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Brad Mehldau (foto Luciano Rossetti)

Brad Mehldau (foto Luciano Rossetti)

Teatro Donizetti Domenica 25 , ore 21
Brad Mehldau Trio. Il Jazz come esperienza sensoriale

Ascoltare Brad Mehldau è sempre un'esperienza emotivamente forte. Questo straordinario musicista ha la capacità di trasmettere vibrazioni profonde, che siano esse sensazioni di commovente empatia, che d'inquietudine interiore, che di euforica gioia, che di cupa malinconia, costringendo chi ha la fortuna di ascoltarlo dal vivo a un percorso emotivo quasi frastornante.
E' ciò che è accaduto anche a Bergamo. Per quasi tutto il concerto Mehldau ha trascinato i presenti in sala verso quella dimensione profonda che pochi oltre a lui sanno creare mentre suonano.
La scaletta stilisticamente è stata costruita su brani tra loro abbastanza uniformi, come clima. Certo è però che non è stato uniforme l'approccio a ognuno di essi.
In alcuni casi si è fortemente percepito il suo modo di suonare teso, che non arriva mai a un'esplosione di , sul filo del rasoio di un qualcosa che sta per accadere, ma è sospeso fino allo strenuo, lasciando parlare la tensione (in “Glenningon”, ad esempio), una tensione che turba e lascia sinceramente senza fiato, da extrasistole. In altri casi il suo tocco incredibile diventa emozione pura, fino alla commozione (come in “Sheik of Araby”), nei pianissimo, nei fraseggi delicati eppure così irrefrenabili da arrivare a chi li ascolta con una dolcezza, quasi violenta: e che questa non appaia come contraddizione in termini.
In altri momenti ancora Mehldau ha deciso di “pattinare” sulla tastiera, non andando a fondo come ci si aspetterebbe. E' sembrato rimanere in superficie, musicalmente – come ad esempio in “Lulu's Back In Town” – porgendo al pubblico la sua immagine e il proprio modo di suonare invece che la sua musicalità più interiore. Ma alla fine talmente forti sono le sensazioni che si provano le volte in cui decide di arrivare al nocciolo della sua poetica, che queste digressioni più disimpegnate sono funzionali a un ascolto che sarebbe emotivamente quasi troppo intenso da reggere.
Con lui i suoi compagni di sempre, complici in tutto e per tutto di una musicalità incredibilmente espressiva. Grenadier è di una bravura disarmante, e non si parla qui solo di tecnica – siamo a livelli di grande musica e non certo di mera professionalità o funambolismi atletici – si parla di suono, creatività, profonda empatia con il pianoforte. Ballard è sembrato essere in tutta sincerità meno in forma del solito, in alcuni momenti un po' secco (come scelta dei suoni) rispetto all'atmosfera dipinta da pianoforte e contrabbasso, forse come disorientato… certo è che il “meno in forma” di Ballard dato il livello di partenza garantisce sempre un risultato importante, anche per la profonda conoscenza reciproca che questi grandi musicisti hanno uno dell'altro.
Fino a che ci saranno Mehldau, Grenadier e Ballard il Jazz sarà sempre un'esperienza profondamente e incredibilmente “sensoriale”: quando la musica finisce, si ha bisogno di qualche minuto per tornare con i piedi per terra.

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