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Marco Tamburini – “Contemporaneo immaginario”

Marco Tamburini – “Contemporaneo immaginario”

Marco Tamburini – “Contemporaneo immaginario” – Note Sonanti 1002

Poche volte il titolo di un ha una stretta relazione con il relativo contenuto musicale. A questa regola fa eccezione 'album di Tamburini che viceversa calza perfettamente la musica che si ascolta, una musica contemporanea, straordinariamente evocativa, suggestiva che sicuramente parla più all'immaginario che al razionale. Per questa impresa discografica, il trombettista ha scelto un organico assolutamente atipico: al suo “Three Lower Colours” costituito assieme a Stefano onorati (pianoforte, tastiere, live electronics) e (batteria e live electron ics) ha voluto affiancare l'ottimo “Vertere String Quartet” ovvero Giuseppe Amatulli e Rita Paglionico violini, Domenico Mastro viola e Giovanna Buccarella violoncello. Il risultato è assolutamente positivo in quanto i due combo si integrano alla perfezione come se il loro affiatamento fosse cementato da una lunga pratica comune. Da questo perfetto amalgama scaturisce quella che può essere considerata la cifra caratterizzante l'intero album vale a dire un sound affatto particolare determinato da un canto dall'uso dell'elettronica dall'altro dal carattere acustico del quartetto… insomma un sound che si potrebbe definire “elettro-acustico” ma la cui ricchezza timbrica può essere apprezzata solo con l'ascolto. Ovviamente nell'album c'è molto altro: innanzitutto i temi scelti, scritti per la quasi totalità dallo stesso Tamburini o da Stefano Onorati e quindi i relativi arrangiamenti anch'essi firmati dai due artisti; in terzo luogo, ma non certo per ordine di importanza, le capacità improvvisative dei singoli che hanno fornito un contributo determinante alla bella riuscita dell'album. In effetti anche se le composizioni, e il modo in cui le stesse sono state arrangiate, si prestano perfettamente a questa sorta di viaggio nell'immaginario, lo stesso non sarebbe stato così entusiasmante senza quel quid di imprevisto e imprevedibile che si chiama improvvisazione e che ancora oggi continua a caratterizzare la musica che ci ostiniamo a chiamare jazz.

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