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jazz

Cari amici,

spero abbiate trascorso delle serene vacanze e che perciò abbiate la freschezza necessaria per affrontare una “ripresa” che si preannuncia tutt'altro che facile.

Certo, ogni anno riprendere il lavoro dopo un certo stacco non è facile specie se la permanenza al mare o in montagna è stata piacevole. Quest'anno, però, il rientro ha un sapore particolare, il sapore di una crisi che sta minando le fondamenta economiche del nostro Paese… e non solo. Grazie ai tonfi di borsa molti hanno già perso parte dei loro sudati risparmi mentre la famigerata manovra vede la luce tra mille polemiche ed incertezze e lo spettro della Grecia è dietro il classico angolo (anche se in realtà i nostri fondamentali sono assai più solidi di quelli del Paese ellenico).

A questo punto molti di voi si chiederanno: ma che c'entra tutto questo con il jazz? Purtroppo c'entra e molto!

In realtà quando abbiamo una passione molto forte ed assorbente, tendiamo a porre tale passione al centro del mondo, al centro dei nostri interessi e questo è un errore dal momento che il mondo – per fortuna – continua ad esistere e le nostre passioni devono misurarsi con il contesto che le circonda e le ingloba.

Ecco, in momenti di crisi come questo, il mondo del jazz non è – e non potrebbe esserlo – esente da conseguenze molto pesanti che possiamo tutti constatare: i soldi a disposizione diminuiscono drasticamente e parallelamente diminuiscono le occasioni di lavoro per quanti agiscono in questo mondo, musicisti in primis… e poi, organizzatori, discografici, tecnici del suono, pubblicitari… e via discorrendo per una catena lavorativa piuttosto lunga. Così viene accentuata la tendenza, già in atto da qualche tempo, a presentare eventi che in qualche modo fanno “cassa” piuttosto che far circuitare idee nuove, linguaggi diversi che, seppur difficili, sono comunque gli unici in grado di assicurare uno sviluppo e quindi un futuro alla “nostra musica”. Il tutto aggravato da decisioni “politiche” che quando si tratta di arte e in particolare di jazz evidenziano tutta la loro incompetenza… per essere gentili. Di qui il crescente disinteresse dei media (televisioni e radio in testa); di qui l'assurdo affermarsi di musicisti solo mediocri che, grazie magari ad una partecipazione sanremese, sono in grado di ottenere cachet irraggiungibili da artisti ben più rodati.

Ma questi sono solo gli effetti più immediatamente percettibili; ce ne sono altri ancora più gravi, più subdoli perché agiscono nel profondo delle nostre coscienze, delle nostre anime. In realtà, in questo periodo, si avverte come una sorta di cappa su tutto l'ambiente, una pesantezza di cui non ci si riesce a liberare, una sorta di stanchezza che ti induce a guardare tutto con una buona dose di scetticismo, come se ogni cosa andasse in malora sulla scorta di quanto accade in ed in economia.

Per fortuna nel mondo dell'arte le cose vanno però diversamente: anche in periodi di crisi e di decadenza ci sono sempre energie nuove, fresche, pronte ad investire sul domani; tutto questo è tanto più vero nel campo del jazz popolato da molti giovani e giovanissimi musicisti pronti a dare il loro contributo di originalità e passione al di fuori di ogni visione mercantilistica. Certo, tali energie vanno scovate, sostenute, valorizzate, accompagnate nella crescita per il raggiungimento di un comune obiettivo.

Ecco se tutti saremo pronti a lavorare in comune, senza dividerci su stupide questioni, come ad esempio una recensione mal digerita (tema su cui tornerò quanto prima), il jazz italiano riuscirà a superare questo difficilissimo momento… altrimenti, temo, sarà veramente difficile uscirne.

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