Ascoltiamo Mario Crispi

Tempo di lettura stimato: 12 minuti

Partendo da queste basi, programmi futuri?
“Certamente il progetto con Enzo Favata, partito con questo primo lavoro “Insulae”, ci impegnerà molto in Italia ed all'estero, anche perché, naturalmente, vorremmo farlo ascoltare il più possibile e maturarlo ulteriormente con concerti e performance. Ciò non mi impedirà comunque di proseguire nella mia attività di ricerca, di investigazione di quelle che sono le sonorità che attraversano l'arco mediterraneo. Di tutto ciò fanno parte anche una serie di riflessioni che sto portando avanti su campi paralleli come quello dell'ecologia acustica; ad esempio quando ho pensato “Arenaria”, il mio precedente album, ho voluto registrare all'interno di particolari luoghi siciliani come alcune grotte dotate di per sé di un particolare sound. In quell'ambito ho approfondito, per l'appunto, un discorso sull'ecologia acustica che avevo già affrontato in altre sedi. Ed oggi questo discorso assume a mio avviso un'importanza particolare: così come è vero che non bisogna escludere nulla, è altrettanto vero che nulla occorre enfatizzare. Mi spiego: è vero che le moderne tecnologie ci consentono opportunità eccezionali dal punto di vista tecnico, prima difficili da immaginare, ma si tratta pur sempre di una dimensione limitata in quanto bidimensionale. In buona sostanza ti manca sempre la dimensione spaziale e una “reale” maniera di ascoltare poiché una persona inserita in uno spazio ha una percezione diversa rispetto a chi ascolta musica da un impianto stereo o da cuffie. Fare riflessioni su questi aspetti può aiutarmi a capire meglio sia le forme espressive da adottare, sia il percorso da seguire unitamente ad un pubblico. Il che significa costruire delle performences inserite in certi ambienti, elaborare anche dei progetti musicali che abbiano una componente importante su alcune forme che vengono suonate. Un'altro fruttuoso progetto è quello con “GliArchiEnsemble” di Palermo: il fatto di integrare partiture per un'orchestra d'archi in mie composizioni riesce ad esprimere meglio un concetto che ho in testa da tanto tempo, quello della transculturalità, sì da superare ogni steccato nell'ambito musicale. Certo, so benissimo di non avere scoperto alcunché di nuovo, ma il fatto di avere l'opportunità di poterlo sperimentare direttamente è già per me molto importante… e constatare la soddisfazione dei musicisti con cui suono diviene un ulteriore conferma dell'importanza dell'esperienza. Comunque un'altra direzione su cui sto lavorando molto è quella di utilizzare al meglio la percezione multisensoriale, cioè riuscire a coniugare quanto più possibile i vari sensi, che sono non solo i cinque classici, ma altri tipi di sensi legati all'ambiente, alla temperatura, a determinate condizioni dell'essere del corpo nello spazio. Ecco riuscire a coniugare tutti questi elementi comporta la necessità di trovarsi insieme all'artista nello stesso momento e nello stesso spazio. Si tratta di una dimensione importante che dovremmo perseguire tutti poiché la condizione di trovarsi a vivere un'esperienza irripetibile è fondamentale; noi abbiamo una tecnologia che ci porta sempre più lontano da questa forma, che ci da una parzialità dell'esistenza. Ma l'esperienza diretta è un'altra cosa. E portare avanti questi concetti potrebbe significare la rinascita delle performences dal vivo, prima fra tutte la musica “suonata” perché, se da un lato è vero che anche il dj fa “concerti”, in realtà il concetto di suonare subisce tanti passaggi mediati dalla tecnologia e, a volte, anche in maniera estrema, che se ne perde facilmente il senso primario.

Facendo un salto in avanti, parliamo, infine, di musica contemporanea:ancora oggi questa forma espressiva viene recepita con difficoltà dal pubblico: di chi le maggiori responsabilità, dei compositori o del pubblico?

“Ci sono varie possibilità di concepire la dimensione attuale del fare musica contemporanea e senza dubbio certe musiche di oggi sono elaborazioni molto sofisticate. Esse presuppongono l'applicazione di forme di astrazione che rimandano a segni in maniera generativa ed esponenziale e quindi, in ultima analisi, leggibile solo da chi s'immerge in questo oceano semiologico, il cui numero di persone può rivelarsi esiguo. A volte la proposizione di un enigma musicale rappresenta un obiettivo voluto dal compositore, nel senso che lui vuole stimolare l'ascoltatore verso una ricerca molto articolata, la cui attivazione è direttamente proporzionale alla sua disponibilità alla ricerca della decodifica. E' come se il compositore dicesse all'ascoltatore: “se non ci arrivi personalmente, il problema è e rimane solo tuo. Io, compositore, fornisco il risultato a cui sono arrivato ed è congegnato come un “rebus acustico”, sta a te decodificarlo, interpretarlo e farlo tuo”. E' chiaro che nel processo compositivo esiste anche una via meno ortodossa, ovvero dove l'elaborazione della forma musicale tiene conto anche dell'aspetto psico-fisico, culturale ed emozionale di chi dovrà poi ascoltare. I compositori che si pongono questo problema producono perciò forme musicali più mediate ovvero che possono, rispetto a quelle più criptiche, essere ascoltate e capite da un maggior numero di persone”.

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

<< Pagina precedente

  1. Page 1
  2. Page 2
  3. Page 3
  4. * Tutto in una pagina *
Pagina successiva >>

Commenti

commenti

Shares