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Pepper Adams & Jimmy Knepper – “Pepper-Knepper”

Pepper Adams & Jimmy Knepper – “Pepper-Knepper”

Ecco un altro ottimo album che documenta uno dei periodi più fulgidi della storia del jazz: il 25 marzo del 1958 un gruppo composto da Pepper Adams al sax baritono, Jimmy Knepper al trombone, Winton Kelly al piano, Elvin Jones alla batteria e Doug Watkins al basso. All’epoca i due leaders si stavano affermando come straordinari strumentisti dal momento che Adam nel ’57 era stato nominato dall’International Critic’s Poll miglior nuovo baritonista, mentre l’anno successivo Knepper veniva considerato il miglior nuovo trombonista. Accanto a loro tre musicisti che già alla fine degli ani ’50 avevano a ben ragione focalizzato l’attenzione di pubblico e di critica. Insomma una formazione letteralmente stellare che da vita ad una seduta di incisione davvero memorabile. Sette i brani incisi; si apre con un pezzo di John Hendricks cui fa seguito un piccolo gioiello scritto appositamente da Duke Ellington per Ben Webstrer, “All too soon”: è l’occasione giusta per dare modo a Pepper di esprimere tutte ls aua abilità nell’improvvisazoone melodica piegando il suo non faciloe strumento alle proprie necessità espressive; ma a questo pounto è tutto il gruppo che funziona alla perfezione con Kelly e Knepper in bella evidenza nei loro rispettivi interventi solistici. E questo stesso clima si respira per tutta la durata dell’album impreziosito, tra l’altro, da una bella versione di “I didn’t know abaout you” ancora di Ellington in cui, oltre agli assolo dei due fiati, è possibile ascoltare Kelly in uno stupefacente intervento all’organo.

Come bonus l’album contiene altre tre tracce registrate il 12 novembre 1957 dalla stessa formazione, eccezion fatta per Sonny Redd al sax alto che sostituisce Knepper.

Chet Baker – “I can’t get started – Live in Palermo 1976”

Chet Baker – “I can’t get started – Live in Palermo 1976”

Eccellente documento di quel Chet Baker che mai delude i suoi estimatori: un concerto effettuato a Palermo nel 1976 dal trombettista  accompagnato da Giovanni Tommaso al basso, Gianni Cavallaro alla batteria ed Enzo Randisi al pianoforte, l’unica volta in cui Randisi ha suonato con Chet ed una delle rarissime occasioni in cui si può ascoltare il musicista palermitano al piano dato che il suo strumento principale era il vibrafono. Ciò detto, va aggiunto subito che quella sera del 16 gennaio 1976 Chet era in un momento di grazia sia alla tromba sia come vocalist. A quest’ultimo proposito tre sono i  brani in cui Chet canta – “There will never be another you”  registrata per la prima volta da Baker nel 1954, il celeberrimo “My funny Valentine” inciso per la prima volta nel 1952 con Gerry Mulligan e l’altrettanto famoso “But not for me” – e tutte e tre le volte Baker fa sfoggio di quel particolarissimo modo di affrontare la melodie e di articolare la voce che hanno reso le sue interpretazioni uniche. Sotto il profilo strumentale, la tromba di Chet evidenzia quella squisita sensibilità, quel sound così particolare e soprattutto quell’originalità di linguaggio per cui Baker rimarrànella storia del jazz. Il repertorio, accanto a molti classici del suo repertorio come, ad esempio, “Milestones” e “Solar” in cui Chet dimostra tutto il suo amore e rispetto per Miles Davis senza, però, minimamente imitarne lo stile, presenta anche brani meno battuti da Baker come “Stellar” eseguito in medley con “Buzzy”. Insomma un album assai interessante e per più di un motivo. 

Kekko Fornarelli – “Room of mirrors”

Kekko Fornarelli – “Room of mirrors” – Auand 3002

Il pianista barese Kekko Fornarelli giunge al suo terzo album con un nuovo progetto denominato “Kube”; la formula è sempre quella del trio completato, questa volta , da Luca Bulgarelli al contrabbasso e Gianlivio Liberti alla batteria. Ed anche i modelli di riferimento sembrano gli stessi vale a dire Michel Petrucciani a cui era dedicato esplicitamente “A French Man in New York” (il precedente album), il migliore Esbjorn Svensson con il gruppo E.S.T. e quindi, in ultima analisi, quel Bill Evans che ha rivoluzionato la concezione del trio pianoforte-contrabbasso-batteria. E non v’è dubbio che questo tipo di “lezione” sia stata perfettamente assimilata da Kekko: la “sua” formazione si muove su coordinate stilistiche ben precise per cui non esiste una gerarchia strumentale ma il tutto si regge sull’interplay e quindi sulla capacità di ognuno di ascoltare l’altro. Di qui una musica sempre fresca, che sembra sgorgare spontanea dall’incontro fra i tre, anche se ad un ascolto più attento risalta abbastanza chiara la predilezione di Fornarelli per una scrittura attenta, ben calibrata che non lascia molto spazio all’improvvisazione. In effetti nelle note di copertina (su cui ci consentirete una notazione finale) Kekko spiega la genesi del disco vale a dire la volontà di confessarsi, di aprirsi dinnanzi a chi ti ascolta. Ecco quindi il brano di apertura (che da il titolo al CD): il pianista immagina di essere in una “Stanza degli specchi” che riflettono gli  aspetti della sua personalità. Da qui l’inizio di un viaggio che, attraverso le otto composizioni del leader, dovrebbe lumeggiare varie situazioni della vita quotidiana, dalla frenesia delle nostre azioni (“Daily Jungle”) al viaggio notturno verso casa (“Night lights”). Sono necessarie queste spiegazioni per capire la musica e soprattutto la musica illustra davvero tali stati d’animo? Ad avviso di chi scrive assolutamente no … fermo restando che si tratta di un ottimo jazz … anche se svincolato da questa sorta di “concept” che così come le dediche sembrano diventati elementi indispensabili per i jazzisti nostrani. Il sound del gruppo è quanto mai elegante e piuttosto originale anche quando Fornarelli si esprime “elettronicamente”; il materiale tematico è di prim’ordine grazie alla profonda conoscenza musicale dell’autore che gli consente di riferirsi, sempre in modo pertinente, a vari universi sonori; per finire, la bravura dei singoli è fuori discussione. Ed eccoci a quella considerazione cui prima si faceva riferimento: evidentemente se si introducono delle note di accompagnamento è perché le si ritiene importanti? Allora non sarebbe meglio abbandonare astrusità grafiche e consentire una lettura più facile?

Dexter Gordon – “The resurgence of Dexter Gordon”

Dexter Gordon – “The resurgence of Dexter Gordon”

Era il 1955 quando Dexter Gordon incideva “Dexter Plays Hot and Cool”; dopo questo album sarebbero passati cinque lunghi anni prima che il tenorista tornasse in sala di incisione a Los Angeles, il 13 ottobre del 1960, per dare vita a “The resurgence of  Dexter Gordon” (Jazzland JLP29) che viene riproposto in questo CD; la formazione comprende, oltre al leader, Richard Boone al trombone, Martin Banks alla tromba, Dolo Coker al piano (e si tratta dell’unica collaborazione discografica tra Gordon e il pianista), Charles Green alla batteria, Lawrence Marable al contrabbasso.

Come bonus l’album contiene altre sei tracce registrate da Dexter Gordon sempre a los Angeles il 27 e 28 settembre 1955 con Frank Rosolino al trombone, Conte Candoli alla tromba, Lou Levy al piano, Leroy Vinnegar al contrabbasso e Stan Levey alla batteria.  E a questo punto ogni appassionato di jazz si sarà reso conto della musica contenuta nell’album: un robusto e sanguigno hard-bop eseguito da uno dei migliori sax tenori che abbiano illuminato la storia del jazz. In particolare il repertorio contiene due composizioni di Gordon e quattro di Dolo Coker, che, quando uscì l’album, vennero accolte assai bene dalla critica. Particolarmente convincente il brano d’apertura, “Home Run”, che evidenzia tutta l’abilità di Godon nel comporre brani dalla suadente linea melodica, abilità che egli stesso riconosce di possedere mentre si dichiara non particolarmente versato per l’arrangiamento, “una vera e propria arte a sé”. Ancora la ricerca della melodia caratterizza l’altro brano di Gordon, “Jodi”, mentre le composizioni di Coker si adattano perfettamente allo stile di Dexter che ha così modo di evidenziare le sue grandi doti di improvvisatore.

Julia Hülsmann Trio – “Imprint”

Julia Hülsmann Trio – “Imprint” – ECM2177

Registrato a marzo del2010 aOslo dalla pianista Julia Hülsmann con Marc Muellbauer al contrabbasso e Heinrich Köbberling alla batteria, l’album è il secondo registrato dalla pianista tedesca per la ECM dopo “End of a summer” del 2008. Ma, se la collaborazione con la ECM data solo qualche anno, quella del trio è di gran lunga più “antica” dal momento che i tre suonano assieme (sia in trio sia all’interno di formazioni più grandi) da oltre quindici anni. Questo elemento risulta particolarmente importante per una più corretta comprensione di “Imprint”. La Hülsmann è pianista di grande livello ma è altresì compositrice di vaglia: ben sette dei dodici brani contenuti nel CD sono suoi; ebbene nella sua scrittura la musicista tedesca non fa alcun mistero di prediligere la ricerca melodica alla ricerca di una profonda introspezione da condividere con i suoi partners. Ecco quindi brani come “”A Light Left On” o “Juni” in cui si può apprezzare un notevole sviluppo tematico; e a questa esigenza Julia piega il suo stile, quindi niente esercizi muscolari, niente particolari difficoltà tecniche, nessuna escursione su tempi veloci o velocissimi ma un sapiente distillato di note, in cui ad ogni singolo tocco – per altro di straordinaria classe – corrisponde quel suono, proprio quello cercato, voluto e trovato con apparente e ingannevole semplicità; dal canto loro Köbberling evidenzia tutta la sua bravura anche con le spazzole mentre Muellbauer disegna semplici ma raffinate armonie dettando allo stesso tempo una sorta di timing. In definitiva se ancora amate il trio alla Bill Evans questo disco fa per voi.

Francesco Lo Cascio – “Air”

Francesco Lo Cascio – “Air” – Terre Sommerse TSJEI012

“Air” è il nome del gruppo e del nuovo progetto con cui il vibrafonista si presenta al pubblico del jazz. Al suo fianco Alipio C Neto al sax soprano (e in “Bugsland” al sax tenore) e Federico Ughi batteria e cymbals. E già dall’organico si evince che siamo in presenza di un gruppo, e quindi di una musica, basato essenzialmente sull’improvvisazione. Ora non v’è dubbio che la “gradevolezza” sia uno dei parametri per valutare la bontà di una musica … ma, per fortuna, non v’è altresì dubbio che si tratti di un elemento tutt’altro che esaustivo, come tra le righe fa intendere Bruno Tommaso nelle interessanti note che accompagnano il  CD. In effetti, specie quando si tratta di musica improvvisata, è altrove che va indirizzata l’attenzione dell’ascoltatore: così, ad esempio, va considerato il grado di interazione raggiunto tra i musicisti e la capacità degli stessi di far viaggiare le proprie idee riuscendo comunque a comunicare qualcosa al di fuori dei soliti schemi. Sotto il primo profilo i tre sono perfettamente in sintonia riuscendo ad ascoltarsi con estrema attenzione tanto da instaurare un gioco sulle dinamiche di grande efficacia: straordinaria, soprattutto, la capacità di esprimersi con “pianissimi” di grande suggestione. Sotto l’aspetto comunicativo, pur trattandosi di musica non facile, l’ascoltatore attento troverà comunque molteplici motivi di interesse tra cui l’originalità degli impasti sonori, la particolarità dei colori strumentali, l’aderenza ad una certa “colonna sonora” che scandisce i ritmi della nostra vita.

MUSIKORCHESTRA DI  LUCA GARLASCHELLI – “Mingus in strings vo.1”

MUSIKORCHESTRA DI  LUCA GARLASCHELLI – “Mingus in strings vo.1” Rdio SNJ – 012

Come tutti possiamo facilmente constatare, quando una musica è fortemente caratterizzata risulta assai difficile ripresentarla con una veste del tutto nuova. Ora nel mondo del jazz la musica di Charles Mingus è talmente caratterizzata, talmente personalizzata che si fa grande fatica solo a pensarla eseguita da altri musicisti … figuriamoci se poi se ne vuole stravolgere il senso con una interpretazione basata esclusivamente sugli archi. Ebbene proprio questo è il senso della sfida affrontata dal contrabbassista Luca Garlaschelli: “liberare Mingus dagli stereotipi, per cogliere solo l’essenza di quello che lui ha scritto e trasporla in una formazione musicale quasi antitetica a quello che lui rappresentava.” Ecco,    quindi, questo CD di musiche mingusiane eseguite da un classico quintetto d’archi completato da due violini (Emanuele Parrini e Mariella Sanvito) una viola (Paolo Botti) e un violoncello (Eliana Gintoli). In alcuni  brani figurano, poi, in qualità di ospiti, la cantante Tiziana Ghiglioni, il pianista Davide Corini e il clarinettista Paolo Tomelleri. In repertorio undici brani, di cui dieci scritti da Mingus ed uno, “Mingus tango”, composto dallo stesso Garlaschelli.. Confesso che quando ho inserito il CD nel lettore lo scetticismo era tanto … ma alla fine dell’ascolto ho dovuto ricredermi. Intendiamoci: le versioni originali sono inarrivabili ma la chiave interpretativa cercata e trovata da Garlaschelli è tutt’altro che trascurabile. Il contrabbassista ha innanzitutto studiato a fondo le composizioni di Mingus cercando di carpirne lo spirito dopo di che le ha adattate ad una formazione di tipo completamente diverso, cercando di valorizzarne gli aspetti melodici ed armonici. Il tutto avendo l’accortezza di farsi coadiuvare da musicisti in grado di cogliere il senso dell’operazione. Di qui la scelta di musicisti quali Parrini, Sanvito, Botti e Gintoli in grado sia di eseguire alla perfezione musica scritta seppure di grande difficoltà, sia di improvvisare con assoluta libertà. Il risultato è davvero sorprendente. Non ci credete? Ascoltate il CD e ne riparliamo!

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