Paolo Recchia Trio, special guest Lorenzo Tucci

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Paolo Recchia (foto Arianna De Paolis)

Paolo Recchia (foto Arianna De Paolis)

Non è una disattenzione né un caso di “stalking” musicale quella che ha portato Daniela Floris ad andare a sentire dopo poche settimane il concerto (stavolta al BeBop di Roma) di Paolo Recchia in Trio, ma un interesse strettamente musicale. L’ intento era quello di capire – poiché in questo caso ci stiamo occupando di Jazz – quanto e in che modo possa cambiare lo stesso concerto quando cambi l’ organico ed il leader rimanga lo stesso.

Paolo Recchia, validissimo giovane sax contralto, che all’ Alexanderplatz era affiancato dai bravi Pietro Ciancaglini al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria, ha suonato stavolta con Nicola Muresu al contrabbasso e ha avuto come “guest” Lorenzo Tucci alla batteria. Cosa è avvenuto e quali siano state musicalmente le differenze si proverà a capirlo qui di seguito.

All’ Alexanderplatz si era evidenziato come il Trio Recchia – Ciancaglini – Angelucci fosse energico eppure così bilanciato nei suoni e nei volumi , un bell’ esempio di interazione tra i tre artisti che modulavano il proprio apporto in modo, di volta in volta, da far esaltare il timbro pieno e tondo del sax, o la valenza armonica fondamentale del contrabbasso – che dava l’ orientamento tonale ai brani in maniera irrinunciabile, o – nei pezzi più energici, la importante valenza ritmico creativa della batteria, che andava anche a riempire la mancanza sonora ma anche “percussiva” del pianoforte assente. Un concerto gradevole ed elegante proprio per questo “passarsi il testimone” tra musicisti , che aveva previsto naturalmente – come si era sottolineato – una grande intesa reciproca tra i tre.

E anche al BeBop però abbiamo assistito ad un concerto veramente bello e di alto livello, anche se completamente diverso da quello dell’ altra volta. Perché diverso?
Anche in questo caso, occorre subito dirlo, è stata evidente una grande intesa reciproca, la istintiva volontà di non prevalere l’ uno sull’ altro, e anche in questo caso la mancanza del pianoforte non si è sentita nel senso di “carenza sonora”. Ma i musicisti hanno suonato (soli e scambi a parte) in maniera più “corale”, se così si può dire: ovvero più che modulandosi ed alternandosi tra loro come volumi, funzioni e dinamiche, producendo un unico flusso sonoro variegatissimo, ricco ed estremamente creativo. Recchia, come leader del Trio, ha mantenuto il suo stile rigoroso: la presentazione tematica pulita, il timbro pieno, un’ intonazione notevole e un’ improvvisazione ardita ma sempre elegantemente tonale anche nei momenti più “free”, supportato però stavolta da Tucci alla batteria, che in questa occasione non ha mai lasciato Recchia da solo, sottolineandone ed esaltandone ogni minima variante con delicatezza ma anche con volitiva (ed elegante) fermezza. Un intreccio continuo, di gusto, dato dallo scambiarsi di idee melodiche di Recchia prese al volo e tramutate in ritmiche da Tucci e viceversa: a sospensione tematica, spesso ha corrisposto una sospensione ritmica della batteria (che magari ha evitato il battere “secco” dei tempi); all’ aumentare dell’ intensità improvvisativa è corrisposto un intensificarsi di Tucci sempre nell’ ottica però del bilanciarsi l’ uno sull’ altro. A differenza della scorsa volta, non c’è stato alternarsi, ma un camminare parallelamente ascoltandosi, ottenendo lo stesso efficace effetto di bilanciamento che è fondamentale.

Anche Muresu al contrabbasso si è unito a questo flusso sonoro corale ma mai uniforme, garantendo la fondamentale funzione armonica delle note fondamentali sulle quali si potessero costruire istintivamente gli “accordi” mancanti del piano. Ma durante i soli di contrabbasso, belli e davvero intensi ,in cui Muresu ha più volte utilizzato diverse progressioni trasposte, o arpeggi discendenti di grado in grado, Tucci ha sottolineato le stesse progressioni con un disegno ritmico corrispondente ma non pedissequo, e Recchia ,dal canto suo, non ha mai smesso di emettere suoni che mantenessero un cardine armonico complessivo di riferimento. In pratica i tre è come se dall’ inizio al termine della performance si fossero saldamente tenuti per mano camminando e mantenendo il passo insieme.
In questo tipo di performance, che appunto possiamo definire “corale” rispetto alla precedente, è importante sottolineare come l’ intensificarsi dei suoni non sia mai arrivato al “chiasso”. Ed anche l’ assottigliarsi dell’ intensità o dei volumi non è mai arrivato ad un “impoverimento” armonico/ritmico. Semplicemente, i tre hanno suonato come se fossero un unico strumento, con dinamiche curatissime, suoni comprensibili, in una parola feeling, che si è tramutato in… jazz.

Quanto jazz è possibile creare? Quanto jazz esiste potenzialmente? Se si pensa a quante volte sono stati eseguiti “Body and Soul” o “ Tenor Madness” (brani presenti in tutti e due i concerti di Recchia) e al fatto che mai siano stati eseguiti in maniera identica (anche in questo particolarissimo caso) si comprende perché chi, come chi vi scrive, ha la passione per il jazz: non ci si annoia mai, non si assisterà di sicuro alla stessa musica anche se si andrà ad ascoltare lo stesso concerto. Naturalmente ciò accade se i jazzisti in questione, come nel caso di questi due concerti, sappiano mettere in gioco sensibilità e fantasia: non certamente nel caso, come a volte accade, in cui si assista a “format” che di jazz hanno un improbabile e ripetitivo involucro ma non la vera sostanza.

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