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- Walter Beltrami – “Paroxysmal Postural Vertigo” – Auand AU9025
- Bossanova Forever Quartet – “Enneagramma” – Splasc(H) CDH 1533.2
- Michele Franzini – “With a song in my heart” – RadioSNJ records – 014
- Tiziana Ghiglioni – “Songs” – Splasc(H) Records – CDH 1554.2
- Mauro Ottolini – “I separatisti bassi” – artesuono art 091
- Paoli – Boltro – Rea – Bonaccorso – Gatto – “Un incontro in jazz” Parco della Musica 028
- Ohad Talmor – “Newsreel” – Auand AU9203
- The European Ekranoplan Agency – “Crime Time” – RadioSNJ records 002
Walter Beltrami – “Paroxysmal Postural Vertigo” – Auand AU9025
Ecco un album dal sapore nuovo ed interessante. Protagonisti cinque eccellenti musicisti: Walter Beltrami alla chitarra, l'onnipresente Francesco Bearzatti sax tenore e clarinetto, Vincent Courtois al violoncello, Stomu Takeishi al basso elettrico e Jim Black alla batteria. Già dall'organico si capisce come il gruppo abbia una sua propria identità caratterizzata da un canto dal basso elettrico dall'altro dalla inusuale presenza del violoncello cui si aggiungono una precisa scansione del ritmo da parte della batteria e , a volte, una intensa sonorità rock. Il tutto cucito dagli strumenti leaders vale a dire chitarra e fiati. Ma tutto ciò non sarebbe stato di per sé sufficiente a produrre un buon disco: ci voleva, anche, un eccellente materiale tematico e questo è fornito interamente dallo stesso Beltrami che firma ben otto (su nove) dei brani presenti nel CD confermando, con ciò, una felice vena compositiva dal sapore chiaramente sperimentale, seppur lontana da certe inutili assurdità che ogni tanto ci vengono propinate. In effetti queste musiche hanno una storia particolare dal momento che, come spiega lo stesso autore, sono state scritte in un periodo in cui Walter era affetto da un disturbo all'orecchio interno, per l'appunto il Benign Paroxysmal Postural Vertigo da cui il titolo del disco. E l'intento era quello di descrivere, in musica, gli effetti di tale disurbo caratterizzato dalla repentina comparsa e altrettanto repentina scomparsa di tutta una serie di sintomi tra cui vertigini e particolari visioni. Comunque al di là degli intendimenti, Beltrami scrive davvero bene, con un bel senso della costruzione sempre tesa all'equilibrio ta musica scritta ed improvvisata, assecondando, in ciò, le naturali inclinazioni dei partners. Così tutti trovano i loro spazi, fino ad arrivare all'improvvisazione collettiva di “Unexpected Visit” che evidenzia in modo assai chiaro la perfetta intesa creatasi tra i musicisti in sala d'incisione. In evidenza, oltre al chitarrista leader, il violoncello di Courtois soprattutto quando duetta con il sempre valido e creativo Bearzatti e il batterista Jim Black, preciso e trascinante senza soluzione di continuità.
Bossanova Forever Quartet – “Enneagramma” – Splasc(H) CDH 1533.2
Non so se ci avete fatto caso ma, in questo periodo, quando un musicista decide di realizzare un album di standards, vi inserisce assai spesso almeno due pezzi di musica brasiliana, probabilmente contando sul fatto che gli stessi sono assai conosciuti e ben accetti ad un vasto pubblico. Solo che, purtroppo, altrettanto spesso si tratta di riproduzioni oleografiche, che non vanno in fondo limitandosi ad una riproposizione il più possibile vicina all'originale. Questo quartetto ha invece compiuto l'operazione inversa; il batterista e percussionista Marcello Davoli, da sempre appassionato di musica brasiliana e latina, e Mario Parisini sassofonista e arrangiatore con vasta esperienza anche in campo internazionale, hanno deciso di formare un quartetto che, in qualche modo, riproponesse la “loro” visione di questo genere musicale. Per raggiungere tale obiettivo hanno chiamato il pianista Giulio Ferrari e il contrabbassista Steve Riva. Coerentemente all'idea di fondo, il repertorio non si basa su brani già noti ma su quattordici composizioni originali scritte da tutti e quattro i componenti il gruppo. Il risultato è ora a nostra disposizione e ci sembra più che apprezzabile. In effetti il quartetto cerca di proporre una propria originale visione non tanto e non solo della musica brasiliana e latina quanto delle contaminazioni tra queste e il jazz, contaminazioni vissute alla lue di una moderna sensibilità che ha conosciuto altri modelli di commistione oltre la bossa nova. In questo senso l'album è ben articolato, con variazioni di atmosfere e di ritmi e con alcuni pezzi particolarnmente riusciti quali, a nostro avviso, “Bimba getti fuoco” di Parisini e “Rhythm du soleil” di Giulio Ferrari.
Michele Franzini – “With a song in my heart” – RadioSNJ records – 014
A circa due anni dalla pubblicazione di “Out of a logical Choice”, contenente originals di Franzini, il pianista è tornato in sala di incisione con Tito Mangialajo Rantzer al basso, Massimo Pintori alla batteria e la cantante Francesca Ajmar. Questa volta l'album è dedicato interamente agli standards del jazz con l'aggiunta di due celebri pezzi brasiliani, “Wave” e “Este seu olhar” scritti entrambi da Antonio Carlos Jobim. Chi segue questa rubrica sa bene come il vostro cronista apprezzi il tentativo dei giovani musicisti di misurarsi con gli standards proprio per avere più precisi punti di riferimento. Solo che, proprio per la natura dei brani, una buona esecuzione non basta: occorre sempre almeno un pizzico di originalità, di rilettura, di spregiudicatezza… anche a costo di sbagliare qualcosa. In questo album, invece, non ci sono errori: i musicisti – cantante compresa – sono bravi, si muovono con discreta disinvoltura senza sbavatura alcuna, ma alla fine dell'ascolto resta ben poco, come alla fine della lettura di un tema corretto, ben scritto ma a conti fatti piuttosto scolastico. Insomma era necessario metterci in più qualcosa di proprio… e la cosa è particolarmente evidente nell'interpretazione dei due brani brasiliani.
Tiziana Ghiglioni – “Songs” – Splasc(H) Records – CDH 1554.2
Mai come in questo periodo il panorama del jazz vocale italiano è stato affollato da tanti artisti che , però, solo di rado riescono a farsi notare per originalità e mezzi vocali. Di qui il vecchio detto per cui, se è vero come è vero che “la classe non è acqua”, Tiziana Ghiglioni di classe ne ha da vendere confermandosi, ad ogni occasione, una delle vocalist più intense ed interessanti dell'intero panorama europeo.
Classe e mezzi vocali che risaltano, ancora una volta, in questo più che interessante album in cui la cantante si esibisce con un quartetto composto da Riccardo Luppi al sax tenore, Roberto Bonati al basso, Massimo Manzi alla batteria e dal pianista Alberto Tacchini responsabile, assieme alla stessa Tiziana, di tutti i brani contenuti nel CD. Chi si aspetta musica contaminata, soluzioni particolarmente ardite, sound atipici, accostamenti inconsueti è meglio che cambi strada: qui siamo in presenza di un ottimo disco di jazz che, invece di servirsi di materiale tematico esistente, ricorre ad otto pezzi nuovi di zecca eseguiti con verve e professionalità. La voce della Ghiglioni sembra aver nulla perso dell'originario smalto così come la capacità di interpretare dando il giusto peso ad ogni singola sillaba, in ciò perfettamente coadiuvata sia dal basso di Bonati, sia dal drumming mai invadente di Manzi, sia soprattutto dal pianismo di Tacchini , che si conferma oltre che valente autore, musicista essenziale, in grado di lavorare quasi per sottrazione; notevole ma del tutto pertinente il contrasto di sound che Luppi riesce a creare con il suo tenore.
Mauro Ottolini – “I separatisti bassi” – artesuono art 091
Mauro Ottolini è musicista intelligente e dalla straordinaria inventiva, sempre alla ricerca di nuove strade e diverse sonorità. Questa volta ha concepito e realizzato una band di dieci elementi affatto particolare, composta in massima parte con gli strumenti del registro grave cui si contrappongono pochi strumenti del registro acuto quali l'ottavino, il theremin e l'armonica. Avendo a disposizione un organico di tal fatta, anche il repertorio si basa su pezzi assolutamente inusuali: come spiegano le note che accompagnano il CD, “Ottolini ha concepito l'intero lavoro come una suite in cinque movimenti… all'interno della quale ha collocato altri brani”. Così troviamo musica dalla più disparata derivazione: c'è una composione per pianoforte di Arnold Schonberg (“Sechs kleine klavierstucke op.19”) che viene riarrangiata per la band e offerta in un mirabile equilibrio tra scrittura e improvvisazione; c'è una sentita dedica alla musica sudafricana (“Let's have another one”) scritta dal baritonista Daniele D'Agaro vera e propria colonna portante di tutta la band; c'è un omaggio a Luigi Nono (“Luigi IX's funeral”) scritto da Ottolini il cui strumentario (trombone, tuba, tromba bassa, bombardino) viene utilizzato con rara sagacia e pertinenza; c'è addirittura un brano di Henri Mancini (“Pink elephant on parade”) tratto dalla colonna sonora di “Dumbo” divertente cartone animato di Disney… Insomma c'è davvero un variegato universo sonoro in cui si avvertono, nettamente, suggestioni provenienti dal jazz, dalla musica colta, da quella contemporanea a conferma dell'ecletticità del gruppo messo su da Ottolini, in cui, oltre al già citato D'Agaro, si mettono in particolare evidenza Achille Succi con il suo clarinetto basso, Giovanni Maier efficacissimo sia come contrabbassista sia come autore (interessante la sua “Low Orbits”), Vincenzo Vasi al theremin e live electronics particolarmente a suo agio nelle parti improvvisate, e Gianni Massarutto all'armonica. Ultima notazione: l'album è stato registrato live da Stefano Amerio durante il concerto tenuto il 20 marzo del 2010, presso il Teatro Sociale Arrigoni di S. Vito al Tagliamento.
Paoli – Boltro – Rea – Bonaccorso – Gatto – “Un incontro in jazz” Parco della Musica 028
Oramai non stupisce il fatto che il jazz italiano faccia ricorso anche al repertorio pop nazionale come non stupisce il fatto che Gino Paoli si presenti in un contesto squisitamente jazzistico per presentare e sue composizioni (sia vecchie sia nuove) e brani degli attuali compagni d'avventura. Così questo nuovo CD vive su due conosciute canzoni di Paoli (“E m'innamorerai” e “Ti lascio una canzone”), quattro classici (“Smile” di Chaplin, “Eu sei que vou te amar” di Jobim – De Moraes, “Contigo en la distancia” di Cesar Portillo de la Luz e “Que reste-t-il de nos amours?” di Charles Trenet) cui si aggiungono cinque pezzi nuovi scritti appositamente dai componenti il gruppo. L'album scorre via sull'onda di una prevedibile gradevolezza: tutti conosciamo Boltro, Rea, Bonaccorso e Gatto che non perdono davvero l'occasione per confermare di essere tra i migliori jazzisti europei mentre Gino Paoli, in questa nuova versione di “cantante in jazz” convince seppur con le armi di sempre: una straordinaria capacità di scrittura (sia musicale sia di versi essendo, tra l'altro, responsabile dei testi di tutte le nuove composizioni), una squisita sensibilità, una eccellente capacità di ascoltare chi ti suona accanto. Non a caso i brani più riusciti sono, probabilmente, “Eu sei que vou te amar”, “Contigo en la distancia” e il pezzo di Rea “Canzone di istruzioni”. E' infine interessante sottolineare come, registrato tra il 26 e il 28 Dicembre 2010 presso l'Auditorium Parco della Musica di Roma, l'album inauguri la collana “Recording Studio”, una nuova iniziativa della Fondazione Musica per Roma che dà la possibilità a pubblico e appassionati di entrare in studio di registrazione con gli artisti della Parco della Musica Records, seguendo e ascoltando dal vivo l'incisione di nuovi dischi.
Ohad Talmor – “Newsreel” – Auand AU9203
Il sassofonista isreaeliano ( cresciuto in Svizzera ma attualmente residente a New York ) Ohad Talmor costituirà certamente una bella sorpresa per chi ha l'opportunità di scoltarlo in questo disco con un quartetto completato da Shane Endsley alla tromba, Jacob Sacks al pianoforte e al Fender Rhodes, Matt Pavolka al contrabbasso e basso elettrico e Dan Weiss alla batteria. Ma il mattatore è sicuramente lui, Ohad Talmor, che sfoggia un'incredibile facilità esecutiva oltre ad una superba vena compositiva. In effetti tutti i brani presentati sono esclusiva opera sua eccezion fatta per “Background Music” di Warne Marsh, il brano d'apertura, “Moon” scritto con Lee Konitz e “New York” di ornette coleman in cui si ascolta uno splendido passaggio suonato all'unisono da tromba e sax. L'album, quindi, è diretta emenazione di Ohad che dimostra di avere tutte le carte in regola per affermarsi nel pur affollato universo dei sassofonisti jazz. Tanto per mettere le cose in chiaro, “Newsreel” si apre per l'appunto con “Moon” su tempo veloce in cui Talmor sfoggia una bella facilità di fraseggio impreziosita da frequenti cambi di registro. A dimostrare di saperci fare anche su ritmi più lenti, il secondo pezzo – “Tabla suite” – si apre con una splendida e lunga intro per sax solo prima che il gruppo “entri” con significativa empatia. Il pezzo più riuscito sembra, comunque, “Americans Dream American Dreams”, una sorta di enciclopedia musicale dei vari linguaggi che oggi è possibile ascoltare nella Grande Mela, con una prevalenza, quindi, di sonorità “elettroniche”.
The European Ekranoplan Agency – “Crime Time” – RadioSNJ records 002
E' possibile far convivere in uno stesso ambiente musicale sonorità acustiche e sonorità elettroniche ? Ovviamente sì, ma chi avesse ancora dei dubbi può ascoltare questo gradevole album inciso da un gruppo dallo strano nome; ma tutto si tiene, nome del gruppo e titolo del disco: “The European Ekranoplan Agency” deriva dai progetti sovietici di schermoplani spia che “disturbavano” i satelliti spia americani nel periodo della guerra fredda; “Crime Time” vuol indicare l'intento di realizzare una colonna sonora ideale di un film “poliziottesco” mai girato, tengono a precisare i musicisti. Insomma un tono scherzoso per un progetto, viceversa, serio e convincente che vede impegnato un ottetto con Achille Succi al clarinetto basso e comprendente il trombettista Luca calabrese, il trombonista Andrea Esperti, il tasterista e organista Lorenzo Paesani, Giampiero Spina alla chitarra elettrica,Alessandro Blasi alla batteria, Tullio Ricci al sax alto e Niccolò Faraci al basso elettrico, autore di tutti i brani presenti nell'album. L'album scorre fluido grazie e alla valenza delle composizioni e alla classe dei musicisti che , sebbene percorrano sentieri già battuti, riescono comunque ad ottenere un sound particolrnente interessante. Si ascolti, al riguardo, soprattutto “Grams” che ci ha ricordato i fratelli Brecker dei tempi migliori.
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Gent.le Michele
Innanzitutto vorrei ringarziarLa per la Sua lettera in quanto dimostra che si può dire tutto, in tono civile, senza trascendere e ricorrere ad insulti assolutamente gratuiti. Quindi pieno accordo sul tono… un po’ meno sul merito. E vediamo perché.
Innanzitutto sgombriamo il campo da un macigno: Lei sostiene, non senza ragione, che “scrivere sarcasticamente “non siamo in presenza di un novello Mingus” di un musicista che, come tutti, profonde un impegno totalizzante in quello che fa, non è certo un modello di eleganza”. Ma forse dimentica: a) che la mia frase è una risposta ad un precedente vero e proprio insulto; b) che la mia considerazione è, comunque, oggettivamente veritiera mentre quella rivolta dal Suo amico al sottoscritto di “sedicente critico” è del tutto soggettiva e gratuita.
Ciò detto occorre un’altra considerazione di fondo: quando un musicista o una casa discografica decide di inviare un disco per “recensione” occorrerebbe forse una migliore conoscenza della lingua italiana nel senso che, cito testualmente dal Vocabolario Treccani, la recensione è un “esame CRITICO, in forma di articolo più o meno esteso, di un’opera di recente pubblicazione”. Ciò per dire che un musicista – ed un artista in generale – deve essere pronto ad accettare il giudizio del pubblico e della critica qualunque esso sia. Certo, tale giudizio lo si può contestare, ci mancherebbe altro!, ma sempre con il dovuto garbo. Invece capita sempre più spesso che quando si parla bene di un disco, di un musicista allora si è professionali e competenti, quando se ne parla male… Ed è proprio ciò che è accaduto con il Suo amico dal momento che – lo ripeto ma è importante – in molte altre occasioni avevo ben parlato della Sua musica senza ricevere in riscontro una sola riga.
Quanto all’altra Sua affermazione circa una presunta superficialità della critica, ovviamente posso rispondere solo a titolo personale e Le dico che prima di scrivere su un disco lo ascolto con attenzione almeno tre volte; dopo di che esprimo un giudizio su quello che ho ascoltato. Certo, le motivazioni sono importanti, ma se un album non mi piace… non mi piace a prescindere dalle motivazioni. E tenga ben presente che – come ho già detto centinaia di volte – non ho la pretesa di dire la verità: esprimo solo un mio parere secondo dei parametri per lo più soggettivi. Ad esempio, a mio avviso, la “spregiudicatezza” in musica è spesso un pregio: nel caso in questione, da musicisti bravi e preparati come Voi – lo ribadisco – io (e forse solo IO Ma poco importa) mi aspettavo qualcosa di più. E’ lecito pensarlo? E’ lecito scriverlo o si compie qualche operazione di lesa maestà? E con ciò credo di averLe risposto anche circa il fatto di giudicare con la “pancia” o meno.
Comunque l’argomento è scottante e quanto meno ci ritornerò con un editoriale.
Per il momento La saluto cordialmente.
Caro Gerlando, non volevo proprio entrare nella polemica, poiché le polemiche tolgono tempo al mio lavoro di musicista, ma la sua risposta piccata mi costringe ad alcune precisazioni, affinché chi legge possa farsi delle idee un po’ più chiare sull’argomento. Mi scuso innanzitutto se i toni esasperati del mio collega, che peraltro conosco come persona garbata e intelligente, sono stati offensivi e premetto che non ho concordato con lui né il precedente intervento, né questo. Lei mi parla di democrazia, ma chi suona sa quanto sia esposto a critiche unilaterali più o meno sensate, che rimangono fissate sulla carta, o in questo caso nelle maglie della rete, senza avere quasi mai la facoltà di spiegarsi. Fa parte del gioco, lo so. In ogni caso, anche scrivere sarcasticamente “non siamo in presenza di un novello Mingus” di un musicista che, come tutti, profonde un impegno totalizzante in quello che fa, non è certo un modello di eleganza. Quello che costantemente ci sembra di notare nella stampa specializzata è comunque davvero una certa superficialità di fondo, che spesso porta a trascurare le ragioni di una determinata scelta musicale. In questo caso, ad esempio, se musicisti di oltre quarant’anni (la ringrazio per l’aggettivo “giovani”!), con alle spalle un lungo percorso trascorso per lo più all’insegna del jazz moderno e d’avanguardia, noti per l’attività di compositori e per collaborazioni con artisti di punta del jazz di ricerca, anche statunitensi ed europei, DECIDE di stampare un CD di jazz di ascolto più facile, ben suonato (da quando questa è una colpa?), “pulito”, è perché è esattamente questo che vuole dare ai propri ascoltatori più o meno fedeli, qualcosa di sincero e gioioso con cui una volta tanto “battere i piedi”. Evidentemente, ci siamo riusciti! Trovo comunque piuttosto gratuita la ramanzina su una nostra mancanza di originalità e “spregiudicatezza” (da quando quest’ultima è un pregio?), che poteva essere evitata tenendo conto di tante scelte coraggiose da ciascuno di noi fatte in passato!
Lei mi dirà che è libero di farsi piacere o meno il CD indipendentemente dalle intenzioni e dal trascorso dei musicisti, che preferisce giudicare “con la pancia”, come si suol dire, e l’obiezione sarebbe lecita, in effetti, ma continuo a credere che chi legge sarebbe felice di qualche informazione in più. Non entrerò più nel merito e non volevo farlo, prima della lettera del mio collega, ma queste precisazioni mi sembravano doverose.
Saluti.
Michele Franzini
Quando, scrivendo di musica, si danno pareri, gia’ il fatto di dare “pareri” significa dire cio’ che si pensa riguardo un determinato lavoro. Dire cio’ che si pensa non significa avere in mano la verita’ assoluta, ma dare un parere, spesso e volentieri richiestoci dagli stessi artisti o dalle case discografiche che li producono. Ma e’ chiara la differenza tra “critico musicale” e “promoter”? A volte sembrerebbe di no. Su questo ci sarebbe da riflettere: anche perche’ di solito se un lavoro ci piace, allora vuol dire che di musica ne capiamo. Se non ci piace, immediatamente cadiamo nel baratro dell’ incompetenza. Ma succede anche che: se un lavoro ci piace, per operatori del settore e/o musicisti che hanno un parere diverso dal nostro riguardo quell’ artista diveniamo incompetenti, e viceversa. Ma anche qui, si parla di pareri! E se semplicemente si ascoltassero i pareri, senza addivenire all’ insulto?
Daniela Floris
Gentile Mangialjo Rantzer,
evidentemente la modestia e la tolleranza non fanno parte del Suo bagaglio culturale, mentre abbonda la presunzione, merce , purtroppo, non particolarmente rara ai giorni d’oggi. In realtà mi scrive quando qualche Suo album non mi piace (cosa possibilissima dato che, a quanto mi consta, non siamo in presenza di un novello Charles Mingus) mentre tralascia le molte volte in cui, evidentemente con estrema superficialità e incompetenza, ho parlato bene della Sua musica. Ma questo è un problema Suo… e la cosa potrebbe chiudersi qui, solo che per rispetto dei miei lettori devo loro qualche ulteriore precisazione.
Sarebbe, innanzitutto, auspicabile che ognuno restasse nel proprio campo: Lei suona e fa dischi, io li critico secondo i miei parametri (che Le piacciano o meno poco importa), Lei a sua volta può benissimo criticare le mie critiche. E fino a quando non ci sarà una qualche forma di Minculpop le cose nel nostro Paese funzionano così. Quello che invece non è concesso, tra persone civili, è ricorrere all’insulto arma che Lei adopera con troppa disinvoltura. Così, volendo scendere al Suo livello, se io sono un “sedicente critico italiano” Lei potrebbe benissimo essere un sedicente artista… Lei poi afferma, in modo apodittico, che la sua musica deve essere per forza valida dal momento che la suona da vent’anni… E allora io che mi procuro da vivere scrivendo da quaranta di anni? Come vede gli argomenti bisogna maneggiarli con cura.
Comunque Le propongo un patto: Lei continui a non leggere le recensioni dei “sedicenti critici italiani” e quando Le arriva una e-mail con un mio scritto la cestini senza leggerlo; io farò a meno di ascoltare la Sua musica: non mi mancherà.
In bocca al lupo
Gerlando Gatto
Anche la sua recensione è scritta con discreta disinvoltura senza sbavatura alcuna, ben scritta ma a conti fatti piuttosto scolastica. Insomma, era necessario metterci qualcosa in più.
Se in 20 anni di carriera musicale, io avessi suonato male e superficialmente come lei scrive le recensioni dei dischi, avrei dovuto cambiare mestiere quasi subito. E invece sono sempre uno dei bassisti più richiesti. Così come apprezzatissimi, soprattutto dai musicisti e dal pubblico che alla fine dei nostri concerti va a casa felice, Franzini, Pintori e Ajmar.
Generalmente non leggo le recensioni dei sedicenti critici italiani da anni, ma questa mi è arrivata via mail e non ho potuto fare a meno di leggerla. Vedo che il livello è sempre bassino…
Le auguro una buona estate.
Tito Mangialajo rantzer