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whitney houston morta los angeles

La notizia del momento nel mondo della musica è senza dubbio la tragica scomparsa di Whitney Houston, morta nel giorno dei Grammy Awards e trovata senza vita a 48 anni in una fredda camera d’albergo. Anche per la celebre cantante è così arrivato il giorno dell’ultimo addio, un addio silenzioso, solitario, così diverso dalla vita di successo e fama che il suo enorme talento le aveva donato. Un destino che sembra accomunare così tanti dei suoi colleghi.

Non intervengo spesso sulle pagine di questo blog, negli anni avrò scritto se è vero uno o due articoli, ma ci sono riflessioni che vale la pena fare e condividere correndo il rischio di andare leggermente fuori contesto. Mi scuseranno allora i lettori se rubo un post al jazz per cercare di capire qualcosa in più su queste morti solitarie di grandi artisti che dovrebbero, almeno ai nostri occhi, avere tutto ciò che serve per essere felici: fama, successo, soldi, affetto…

Ecco. Proprio questo credo che sia il nodo cruciale: quando sei all’apice di una carriera artistica internazionale sei circondato (o circondata) di persone, amici, fan. La sensibilità di un artista però non è probabilmente adatta ad accettare e farsi bastare questo tipo di entourage. Un animo nobile e profondo cerca sentimenti forti, amore ed affetti intensi. Cose che nessun manager, fan o amico di convenienza potrà mai dare.

Ci si trova così circondati di lettere, di premi, ascoltando le proprie canzoni alla radio ogni giorno con denaro che piove sui conti correnti ormai straripanti… ma soli. Soli con la propria sensibilità, soli con i propri pensieri, problemi, angosce, paure da non poter confidare a nessuno senza il timore che appena uscito dalla porta vada dal primo giornalista a rivendersi lo scoop.

E allora la mente torna a tanti “Campioni”, come li chiama Antonello Venditti in una canzone di qualche anno fa, da Luigi Tenco a Marco Pantani ad Agostino Di Bartolomei. Verrebbe da dire poi a Michael Jackson, ad Amy Winehouse, ad Elvis Presley… quanti esempi si possono fare di stelle della musica, dello sport, del cinema cadute nella depressione, nell’alcool, nella droga. Vite vissute (per citare un vecchio film di Godard) “Fino all’ultimo respiro”. Un ultimo respiro esalato nella più totale e buia solitudine: quella interiore.

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