A Proposito di Jazz – Di e con Gerlando Gatto

I nostri CD

Agosto

Tempo di lettura stimato: 21 minuti

Bann – “As you like”

Bann – “As you like” – Jazzeyes 010
“Bann” è l’acronimo ottenuto dalle iniziali dei quattro musicisti che compongono il gruppo, vale a dire Seamus Blake al sax tenore, Jay Anderson al contrabbasso, il chitarrista israeliano Oz Noy e il batterista Adam Nussbaum. Insomma un gruppo di vere e proprie all stars in quanto Blake è sassofonista oramai ben noto ed apprezzato negli ambienti jazzistici internazionali, Nussbaum è batterista oramai di gran nome essendosi definitivamente affermato nel trio di John Scofield con Steve Swallow, Anderson è musicista assai versatile capace di collaborare con jazzisti quali Paul Bley e Mike Stern.. ma anche con musicisti di estrazione totalmente diversa come Frank Zappa e Tom Wiats; l’unico che, per così dire, esce fuori dal coro è il chitarrista Oz Noy: israeliano di nascita ma residente a New York fin dal 1996, il musicista ha finora frequentato territori non proprio jazzistici, suonando funk, rock, blues con artisti quali Jeff “Tain” Watts, Anton Fig, Keith Carlock, Will Lee e Reggie Washington. In attività fin dal 2007, il gruppo non aveva però finora avuto modo di entrare in sala di incisione per cui questo è il loro primo disco, da seguire, quindi, con ancora maggiore interesse. E il risultato è senza dubbio alcuno positivo. In effetti quella diversità di linguaggio tra i musicisti cui si accennava in precedenza si avverte assai chiaramente soprattutto quando a prendere gli assolo si susseguono in rapida successione sassofonista e chitarrista. L’impostazione rock-funky del secondo è come una sorta di rapido cambio di direzione che tuttavia non nuoce alla compattezza del gruppo, capace di esprimersi su livelli altissimi sia che si preferisca il linguaggio più prettamente jazzistico sia che ci si esprima su territori affini. Esemplari, al riguardo, a lumeggiare i rispettivi ambiti “Played twice” di Thelonious Monk e “Minor Shuffle” di Oz Nov.

Wolfert Brederode – “Post Scriptum”

Wolfert Brederode – “Post Scriptum” – ECM 2184
Il pianista olandese Wolfert Brederode è alla sua seconda esperienza discografica con la ECM dopo “Currents” del 2007, e guida lo stesso gruppo di allora con il clarinettista Claudio Puntin, il batterista Samuel Rohrer (entrambi svizzeri) e il contrabbassista norvegese Mats Eilertsen che si è fatto conoscere anche al fianco di Trygve Seim. Il repertorio è costituito tutto da originals scritti dai quattro: in particolare Eiletrsen ha firmato tre composizioni, Puntin e Rohrer una cadauno, e Brederode le rimanenti nove. Dei quattordici brani alcuni erano preesistenti, altri sono stati composti per l’occasione: così i due pezzi di Eilertsen – “Wall View” e “Aceh” – erano già presenti in “Radio Yonder” (Hubro, 2009). Il clima che si respira è quello classico ECM, quindi un’atmosfera rarefatta ma sempre rigorosa, con i musicisti che evidenziano grande interplay e raffinata eleganza in un eloquio di apparente semplicità, alla costante ricerca del migliore equilibrio tra scrittura e improvvisazione. L’apertura dell’album è affidata a “Meander” del leader e rappresenta una sorta di mini-manifesto dell’estetica dell’album, con il pianismo di Brederode così lirico ed essenziale, il supporto ritmico-armonico di batteria e contrabbasso sempre puntuale pur non disdegnando i due sortite solistiche (si ascolti ad esempio Eilertsen in “Angelico”) e Puntin più volte brillante nel disegnare complesse serpentine così come delicate linee melodiche e in questi casi il pianista si produce in delicati e preziosi arpeggi che evidenziano la sua abilità anche di accompagnatore. Insomma un album raffinato per orchestre raffinate.

Mauro Campobasso, Mauro Manzoni – “Ears wide shut. Homage to Stanley Kubrick”

Mauro Campobasso, Mauro Manzoni – “Ears wide shut. Homage to Stanley Kubrick” – Parco della Musica Records
Progetto sulla carta ambizioso, e nella realtà ben riuscito quest’ultimo album prodotto dalla parco della Musica Records. Si tratta di un doppio CD interamente dedicato all’immaginifico universo del regista Stanley Cubrick, ideato da un quartetto guidato dal chitarrista Mauro Campobasso e dal sassofonista Mauro Manzoni e completato dal bassista Stefano Senni e dal batterista Francesco Cusa. Chi segue questa rubrica sa benissimo come il vostro cronista non ami particolarmente i dischi “dedicati” ritenendo che il più delle volte si tratti di una sorta di ammiccamento verso una certa parte di pubblico e che la musica abbia nulla o scarsa attinenza con il tema trattato (e ne abbiamo un esempio anche in questo numero de “I nostri CD”). Questa volta il discorso è completamente diverso: i brani tratti dai film di Kubrick sono tutti lì a disposizione di chi voglia riascoltarli e quindi la pertinenza o meno della musica prodotta dal quartetto di Campobasso e Manzoni trova un facile termine di paragone.
Ma il gruppo non si è limitato a rileggere alcuni temi celebri contenuti nei film del regista, avendo preso a modello l’intero mondo sonoro kubrickiano che, come acutamente osserva Stefano Zenni, “ha acquisito nel tempo una sua autonomia, quasi fosse una realtà indipendente slegata dalle immagini e soggetta a regole proprie”. Di qui un’operazione non solo musicale ma culturale nell’accezione più vasta del termine nel senso che si è riusciti a rileggere in funzione prettamente musicale una materia, una narrazione, un mondo originariamente più complesso quale può essere il contenuto di una serie di opere filmiche. Ovviamente l’impostazione teorica del tutto ha trovato un eccellente riscontro nella straordinaria performance del gruppo che si è espresso sempre su livelli assai elevati con sonorità alle volte riconducibili alle atmosfere tipiche della ECM.

Mattia Cigalini – Res Nova

Mattia Cigalini – Res Nova – My Favourite Records 8034135080219
Solitamente musicisti talentuosissimi e molto giovani stupiscono positivamente, ma soffrono di una sorta di “impazienza impulsiva” che li porta a scoprire tutte le carte tecniche che hanno a disposizione. Ascoltando il ventunenne Cigalini in questo notevole “Res Nova” ciò che stupisce invece (oltre all’indubbia bravura) è la maturità espressiva, la capacità di utilizzare musicalmente tutto il proprio know how, che non è sola tecnica ferrea, ma è fatto di musica ascoltata, freschezza compositiva (i brani sono tutti originali), e anche, se così si può dire, vero e proprio “buon gusto”. No ai virtuosismi fini a se stessi dunque, che spesso sono tentazione irresistibile per gli strumentisti più capaci tecnicamente, neanche nei momenti più atonali e frenetici, (“Fantasy”), in un dipanarsi d’idee variegate e sviluppate musicalmente sempre fino in fondo. No neanche alla superficialità dell’accennare e precipitosamente andare oltre. Ogni pezzo è articolato (magari alternando episodi armonici ritmici) ma non artefatto (un esempio? “Faith”, otto minuti abbondanti di spunti, un lungo solo di sax con fraseggi di ampio respiro e dinamiche curatissime); i brani sono magari caratterizzati da temi accattivanti e persino orecchiabili nonostante non siano mai scontatamente semplici (“Love” rimane in testa anche al primo ascolto); oppure possono essere struggenti, come “Dreams”, in cui ancora una volta e’ da sottolineare la bravura intensa e raffinata di Yuri Goloubev al contrabbasso, che in tutta quest’ ora abbondante di musica non fa che rendere prezioso ogni singolo attimo, per la sua sensibilità nel trattare ogni minimo spunto, facendo un lavoro davvero splendido. Ma anche Mario Zara al pianoforte e Tony Arco alla batteria mostrano di essere appassionati “architetti” di suggestioni, jazzistiche e anche musicali in assoluto: “Hope” e’ un esempio di morbidezza e feeling, perseguiti dal primo momento, di ricerca timbrica, in cui la batteria ha un’ importanza fondamentale nel dare il senso ad un flusso sonoro suggestivo; dal canto suo il pianoforte swinga, e diventa indolentemente latino, svoltando infine armonicamente in un ambito tonale ed armonico più classico, con disinvolta ed intensa capacità di reinventare se stesso.
Un cd da ascoltare più volte, per la ricchezza di particolari, un artista da seguire attentamente fin da ora, fin da subito. (Daniela Floris)

Stefano Di Battista – “Woman’s Land”

Stefano Di Battista – “Woman’s Land” – Alice Records
Stefano Di Battista è una delle punte di diamante del jazz made in Italy; il suo stile, il suo sound sia all’alto sia al soprano, sono oramai perfettamente riconoscibili a conferma della statura del musicista. E questa valenza si rende del tutto evidente sia nei concerti sia nei dischi che il sassofonista registra con buona parsimonia. Questo “Woman’s Land” è l’ultima creatura e come dice il titolo è dedicato alle donne, o meglio ad alcune grandi personalità che hanno informato la storia. A questo punto, prima di proseguire, si rende necessaria una precisazione: l’album è superlativo, Di Battista è in gran forma perfettamente coadiuvato da suoi compagni di viaggio: semplicemente strepitoso Jeff Ballard alla batteria, preciso e armonicamente prezioso Francesco Puglisi al contrabbasso, sempre pertinente Jonathan Kreisberg alle chitarre acustica ed elettrica, originali i due pianisti Roberto Tarenzi e Julian Oliver Mazzariello il tutto impreziosito dalla voce di Ivan Lins in “Rita Levi” e dalla tromba di Fabrizio Bosso in “Maria Lany” e “Lucy”. Quanto al repertorio i dodici brani, tutti di Di Battista, appaiono ben scritti, ben costruiti e altrettanto ben arrangiati. Insomma un disco di notevole livello, forse non tra i cento da portare sulla luna, ma sicuramente tra i migliori di quest’anno. Eppure tutto ciò non è bastato ché oggi se non hai un “progetto” sei nessuno. Ecco, quindi, l’idea “forte” come si dice oggi: dedicare non solo l’album ma ogni singolo brano ad una donna particolarmente importante. Ed ecco quindi Gino Castaldo (quello de “Il buio, il fuoco, il desiderio” in cui si annuncia la fine della Musica) vergare dodici brevi dediche rivolte nell’ordine a Rita Levi Montalcini, Molly Bloom, Maria Lani, Anna Magnani, Madame Lily Devalier, Josephine Baker, Ella (Fitzgerald ovviamente), Lara Croft, Lucy, Coco Chanel, Valentina Tereskova… coerente il titolo “Woman’s Land”… e il disco è pronto. Ora, senza entrare nel merito del discorso circa la coerenza dei brani con ogni singolo personaggio, vorrei rivolgere un sincero invito a Di Battista: caro Stefano – scusami se ti do del tu – ma oramai sei un vero fuoriclasse, uno dei migliori sassofonisti che il Vecchio Continente possa vantare, eccellente compositore; la tua musica basta da sola a deliziarci… veramente non ha bisogno d’altro!

Emoticons – “No project”

Emoticons – “No project” – Abeat ABJZ 090
Dal linguaggio del Web a quello della musica… e non poteva essere diversamente data l’importanza che la Rete ha assunto nella vita di tutti noi. Così “Emoticons” è il nome di un nuovo gruppo, ma è anche il termine che identifica quelle faccette con cui si accompagnano le email o gli sms, segni grafici che indicano stati d’animo: gioia, dolore, sorpresa.. e via discorrendo. Ed in effetti di emozioni questo gruppo ne elargisce a pieni mani. Composto da Luigi Masciari alla chitarra, Cristiano Arcelli al sax alto, Luca Pirozzi al contrabbasso e Alessandro Paternesi alla batteria, con l’aggiunta del pianista Danilo Rea, splendido special guest in tre brani, “Emoticons” propone un repertorio assai variegato composto da due brani di chiara ispirazione jazzistica (“Sleep safe and warm” di Krzysztof Komeda meglio conosciuto come colonna sonora del film “Rosemary’s Baby” di Polanski, e “Adam’s apple” di Wayne Shorter), due originals di Masciari e Paternesi, e ben quattro pezzi provenienti dal mondo rock e pop ossia veri e propri cavalli di battaglia di “Radiohead”, Paul McCartney, Stevie Wonder e Leonard Cohen. Pur alle prese con brani così diversificati, il gruppo mantiene un’invidiabile unità di linguaggio offrendo interpretazioni sempre coerenti, a volte addirittura entusiasmanti, sorrette sia da una formidabile intesa sia dalla valenza dei singoli. Al riguardo si ascoltino con particolare attenzione Luca Pirozzi in “Sleep safe and warm”, e Luigi Masciari e Cristiano Arcelli in “Adam’s apple” mentre il brano più debole è forse “I Will” di McCartney in quanto il gruppo non è riuscito a riproporre adeguatamente lo spirito dell’ex Beatles.

Maurizio Giammarco – “Cieli di Sicilia”

Maurizio Giammarco – “Cieli di Sicilia” – Anaglyphos Records NTA05
Mi sono occupato lungamente di Maurizio Giammarco nel recentissimo “The Jazz Yearbook 2011” ma torno a parlarne assai volentieri in quanto ritengo Giammarco uno dei musicisti più completi, seri, preparati ed originali che calchino le scene del jazz internazionale. L’occasione è offerta, questa volta, da un CD prodotto dall’Anaglyphos Records di Nello Toscano (valente musicista siciliano) che contiene “Cieli di Sicilia”, una suite in sette movimenti e tre ulteriori brani, tutti (ad eccezione dello storico “Caravan”) scritti da Maurizio su commissione dell’Orchestra Jazz del Mediterraneo (OJDM). In effetti il sassofonista e direttore d’orchestra (negli ultimi anni ha guidato la Parco della Musica Jazz Orchestra) in questa occasione dirige l’ OJDM sorta nel 1998 da un laboratorio musicale orchestrale realizzato dal bassista Nello Toscano, offrendo occasione di crescita ad alcuni jazzisti oggi famosi come Francesco Cafiso e Dino Rubino, quest’ultimo presente nel CD come ospite d’onore al flicorno. L’album rappresenta una tappa importante nella pur lunga carriera di Giammarco : si tratta del primo lavoro orchestrale che esce a suo nome in quanto nei CD della Parco della Musica Jazz Orchestra sono comunque presenti anche brani di altri arrangiatori. Venendo alla musica del CD, la suite rappresenta assai bene la maturità compositiva raggiunta da Giammarco: si tratta, in buona sostanza, di una serie di suggestioni suggerite al musicista dai frequenti viaggi da lui svolti nell’Isola e che gli hanno consentito di scrivere una musica fresca, originale e soprattutto pertinente con i titoli scelti. Così, ad esempio, ben appropriato il tono – tra l’elegiaco e il maestoso – per omaggiare Segesta, centro archeologico tra i più importanti dell’intera area mediterranea dato che presenta un tempio giustamente considerato uno dei più perfetti e meglio conservati esempi di architettura dorica; in questo brano notevole l’assolo di Dino Rubino. Ugualmente centrato il secondo brano, dall’andamento swingante e sghembo a celebrare Catania, una città dalle mille contraddizioni che tra gli anni ’60 e ’70 vide svanire nel nulla il mito di “Milano del Sud”. Comunque il brano forse più azzeccato dell’intera suite è il quarto dedicato a Capaci vale a dire alla memoria dei giudici Falcone e Borsellino; l’andamento è grave, l’atmosfera pesante, il tono un misto di tristezza e rabbia ben reso sia dalla composizione sia dall’interpretazione dell’orchestra con gli assolo di Orazio Maugeri e Gaetano Cristofaro ambedue alle ance. Al di fuori della suite, splendida la versione del classicissimo “Caravan” in cui Giammarco si fa apprezzare come strumentista oltre che come arrangiatore.

Salvo Lazzara – “Materia e memoria”

Salvo Lazzara – “Materia e memoria” – Fonosfere FNF102
Il chitarrista e bassista Salvo Lazzara, d’origine siciliana ma da anni residente ed operante nella Capitale, si presenta alla testa di un quintetto con Davide Guidoni batteria, percussioni, programming, Alessandro Toniolo flauto, Luca Pietropaoli tromba e flicorno, Fabio Anile piano e testiere. Musicista di estrazione rock-britannica, Lazzara ha successivamente frequentato molti territori musicali quali la new wave, la dark wave electronic, il rock progressive… e tutte queste esperienze si avvertono immediatamente non appena parte la prima traccia dell’album: il linguaggio è abbastanza originale impregnato di umori e sapori provenienti per l’appunto da universi musicali assai diversificati. Le atmosfere si susseguono cangianti: ora eteree, quasi sospese, ora materiche impregnate di un sapore urbano grazie soprattutto ai loop elettronici usati con sagacia. I brani si susseguono uno dopo l’altro, però giunti al quinto, sesto l’impressione generale muta: è come se ci si attendesse una sorta di cambio di marcia, un salto di qualità che viceversa non arriva. A questo punto la musica appare ripetitiva e questa sensazione ci accompagna fino alla fine del CD. Insomma un disco che presenta molti lati positivi ma che rappresenta altresì una sorta di occasione mancata: Lazzara può fare di meglio e sono certo ce ne darà presto la prova.

Angelo Lazzeri Trio – “Pipelettes”

Angelo Lazzeri Trio – “Pipelettes” – Dodicilune Ed279
Angelo Lazzeri alle chitarre, Daniele Mencarelli al contrabbasso e basso elettrico e Paolo Corsi alla batteria sono i componenti di questo trio tutt’altro che banale. Splendida intesa, eccellente equilibrio tra sezione ritmica e chitarra solista, sapiente uso della dinamica: queste, in estrema sintesi, le note caratterizzanti la cifra stilistica del trio. Evidentemente il peso maggiore è sulle spalle del leader che si dimostra eccellente solista sia alla chitarra acustica sia a quella elettrica, nonché eccellente compositore dal momento che nove dei dieci pezzi contenuti nel CD sono suoi (l’altro è il celebre “Alone Together” di Arthur Schwartz). L’album si apre con il brano che da il titolo all’intero album, una composizione dalle architetture piuttosto complesse in cui Lazzeri offre un primo assaggio delle sue ottime capacità esecutive, immediatamente confermate dal successivo “Bumble bee” in cui si ascolta, anche, un bell’ assolo di Paolo Corsi alla batteria. In “The Unsung Heroes” e “Corso Cavour” Lazzeri passa alla chitarra acustica ma la musica non ne risente in quanto il sound è sempre piuttosto originale e più serrato che mai il dialogo con batteria e soprattutto contrabbasso (specie nel primo brano). L’album si chiude con una splendida versione di “Alone Together” interpretata in duo senza batteria: Lazzeri e Mencarelli dialogano alla pari con grande raffinatezza armonica.

Roberto Magris – “Morgan rewind: a tribute to Lee Morgan Vol.1”

Roberto Magris – “Morgan rewind: a tribute to Lee Morgan Vol.1”
Il pianista triestino Roberto Magris ha costruito buona parte delle sue fortune anche all’estero; in particolare dal 2006 ha sviluppato una fruttuosa collaborazione negli States con Art Davis già bassista di John Coltrane, Albert “Tootie” Heat celeberrimo batterista e Idris Muhammad incidendo numerosi album per la JMood Records. Questo CD si inserisce per l’appunto in questo filone: il produttore Paul Collins ha proposto a Magris di incidere un album dedicato al trombettista Lee Morgan e il pianista ha accettato di buon grado… anche perché, al suo fianco, ci sono Brandon Lee alla tromba (assai arduo se non impossibile il compito di eguagliare Morgan), Logan Richardson al sax alto, Elisa Pruett al contrabbasso e soprattutto Albert Heath alla batteria. Quest’ultimo ebbe modo di suonare con il trombettista quando ambedue stavano iniziando la carriera a Philadelphia e il CD, nella track “Audio Liner Notes”, contiene una intervista di Heath proprio sul celebre trombettista di cui vengono svelati aspetti poco noti. Ciò detto, l’album risponde appieno alle attese: certo, come accennato, riprodurre Morgan è impresa impossibile ma ricreare il clima, l’atmosfera della sua musica è obiettivo centrato in pieno da Magris e compagni. Il pianista ha lavorato sia su materiali preesistenti sia su nuove composizioni riuscendo a dare al gruppo una precisa identità; dal canto loro i musicisti si muovono con invidiabile interplay, in puro stile bop, con Magris che evidenzia ancora una volta un pianismo scintillante, con una destra sempre particolarmente veloce e flessibile ed una straordinaria capacità di armonizzare con ambedue le mani: insomma un pianista dalla tecnica raffinata che dopo tanti anni ha oramai raggiunto uno suo stile del tutto personale.

Mr. Rencore + Tim Berne – “Intollerant”

Mr. Rencore + Tim Berne – “Intollerant” – Auand AU 9024
Dalla fantasia compositiva “scardinante” di Gabrio Baldacci (bariton guitar, bass, loops, efx) nasce questo cd visionario, piacevolmente illogico e persino un po’ ipnotico, sempre che si sia naturalmente nel mood giusto e rilassato per godersi un po’ di entropica ed atonale improvvisazione. Nell’ illogicita’ infatti la logica e’ proprio quella della sperimentazione e della ricerca, dunque potremmo descrivere “Intollerant” come una serie di negazioni: no alla melodia, intesa come un susseguirsi di suoni che hanno un senso solo relativamente uno all’ altro secondo uno schema “colto”; no alla strutturazione ritmica, no ad un’ armonia predefinita e riconoscibile. Ma anche come una serie di affermazioni: si alla ricerca timbrica e sonora, si ad un susseguirsi di suoni che abbiano un senso nuovo, ruvidamente espressivo, quasi “onomatopeico” di sentimenti emotivi che non raccontano ma rumorosamente emergono in tutta la loro ruvida e stridente inquietudine. Se l’ “Intollerante” vive perennemente con uno stato d’ animo di sdegnato fastidio che prende piede dalla propria percezione della realta’ intorno a se’ (e che percepisce intollerabilmente diversa da se’), quello stato d’ animo e’ reso alla perfezione dalla contingenza impellente dell’ improvvisare sfidandosi all’ ultima nota. Anzi… non sfidandosi. Piuttosto stimolando la reattivita’ reciproca in un crescendo in cui non ha neanche senso notare che il clarinetto basso di Beppe Scardino fa le veci dell’ assente contrabbasso, o che il sax alto di Tim Berne grida ma anche implode, o che Gabrio Baldacci stesso e’ ben presente e rilevabile anche negli unisoni con il sax, e ci sono momenti in cui la batteria di Daniele Paoletti – nonostante sia completamente libera- sembra essere l’ unica ad avere un effetto “strutturale” in quell’ entropico divenire. Dall’ improvvisazione libera collettiva di “Bren Corner” al più placido e sospeso “Book B” l’ effetto e’ (se si e’ in vena) dirompente e coinvolgente. (Daniela Floris)

OpraChina – “OpraChina”

OpraChina – “OpraChina” – SLAM 527
“OpraChina” – spiegano i musicisti – è un neologismo adoperato per indicare l’alienazione di molta parte del lavoro odierno. Ad interpretare questo particolare aspetto della moderna realtà, un quartetto composto da Massimo Bognetti alle chitarre, Errico De Fabritiis ai sax, Fabio Fochesato alla chitarra basso, contrabbasso nonché responsabile di buona parte degli arrangiamenti, Adriano Galinari alla batteria e percussioni. Il gruppo è sorto nel 1999 nella rassegna “Along Came Jazz. La ricerca in Italia” organizzata a Tivoli e Roma e il primo lavoro – “The Jazz Farm” – data del 2007 e si è imposto come l’album italiano in Creative Commons più scaricato venendo, proprio per questo, premiato al Midem di Cannes nel 2009. Anche in questo secondo album, il quartetto si basa su un repertorio “originale” essendo tutti i brani composti da Bognetti (otto) o De Fabritiis (tre). Come la maggior parte dei gruppi di ricerca attuali, anche la musica di “OpraChina” oscilla tra scrittura ed improvvisazione, alla ricerca di un equilibrio spesso raggiunto. Così l’album si apre con “Spezia” un brano di Bognetti dalla bella linea melodica in cui sicuramente prevale la scrittura che da modo a tutti i musicisti di mettersi in buona evidenza. Il successivo “Le cose non sempre vanno come si suppone debbano andare” di De Fabritiis vira decisamente verso un andamento meno strutturato con il sassofonista impegnato in una buona improvvisazione dal sapore “free”. E a questo punto l’album ha già mostrato la sua precisa fisionomia che si manterrà interessante fino alla fine.

Daniele Santimone – “A little Bartòk”

Daniele Santimone – “A little Bartòk” – Abeat ABJZ 093
Splendido album che ancora una volta dimostra come, in realtà, le distanze tra i vari generi musicali non siano per lo più così abissali come qualcuno vorrebbe farci credere. Protagonisti cinque eccellenti musicisti jazz ed un grande compositore “classico”. Daniele Santimone alla chitarra, Ares Tavolazzi al contrabbasso, Riccardo Paio alla batteria, Achille Succi al sax alto, clarinetto e clarinetto basso e Marco Tamburini tromba e flicorno, presentano in chiave jazzistica alcuni brani tratti dai celebri sei libri di “Mikrokosmos”, per piano solo, di Bela Bartòk. E lo fanno con grande competenza dimostrando di conoscere assai bene sia la musica di Bartòk sia il linguaggio del jazz modale. Così, nella loro nuova veste “jazzistica” i pezzi del celebre compositore nulla perdono dell’originaria valenza ché anzi il loro lirismo viene ulteriormente esaltato. Così come nulla si perde di quei richiami alla musica popolare dell’Europa orientale e medio-orientale che caratterizzava la musica del compositore ungherese. Ma l’operazione assume un rilievo affatto particolare ove si tenga presente che i brani, come sottolineato in precedenza, sono stati scritti per piano solo cosicché questo quintetto ha dovuto arrangiarli facendo a meno proprio del pianoforte. Insomma un’operazione assai intelligente per un album di gran classe che vale davvero la pena ascoltare con attenzione.

Scie Chimiche – “Spettacolo!!”

Scie Chimiche – “Spettacolo!!” – Splasc(h) CDH 1551.2
“Scie Chimiche” è il nome di un eccellente gruppo composto da Antonio Fontana (già con Carlo Actis Dato e in altri gruppi vicini al progressive rock) alla chitarra, Claudio Lodati che non ha certo bisogno di ulteriori presentazioni anch’egli alla chitarra, Rossella Cangini vocalist di meritata fama, Maurizio Plancher alla batteria, Marco Piccirillo al contrabbasso. Il quintetto, con l’aggiunta quale ospite d’onore di Famoudou Don Moye, batterista e percussionista dell’Art ensemble of Chicago, ha tenuto un concerto il 31 ottobre del 2009 alla Maison Musique di Rivoli, concerto che viene presentato per l’appunto in questo CD. Bisogna dire immediatamente che la dimensione live giova a tutti i musicisti i quali appaiono allo stesso tempo più “carichi” e più “aperti” del solito. Certo, non si tratta – per fortuna – di musica banale di facile ascolto, ma le atmosfere assumono toni cangianti anche perché nella veste di compositori si alternano soprattutto i due chitarristi Fontana e Lodati che hanno tecniche e concezioni di scrittura non proprio simili. Così i brani di Fontana virano decisamente vero il versante rock, mentre quelli di Lodati si indirizzano verso territori più jazzistici anche se d’avanguardia. Dal canto suo Rossella Cangini riesce in qualche modo, a stemperare le tinte forti dei “colleghi” chitarristi grazie ad interpretazioni sempre originali orientate verso la musica colta europea. Quasi inutile sottolineare come il gioco della sezione ritmica, grazie anche ai due batteristi, sia semplicemente superlativo fornendo ai solisti un tappeto ritmico-armonico di rara elasticità e compiutezza.

Daniel Smith – “Blue bassoon”

Daniel Smith – “Bassoon goes latin jazz!” – Summit Records DCD560
Daniel Smith – “Blue bassoon” – Summit Records DCD 530
Il “bassoon” – ovvero fagotto – non è certo strumento flessibile e adatto al linguaggio jazzistico. Eppure c’è un musicista – Daniel Smith – che oramai da anni ci dimostra il contrario con una serie di album che portano in primo piano proprio il fagotto nell’interpretazione di un repertorio sia prettamente jazzistico sia risalente a forme vicine al jazz quali la musica brasiliana. E’ in tale contesto che si inseriscono questi due recenti album. “Bassoon goes latin jazz” registrato nel marzo del 2011, è dedicato, come esplica il titolo, al latin jazz e coerentemente presenta tutta una serie di classici del genere, da “Mr. Kenyatta” di Lee Morgan a “Watermelon Man” di Herbie Hancock, da “So danço samba” di Antonio Carlos Jobim a “Black Orpheus” di Luis Bonfa’, da “Yardbird suite” di Charlie Parker, a “Manteca” di Dizzy Gillespie… a “Peace” di Horace Silver… a “Mambo from the Dance at the Gym” di Leonard Bernstein. L’esecuzione è trascinante, assai fedele allo spirito delle composizioni (si ascolti lo splendido “Black Orpheus”) con Daniel Smith sempre in primo piano ben coadiuvato dai compagni d’avventura Daniel Kelly al piano, Michael O’Brien al basso, Vincent Ector alla batteria, Neil Clarke alle “latin percussion” con l’aggiunta di due ospiti d’onore, Sandro Albert alla chitarra e soprattutto il sempre straordinario Roswell Rudd al trombone.
Di impianto diverso “Blue bassoon” risalente al 2009; innanzitutto il gruppo è completamente diverso dato che a suonare con Smith sono Martin Bejerano al piano,

Daniel Smith – “Bassoon goes latin jazz!”

Edward Perez al basso, Ludwig Afonso alla batteria e il chitarrista Larry Campbell presente in due brani quale ospite d’onore. In repertorio tredici brani dovuti alla penna di Horace Silver, Charlie Parker, Mercer Ellington, Joe Zawinul, B.B. King, Cannonball Adderley, Charles Mingus, John Coltrane, Lee Morgan, George Shearing, Wayne Shorter, Sonny Rollins… come a dire una sorta di piccola-grande enciclopedia del jazz. Smith esegue questi impegnativi brani da un canto rispettandone l’originaria valenza, dall’altro piegando il fagotto alle sue esigenze espressive. Il risultato è semplicemente stupefacente: la voce, certo non particolarmente potente del “bassoon”, si adatta alla carica di swing insita nello stile di Smith con tale facilità e naturalezza da farci credere che il fagotto sia uno strumento di casa nel jazz… mentre, in realtà, di altre registrazioni jazz per fagotto quasi non ce ne sono.

Craig Taborn – “Avenging Angel”

Craig Taborn – “Avenging Angel” – ECM 2207
Taborn è musicista ben noto agli appassionati di jazz sia come leader di importanti gruppi sia come sideman di lusso; in effetti nella sua “carriera” ha avuto modo di suonare con artisti di vaglia quali James Carter, Tim Berne, Roscoe Mitchell, Dave Douglas, Evan Parker ed ha già avuto modo di incidere per la ECM ben tre album, l’ultimo nel 2010, “The Rub and Spare Change” con Michael Formanek , Tim Berne e Gerard Cleaver. Adeso arriva il primo album per piano solo ed il risultato è più che soddisfacente. Il pianismo di Taborn non è certo semplice: eccellente uso della dinamica e della timbrica, sfruttamento di tutte le ottave dello strumento, tocco di grande espressività, frequente ricorso alle pause, estrema indipendenza delle mani, ricorso a poche note tutte essenziali, armonizzazioni all’apparenza semplici ma in realtà assai sofisticate, una evidente spigolosità che si alterna a momenti di coinvolgente lirismo per un ascolto non facile. I brani sono tutti dello stesso pianista e ascoltando attentamente l’album si ha una doppia sensazione: alle volte sembra che Taborn si muova su una struttura già ben determinata con partiture pensate e scritte, altre volte è come se il pianista si fermasse per riflettere su una frase improvvisata e da questa ripartire all’esplorazione dl altri sentieri, il tutto ovviamente supportato sempre da una tecnica superlativa. Così la musica scorre su binari originali anche se ovviamente non mancano – e come potrebbe essere diversamente –richiami ad alcuni grandi quali Monk, Muhal Richard Abrams, Ellington, Anthony Davis…In definitiva un album di livello ma impegnativo.. anche per la durata dello stesso.

Ricardo Villalobos, Max Loderbauer – “Re: ECM”

Ricardo Villalobos, Max Loderbauer – “Re: ECM” – ECM 2211/12
Ecco un doppio album che sta già suscitando un mare di polemiche e il motivo è semplice: si tratta di capire fino a che punto la musica elettronica possa spingersi in campo “altrui” per giungere ad un quid di nuovo e artisticamente valido. Gli esempi nel settore della musica classica sono oramai numerosi; non altrettanto si può dire per la musica jazzistica o para-jazzistica. Ed è proprio in questa direzione che si muovono Ricardo Villalobos e Max Loderbauer i quali vanno a pescare nel catalogo ECM, una delle etichette più originali della musica moderna che, sotto la sapiente guida del patron Manfred Eicher, è riuscita ad imporre una propria estetica sia musicale sia visuale: il sound ECM oramai è proverbiale così come la bellezza delle copertine quasi sempre in bianco nero. Ebbene Villalobos e Loderbauer hanno fatto ricorso a numerosi album ECM (da Christian Wollumrød a Paul Giger, da Arvo Part a Alexanider Knaifel, da Bennie Maupin a Paul Motian)… e via di questo passo in una galleria di singole parti di singoli brani assolutamente irriconoscibili visto il “trattamento” cui sono stati sottoposti, vale a dire l’immissione negli elementi originali di procedimenti elettronici . Insomma un’operazione sulla carta tanto ardita quanto intelligente. Ma i risultati sul piano squisitamente musicale? Ferma restando la genialità dei due protagonisti, “Re: ECM” non convince appieno. Innanzitutto in questo caso l’omogeneità di linguaggio si traduce in elemento negativo dal momento che le atmosfere si susseguono simili per quasi tutta la durata dei due CD . In secondo luogo , come si accennava in precedenza, l’obiettivo finale doveva essere quello di fondere in un “unicum” la parte elettronica e quella tratta dagli album. Ebbene, anche sotto questo profilo ci sembra che, pur essendo interessante, la strada intrapresa abbisogni di ulteriori approfondimenti.

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