene Bernardini ha evidenziato una bella padronanza strumentale ponendo nella giusta evidenza la bellezza melodica e la ricchezza armonica dei vari brani.

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Gilad Atzmon & The Orient House Ensemble – “The tide has changed”

Gilad Atzmon & The Orient House Ensemble – “The tide has changed”

Gilad Atzmon & The Orient House Ensemble – “The tide has changed” – World Village 450015

In occasione del decimo anniversario, il sassofonista e clarinettista Gilad Atzmon e la sua “Orient House Ensemble” presentano il loro settimo album, “The tide has changed”, album che conferma appieno tutto il bene che si era già scritto sia sul leader sia sul gruppo.

In effetti la formazione, forte di una linea programmatica ben precisa, prosegue lungo le direttrici già tracciate : dall’anno della sua costituzione (il 2000) a Londra il gruppo ha effettuato numerose tournées in ogni parte del mondo ottenendo numerosi riconoscimenti da critica e pubblico proprio per l’originalità del suo stile che riesce a mettere in musica un messaggio molto chiaro e costruttivo: attraverso la musica è ben possibile superare antagonismi e divisioni. Di qui una musica davvero affascinante che raccoglie in sé suggestioni e paradigmi derivanti dai più differenti universi musicali; si passa, così, dalla malinconia del tango alle atmosfere tipiche di un Kurt Weill, dalle improvvisazioni di sapore prettamente jazzistico riconducibili alle esplorazioni coltraniane ad echi classici (splendida l’esecuzione del raveliano “Bolero”) il tutto impreziosito dal frequente ricorso a melodie arabeggianti che risultano determinanti per il sound della formazione, sempre nel segno della più completa libertà d’espressione. Evidentemente un tale esito deve essere supportato dalla bravura dei singoli ed in effetti ancora una volta i compagni d’avventura di Gilad sono tutti all’altezza della situazione : Frank Harrison propone un pianismo introspettivo spesso in contrappunto al sax del leader disegnando linee melodiche di delicatezza bellezza come in “London to Gaza”; Yaron Stavi fornisce un supporto armonico-ritmico elastico e swingante mentre il compito più difficile tocca forse al batterista Eddie Hich che non deve far rimpiangere il grande percussionista Asaf Soirkis, fondatore dell’originario quartetto: ebbene Eddie se la cava magnificamente facendosi apprezzare soprattutto in “And So Have We”. L’organico è completato dalla moglie di Gilad, la vocalist Tali Atzmon, che compare in cinque dei nove brani presenti nell’album.

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Raffaele Casarano – “Argento”

Raffaele Casarano – “Argento”

Raffaele Casarano – “Argento” – Tuk Music  8034135080097

Se fosse un quartiere sarebbe un quartiere multietnico, se fosse una coperta di lana sarebbe una coperta in patchwork, se fosse un giocattolo sarebbe un puzzle multicolore…perche’ in questo cd convivono e/o si giustappongono piu’ musicisti e piu’ stili.  Se in alcuni momenti il risultato sembra essere una allegra mescolanza, in altri invece i vari elementi si accostano tra loro e chi ascolta puo’ riconoscere distintamente rock, jazz, blues, sperimentale elettronica, soli strumentali molto lirici ma anche di stampo piu’ prevalentemente ritmico.  E’ costante la ricerca del contrasto tra i vari elementi e tra i musicisti che concorrono alla compilazione della musica di questo variegato album, vario come gli artisti che ne concorrono alla poetica.  Se il rock e’ garantito, valga un esempio per tutti,  da un assolo “esplosivo” di Giuliano Sangiorgi (in “Trilogy”), il sapore tradizionale e’ incarnato dal bandoneon di Daniele di Bonaventura (“Signora Luna”, brano ispirato e malinconico davvero bello) .  William Greco ed Ettore Carucci sono al pianoforte, ognuno con il suo stile: vedi ad esempio in “Sudest” Greco, dal fraseggio essenziale e molto jazzistico, e Carucci , morbido e di atmosfera in “Gratia”, brano dal tema molto ad andamento lento e tranquillo , in cui il pianoforte si libra con un bel solo evocativo e di atmosfera.  Momenti melodici di respiro li possiamo trovare in “Via dei corbezzoli”, dove e’ molto suggestivo l’ arrangiamento per archi di Marco Bardoscia, del quale possiamo ascoltare un bellissimo e quasi sognante assolo nello stesso brano.    Bella la voce  di Carla Casarano, e’ bene menzionarlo, sia quando cammina all’ unisono con gli strumenti, sia quando interpreta in senso stretto.  In tutta questa varieta’ il filo conduttore e’ il bel sax di Casarano, che lega in un’ unica trama questi artisti che in effetti rimangono totalmente liberi di esprimersi secondo la loro precisa e personale inclinazione musicale. Ed allora ecco che tra “Binario X” in cui le “schitarrate” della chitarra flamenca di Checco Leo contrastano con un tema melodico di tutt’ altro sapore non stona affatto con “Argento”, sia per la presenza comune di effettistica elettronica, sia per le circonvoluzioni del bel sax di Casarano.

La Tuk Music e’ la nuova etichetta voluta da Paolo Fresu, e che Fresu sia generosamente incline ad appoggiare giovani musicisti e nuove sonorita’ appare positivamente evidente, ed incoraggiante….bene cosi’! (Daniela Floris)

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Cyminology - “Saburi”

Cyminology - “Saburi”

Cyminology – “Saburi” – Ecm 2084

Nel 2009 vi avevo presentato “As Ney”,  il disco d’esordio su ECM di questo quartetto capeggiato dalla carismatica vocalist tedesca di origini iraniane Cymin Samawatie che si presentava accompagnata dal pianista francese Benedikt Jahnel, dal contrabbassista tedesco Ralf Schwarz e dal batterista e percussionista indiano Ketan Bhatti. Concludevo la recensione affermando che, nonostante le evidenti qualità della formazione, l’ascolto  lasciava una sorta di insoddisfazione nell’attesa di qualcosa che purtroppo non arrivava, come se – in altri termini – Samawatie e compagni non fossero stati in grado di esprimersi compiutamente. Ecco quel quid che l’altra volta non c’era, adesso è ben presente; in “Saburi” (che significa “Pazienza”) il gruppo sembra aver raggiunto una sua più precisa cifra stilistica grazie anche ad una diversa scelta di repertorio. Così, invece di rifarsi a versi classici di Rumi e poesia iraniana del XX secolo, questa volta Cymin accoppia proprie liriche alle sue musiche, liriche che parlano spesso d’amore permettendo all’artista di esprimersi con più sincera partecipazione. Le composizioni sonno tutte di Cymin ad eccezione di  “Hedije” e “Hawaa”, scritte dal pianista Benedikt Jahnel and “As maa” composta dal batterista Ketan Bhatti.

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Giuseppe Dal Bianco – “Perpetuo vagare”

Giuseppe Dal Bianco – “Perpetuo vagare”

Giuseppe Dal Bianco – “Perpetuo vagare” – 2010 d.b

Come sottolineato in altre occasioni, raramente il titolo di un album rispecchia appieno il contenuto musicale dello stesso; questa volta, invece, al termine dell’ascolto ci si accorge che il CD non poteva non chiamarsi “Perpetuo vagare”. Dai brani, quasi tutti composti e arrangiati da Giuseppe Dal Bianco (flautista e specialista di strumenti etnici) promana una profonda esigenza di viaggiare, di conoscere, di espandere il sentire della propria coscienza e conoscenza fruendo di quello straordinario strumento di comunicazione universale rappresentato dalla musica. Giuseppe ha quindi chiamato accanto a sé un solo compagno – il percussionista Luca Nardon – e poi ha invitato tutti noi per un viaggio senza una meta precisa, seppur precisando nelle note d’accompagnamento al CD che il suo perpetuo vagare è “nei paradisi della musica”. Giuseppe racconta.. ma senza una trama precisa, evoca atmosfere, introduce suggestioni che spetta poi a ciascuno di noi seguire od abbandonare. Così , ad esempio, nel brano d’apertura – “Declamazione” – il flauto pakistano potrebbe indurci a riflessioni esoteriche mentre altre volte, come nel caso de “Il silenzio di Komitas” l’intento è più esplicito dal momento che ci si riferisce, chiaramente, al monaco/musicista armeno Komitas, di cui altre volte si è parlato in questa rubrica, ucciso dai turchi, durante il genocidio. E così di suggestione in suggestione si arriva all’ultimo brano, l’unico non composto da Giuseppe Dal Bianco, “Sirti im sasani”, facente parte della tradizione armena. Insomma un album davvero affascinante che vi consiglio di ascoltare con la mente aperta, senza lasciarvi fuorviare da null’altro se non dalla ricchezza e dal fascino del suono.

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Sergio Di Gennaro – “All’improvviso”

Sergio Di Gennaro – “All’improvviso”

Sergio Di Gennaro – “All’improvviso” – Albóre Records 005

Fa la sua comparsa sul mercato italiano la nipponica Albóre Records con una serie di album di buona fattura. Protagonista di questo CD è il pianista Sergio Di Gennaro al suo esordio discografico da leader. Il musicista piemontese guida un sestetto completato da Giuseppe Virone tromba e flicorno, Ezio Petrini sax alto, Stefano Italiano sax tenore, Michele Anelli contrabbasso e Folco Fedele batteria. Il gruppo si muove con eccellente compattezza e tutti i musicisti, nonostante la loro giovane età, evidenziano un’ottima preparazione di base. Il riferimento stilistico è ben preciso: il jazz degli anni ’50 e ’60 vale a dire il bebop e l’hard bop rivissuti, però, alla luce di una sensibilità europea, italiana a conferire un tocco di originalità ad un album che viceversa andrebbe ad inserirsi nell’alveo dei tanti dischi “nostalgici” di quel periodo. Comunque il protagonista principale è Di Gennaro che firma tutti gli otto brani dell’album; il pianista è musicista completo, in possesso di una superba tecnica pianistica che sa però contenere per metterla al servizio dell’ensemble: di qui un pianismo sempre misurato pur nella sua brillantezza, scevro da inutili virtuosismi, capace di integrarsi al meglio con le trame disegnate dai compagni di viaggio. All’abilità strumentale Di Gennaro accoppia una felice vena compositiva; i suoi brani sono tutti ben costruiti, caratterizzati da una suadente linea melodica e da armonizzazioni mai banali: si ascolti al riguardo “In punta di labbra” e “Due Parole” a mio avviso tra i migliori dell’intero album.

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Luigi Martinale – “Le sue ali”

Luigi Martinale – “Le sue ali”

Luigi Martinale – “Le sue ali” – Albóre Records 001

Anche questo album è prodotto dalla nipponica Albóre Records ed ancora una volta il protagonista è un pianista anche se, a differenza del già citato Sergio Di Gennaro, ben conosciuto agli appassionati: Luigi Martinale. Il pianista, per questa sua nuova fatica discografica, ha puntato in alto scegliendo il batterista Paolo Franciscone e soprattutto Drew Gress, giustamente considerato uno dei migliori contrabbassisti in assoluto  oggi presente sulle scene del jazz. E i fatti gli hanno dato ragione: l’album è ben strutturato, fresco, intelligente, sempre interessante con un repertorio che accanto a quattro composizioni di Martinale (da lui stesso considerate tra le migliori del suo repertorio) e una di Risso  presenta alcuni classici quali  “African Flower” e “Prelude to a Kiss” di Ellington, “Come Fly with Me” di Cahn/Heusen e un “How Deep Is the Ocean” (Berlin) reintepretato in maniera assolutamente originale. Insomma una prova maiuscola del musicista piemontese che ha ancora una volta evidenziato le caratteristiche peculiari del suo pianismo vale a dire una profonda tecnica di base (frutto anche di studi accademici), un gusto sopraffino per le linee melodiche (si ascolti lo splendido ”Passi leggeri”) ed una grande maestria di tocco che gli consente di utilizzare al meglio tutte le dinamiche dello strumento. Perfetto il lavoro del batterista mentre del tutto sorprendente il lavoro di Gress: il contrabbassista di Trenton ha quasi del tutto abbandonato la sua carica iconoclasta e innovativa per mettersi al servizio del trio fornendo allo stesso un supporto armonico ritmico di sapore-antico…ma proprio per questo quanto affascinante!

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Roscoe Mitchell – “Far side”

Roscoe Mitchell – “Far side”

Roscoe Mitchell – “Far side” – ECM 2087

Presentare o soltanto parlare di un nuovo disco di Roscoe Mitchell è sempre impresa piuttosto difficile dal momento che ogni tentativo di illustrare una musica così complessa rischia fatalmente di scadere nel banale. Comunque corriamo il rischio e cerchiamo di inquadrare questo nuovo album: registrato live a Burghausen dalla radio tedesca il 17 marzo del 2007, “Far side” presenta Roscoe Mitchelle assieme alla sua “The Note Facotory” una formazione in cui  militano alcuni tra i migliori improvvisatori del momento quali i due pianisti Vijay Yyer e Craig Taborn e il trombettista Corey Wilkes; in repertorio solo quattro brani, tutti composti dal leader, tra cui un lunghissimo “Far side / Cards / Far side”, oltre trenta minuti di improvvisazione allo stato pure in cui i membri della “The note Factory” danno fondo a tutte le loro risorse producendo un affascinante magma sonoro in cui si stagliano, di volta in volta, gli assolo di tutti i protagonisti con Mitchell e Corey Wilkes in particolare evidenza. Più strutturati e quindi accessibili i successivi tre brani in cui Mitchell evidenzia appieno le sue concezioni sia sulla ricerca sonora sia sul difficile equilibrio tra architettura sonora ( e quindi composizione ) e improvvisazione. In effetti valutare la musica di Mitchell senza tenere conto del rapporto tra la stessa e la musica contemporanea è operazione quanto mai fallace proprio perché il sassofonista, oltre che rifarsi al free coltraniano (di cui rappresenta una  logica prosecuzione), si misura altresì con le sperimentazioni dei “classici” contemporanei ricercando una strada originale senza tuttavia rinnegare le origini della musica afro-americana. Operazione ovviamente in fieri di cui è difficile ipotizzare l’approdo.

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Colin Vallon – “Rruga”

Colin Vallon – “Rruga”

Colin Vallon – “Rruga” – 2185 ECM

Questo album rappresenta l’esordio con la ECM di questo trio composto da Colin Vallon al pianoforte, Patrice Moret al basso e Samuel Roher alle percussioni, quest’ultimo già ascoltato in altri album ECM quali “April” con la vocalist svizzero-olandese Susanne Abbuehl e “Currents” con il quartetto di Wolfert Brederode. Ma torniamo a “Rruga”: protagonisti sono tre musicisti svizzeri che approdano in casa ECM dopo una lunga esperienza di circa cinque anni nel corso dei quali hanno potuto sviluppare una perfetta sintonia che li ha portati a fondere i rispettivi linguaggi in un unicum di notevole compattezza. “Rruga” (che in lingua albanese significa strada oppure viaggio) indica molto chiaramente l’intento del gruppo: viaggiare, a suon di musica, lungo un percorso che va dal Caucaso fino agli States vale a dire alle sorgenti del jazz, senza dimenticare la scuola improvvisativa del Vecchio Continente. Di qui una musica che, pur essendo costantemente velata da una sorta di melanconia, presenta comunque una gradevole varietà di situazioni: da brani in cui prevale nettamente la bellezza della linea melodica a composizioni in cui le figurazioni ritmiche risultano gli elementi più interessanti. E da questa considerazione si capisce come in effetti nel trio non ci sia un leader ma tre artisti che spesso improvvisano contemporaneamente con una lucidità ed un padronanza non comuni.

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Various Artists – “Rare and unissued jazz concerts”

Various Artists – “Rare and unissued jazz concerts”

Various Artists – “Rare and unissued jazz concerts” – Riviera RJRCD018

Spesso ci si chiede perché mai in Italia si producono tanti dischi di jazz che pochi ascoltano e ancor meno comprano. La risposta più sensata è che oramai il CD rappresenta, per i musicisti, una sorta di biglietto da visita per presentarsi e mostrare quel che si sa fare. Chi, viceversa, non ha alcun bisogno di rispondere a questa domanda è la Riviera Jazz Records, una piccola etichetta che se non esistesse bisognerebbe inventarla. Ciò perché il suo obiettivo è tanto chiaro quanto perfettamente centrato: riproporre all’attenzione degli appassionati un patrimonio del nostro passato jazzistico che altrimenti andrebbe perso. Questa volta la Riviera ci fa ascoltare alcuni concerti inediti registrati a Perugia nel novembre del 1956 , al Festival Internazionale del Jazz di Sanremo nel 1960 e a Roma nel novembre del 1962; protagonisti, rispettivamente, Giancarlo Barigozzi Ensemble, Trio Silvano Salviati, l’Ottetto Basso-Valdambrini e il Trio di Piero Piccioni.  Particolarmente stimolante l’ascolto del gruppo Basso – Valdambrini che , oltre ai due leaders, comprende Mario Pezzotta al trombone, Attilio Donadio al sax baritono, Renato Sellani al piano, Franco Cerri al contrabbasso, Jimmy Pratt alla batteria con l’arrangiamento di Lars Gullin. L’album è corredati da un prezioso booklet, curato da Adriano Mazzoletti, che illustra al meglio i contenuti del CD.

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Various Artists – “Jazz al dente”

Various Artists – “Jazz al dente”

Various Artists – “Jazz al dente” – “ CD MyFavorite 8034135080134

Davvero un’idea originale questa di “Jazz al dente”, idea che può appassionare o meno ma che sicuramente ha il pregio dell’unicità. I curatori della compilation sono partiti da un dato che, a loro avviso, accomuna musica e cucina vale a dire l’essere entrambi  “il dono di sé stessi, il condividere, l’espressione essenziale di una forma di generosità a destinazione degli altri”. Partendo da questo assunto si è pensato di produrre un qualcosa  che unisce, appunto, grandi musicisti jazz (e dintorni) italiani e la loro passione per la cucina, il tutto diviso in due CD.
Sul primo ecco quindi quattordici brani interpretati da artisti come Alessandro Magnanini,Fabrizio Bosso, Gianmaria Testa con Roberto Cipelli, Lorenzo Tucci,  Musica Nuda (Ferruccio Spinetti & Petra Magoni), Paolo Fresu con il suo storico quintetto, Joe Barbieri, Giovanni Ceccarelli, Max Zanotti (ex Deasonika) e Floriano Bocchino, Gnu Quartet, Raffaele Casarano, Paolo Fedreghini, The Dining Rooms e Fausto Mesolella (Avion Travel) Sul secondo CD gli stessi musicisti ci raccontano le loro ricette gastronomiche, riportate nel  ricco booklet che accompagna il doppio album. Per quanto concerne le ricette non sono in grado di esprimere un’opinione compiuta non essendo un particolare esperto. Per quanto concerne la musica, l’elenco fornito in precedenza ne da un’idea abbastanza chiara: musica di qualità con alcune vette di eccellenza raggiunte dai soliti Bosso, Testa-Cipelli, Musica Nova e Paolo Fresu.

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