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Craig Taborn (foto Luciano Rossetti)

Craig Taborn (foto Luciano Rossetti)

Quarte ed ultima parte delle recensioni sui concerti di Bergamo Jazz 2012. Gli altri articoli possono essere consultati ai seguenti link:

Auditorium piazza della Libertà, Domenica 25 marzo, ore 17
Craig Taborn Trio. Alla ricerca espressiva dei suoni

Un concerto interessante quello di Craig Taborn, strutturato in forma di suite, un trio dai suoni e dalle intenzioni certamente inusuali ma coerente in una ricerca indubbiamente molto espressiva, che è arrivata al pubblico dell'Auditorium. Episodi che si susseguono alternando momenti sommessi e momenti molto tesi e dinamici. Si ha come la sensazione che nei momenti sommessi confluiscano le note, i temi melodici, gli spunti ritmici che poi diverranno l' episodio successivo.
Un mix di improvvisazione e composizione scritta di sicura efficacia.
Si passa dal fiabesco all'adrenalinico, dal cromatico al diatonico, dagli ostinati all'improvvisazione totale, dall'entropia al lirismo, in una continua ricerca del suono formulato in ondate continue, delle quali sembra di ascoltare lo scrosciare ed il ritrarsi.
Le nuove idee prendono forma lentamente e dal quasi silenzio. Nascono, si sviluppano e si esauriscono per poi rinascere in altra forma, quasi come se Craig, e Cleaver si trovassero davanti ad una tela e cercassero l'ispirazione per colorarla progressivamente.
Un continuo reciproco ascoltarsi, la perseverante volontà di estrapolare ogni tipo di suono con un garbo che rende comunicativi anche i momenti più complessi, dal punto di vista sonoro, fanno della musica di Taborn una esperienza sensoriale molto coinvolgente, e lasciano la sensazione di aver partecipato ad un viaggio in luoghi inesplorati ma tutt' altro che inospitali.

Brad Mehldau (foto Luciano Rossetti)

Brad Mehldau (foto Luciano Rossetti)

Teatro Donizetti Domenica 25 marzo, ore 21
Brad Mehldau Trio. Il Jazz come esperienza sensoriale

Ascoltare Brad Mehldau è sempre un'esperienza emotivamente forte. Questo straordinario musicista ha la capacità di trasmettere vibrazioni profonde, che siano esse sensazioni di commovente empatia, che d'inquietudine interiore, che di euforica gioia, che di cupa malinconia, costringendo chi ha la fortuna di ascoltarlo dal vivo a un percorso emotivo quasi frastornante.
E' ciò che è accaduto anche a Bergamo. Per quasi tutto il concerto Mehldau ha trascinato i presenti in sala verso quella dimensione profonda che pochi oltre a lui sanno creare mentre suonano.
La scaletta stilisticamente è stata costruita su brani tra loro abbastanza uniformi, come clima. Certo è però che non è stato uniforme l'approccio a ognuno di essi.
In alcuni casi si è fortemente percepito il suo modo di suonare teso, che non arriva mai a un'esplosione di note, sul filo del rasoio di un qualcosa che sta per accadere, ma è sospeso fino allo strenuo, lasciando parlare la tensione (in “Glenningon”, ad esempio), una tensione che turba e lascia sinceramente senza fiato, da extrasistole. In altri casi il suo tocco incredibile diventa emozione pura, fino alla commozione (come in “Sheik of Araby”), nei pianissimo, nei fraseggi delicati eppure così irrefrenabili da arrivare a chi li ascolta con una dolcezza, quasi violenta: e che questa non appaia come contraddizione in termini.
In altri momenti ancora Mehldau ha deciso di “pattinare” sulla tastiera, non andando a fondo come ci si aspetterebbe. E' sembrato rimanere in superficie, musicalmente – come ad esempio in “Lulu's Back In Town” – porgendo al pubblico la sua immagine e il proprio modo di suonare invece che la sua musicalità più interiore. Ma alla fine talmente forti sono le sensazioni che si provano le volte in cui decide di arrivare al nocciolo della sua poetica, che queste digressioni più disimpegnate sono funzionali a un ascolto che sarebbe emotivamente quasi troppo intenso da reggere.
Con lui i suoi compagni di sempre, complici in tutto e per tutto di una musicalità incredibilmente espressiva. Grenadier è di una bravura disarmante, e non si parla qui solo di tecnica – siamo a livelli di grande musica e non certo di mera professionalità o funambolismi atletici – si parla di suono, creatività, profonda empatia con il pianoforte. Ballard è sembrato essere in tutta sincerità meno in forma del solito, in alcuni momenti un po' secco (come scelta dei suoni) rispetto all'atmosfera dipinta da pianoforte e contrabbasso, forse come disorientato… certo è che il “meno in forma” di Ballard dato il livello di partenza garantisce sempre un risultato importante, anche per la profonda conoscenza reciproca che questi grandi musicisti hanno uno dell'altro.
Fino a che ci saranno Mehldau, Grenadier e Ballard il Jazz sarà sempre un'esperienza profondamente e incredibilmente “sensoriale”: quando la musica finisce, si ha bisogno di qualche minuto per tornare con i piedi per terra.

Ray Anderson (foto Luciano Rossetti)

Ray Anderson (foto Luciano Rossetti)

Teatro Donizetti Domenica 25 marzo, ore 22,30
Ray Anderson Pocket Brass Band. Sintesi vincente fra tradizione e innovazione

Cominciamo col dire che Anderson e Soloff sono due fuoriclasse dei loro strumenti, con un curriculum alle spalle da capogiro: hanno suonato il primo con Anthony Braxton, Charlie Haden, George Russel, e via dicendo. Il secondo con Gil Evans, Dizzy Gillespie, Ornette Coleman e via dicendo. Dunque hanno alle spalle decenni di esperienza, di musica suonata e ascoltata, e questo si capisce al primo minuto di questo concerto certo acusticamente ed espressivamente insolito.
La radice cubica di una brass band (della quale dunque siamo abituati ad ascoltare una certa pienezza di timbro), formata da un trombone, un sousaphone, una tromba (o flicorno) e una batteria. Una band ridotta all'osso dunque (“tascabile” come si definiscono essi stessi), in cui è inusuale naturalmente anche il rapporto fra tromba e trombone con il sousaphone e la batteria, che di solito di certo non è tarato 1/1 ma almeno 1/3 per i tromboni e 1/5 per le trombe (con tutte le varianti del caso naturalmente.)
Dunque dinamiche diverse, fraseggi diversi, clima giocoso, deciso anche appunto dal prevalere del sousaphone, batteria molto tarata sul rullante. Blues, dixieland, alla maniera di New Orleans, ma anche novità ed esperimenti, grande volontà di esplorare tutte le possibilità di ogni singolo strumento e dell'interazione nel quartetto. Un viaggio nel Jazz tradizionale con mezzi non tradizionali, per un risultato che oscilla curiosamente fra mainstream e novità, che viaggiano paralleli ma curiosi si esplorano in corsa. Un finale scoppiettante con gli artisti tra il pubblico in platea ha chiuso gioiosamente un'edizione di Bergamo Jazz quanto mai variata e piena di spunti: e simbolicamente questo quartetto ha riassunto, in formato tascabile appunto, il clima del festival di quest'anno, in equilibrio anch'esso tra tradizione e innovazione.

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