Un noto critico interviene sulla polemica tra Gatto, Mangialajo Rantzer e Franzini

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critica musicale

Mi sembra opportuno intervenire – anche se un po' in ritardo – sulla polemica che si è innescata tra il collega (ed amico, ma le mie riflessioni prescindono dall'amicizia) Gerlando Gatto ed i musicisti Tito Mangialajo Rantzer e Michele Franzini.

Parto da lontano; la rete – per la sua natura – favorisce la comunicazione ma acuisce l'aggressività. L'agorà, la piazza telematica ha l'effetto di spersonalizzare e dematerializzarela comunicazione. L'identico messaggio riferito a voce o scritto sulla/nella rete ha esiti diversi. Mi sia consentita un'autocitazione. Sono stato invitato dall'autore Nicola Gaeta a presentare il suo libro sui jazzisti italiani “Una preghiera tra due bicchieri di gin” (edizioni Caratterimobili) alcuni giorni fa; ho accettato volentieri l'invito e la presentazione romana è stata interessante e vivace, grazie anche al contributo di Giovanni Tommaso e Nicola Stilo. In coda ho fatto pubblicamente le mie critiche al testo di Gaeta; sono convinto che se le avessi scritte su un blog sarebbe scattata la polemica, cosa che dal vivo non si è determinata. Se ne è parlato e discusso.

Mi avvicino un po'. Esistono, chiamiamoli così, due “gruppi sensibili”. Da un lato i jazzisti di tutte le generazioni – più o meno giovani – che nella gran parte faticano molto a portare avanti la musica che amano e a cui si dedicano con coraggio e determinazione; i jazzisti accettano malvolentieri le critiche presupponendo comunque che gli estensori siano superficiali e non qualificati (a volte lo sono). Dall'altra parte ci sono i critici musicali che credono – come me e Gerlando Gatto, non siamo i soli – che il proprio ruolo non sia quello del promoter (ne accennavaDaniela Florisnel suo intervento) ma rivendicano la facoltà di esprimere un parere critico con spirito sempre costruttivo; spesso questi critici non hanno riscontri se non nel caso di parere negativo, un “negativo relativo” naturalmente: tutto tace se si valutano positivamente incisioni e (e mi pare che ciò sia successo nel nostro caso).

Se scatta l'incomprensione – su ciò mi sembra basata la reazione, sia essa emotiva o razionale, di Tito Mangialajo Rantzer – spesso basata sulla non conoscenza dell'altro, scatta l'aggressività e fioccano i “sedicenti critici” (che naturalmente non può tollerare chi, come Gatto, da quarant'anni fa il critico musicale e molto ha fatto in particolare per i jazzisti italiani, documentandone il lavoro attraverso la carta stampata, la radio, la tv ed il web) e i “non siamo in presenza di un novello Charles Mingus” (affermazione in sé oggettiva ma rivestita di sottile, difensivo sarcasmo).

Al di là delle incomprensioni, che spero si diradino nel rispetto reciproco, quello che si riscontra drammaticamente è la mancanza di un ambiente e di un senso comune, il sentirsi avversari più che alleati. Nel passato recente l'Associazione Nazionale Musicisti di Jazz (AMJ) ela Società Italianaper lo Studio della Musica Afroamericana (Sisma) come nel presentela Società Italianadi Musicologia Afroamericana (Sidma) hanno cercato e cercano – con tutti i loro difetti e limiti – di connettere i vari settori del jazz in una battaglia culturale, politica, professionale e a volte sindacale comune. Nell'odierna Italia, invece sembra che un virus individualistico ed aggressivo si sia diffuso in tutta la società, che si sia perso il senso della comunità e del limite; parimenti si avvertono l'esigenza ed il bisogno enorme di riaffermare l'importanza – generale e strategica per l'Italia – della cultura e della musica (come testimonia, tra l'altro, l'occupazione del teatro Valle a Roma). A ciò possono contribuire, e molto, musicisti e critici e sarebbe il caso di trovare terreni di incontro e confronto, anche aspri. Per un mio progetto sto rileggendo la stampa jazzistica specializzata degli anni '80 dove non mancavano le polemiche, a volte roventi, ma in gran parte ispirate ad un sostanziale rispetto gli uni per gli altri, seppur su fronti opposti.

Dovremmo recuperare quello spirito di dialogo aperto e franco e utilizzare parole adatte e rispettose per esprimerlo; non è dannoso il fatto che il genere “recensione” sia quasi sparito dalla carta stampata a favore di promozioni più o meno mascherate degli “eventi”?  Forse è utopistico ma mi ostino a pensare che il mondo del jazz (e della musica) dovrebbe dialogare al suo interno e creare un fronte comune contro i suoi veri avversari (e della cultura) piuttosto che far scattare l'aggressività al proprio interno. Mi fermo qui e spero di aver contribuito al “ragionar comune”.

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