Intervista alla vigilia della presentazione dell’album “Heart and soul”

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Stefano Sabatini

Stefano Sabatini

Sono seduto davanti a Stefano Sabatini alla vigilia della presentazione, alla “Casa del Jazz” (sabato 14 aprile) della sua ultima fatica discografica, “Heart and soul”, prodotta da “Alfa Music”.

Allora Stefano, dinnanzi a quest’ultima creatura, sei soddisfatto del tuo attuale status di musicista?
“Direi di sì… abbastanza… certo si impara sempre ma credo aver raggiunto un buon livello almeno per quelle che sono le mie possibilità, specie a livello compositivo”.

Ma questo livello corrisponde, poi, alle effettive occasioni di lavoro che riesci a trovare?
“Direi di no. Purtroppo questo è un periodo particolarmente brutto ma sono ottimista per cui cercare di adoperarsi, di mettere in cantiere delle iniziative aiuta sempre”.

A tuo avviso cosa bisognerebbe fare per rivitalizzare questo mercato del jazz che in Italia appare oggi particolarmente asfittico?
“Innanzitutto più attenzione da parte delle istituzioni. Ti ricorderai come una ventina d’anni fa la situazione era totalmente diversa; c’era la Rai dove si facevano spesso concerti dal vivo, la Televisione trasmetteva spesso concerti a cui io stesso ho partecipato, i media seguivano con più attenzione la nostra musica ma soprattutto c’erano un sacco di locali dove si poteva suonare. Non trascurerei, poi, la spinta venuta dai due film che uscirono in quel periodo, “Bird” e “Round about midnight” che probabilmente hanno prodotto un processo di identificazione tra i giovani. Insomma una serie di elementi che hanno portato ad un vero e proprio momento d’oro. A Roma c’erano almeno una quindicina di locali dove si faceva jazz con una programmazione straordinaria… sembrava quasi di essere a New York. Poi piano pano tutto questo è andato scemando per cui si è arrivati alla situazione attuale in cui la cultura si è quasi dileguata. Io a Roma faccio fatica a suonare nei locali sia perché oramai ce ne sono pochissimi sia perché non hanno un pianoforte degno di questo nome per cui ti passa la voglia di suonare. Ad esclusione – è ovvio – della Casa del Jazz e dell’Auditorio, l’unico posto a Roma dove ancora si suona bene, quando il piano è accordato, è l’Alexanderplatz. Fuori è ancora più difficile a causa dei costi a meno che non ti chiami qualche festival, eventualità, questa, non certo assai frequente”.

Ma, a parte questo, c’è anche l’altro problema dei soldi… mi risulta che i club romani paghino davvero una miseria…

“Pagano molto meno di quello che pagavano una decina d’anni fa. Ma ti assicuro che non è tanto un fatto di soldi; qualunque sia la cifra io mi rifiuto se devo avere davanti uno strumento assolutamente improponibile”.

In questo clima tutt’altro che positivo, tu hai realizzato un bel disco; da cosa è scaturita questa tua esigenza dato che vai in sala di incisione con molta parsimonia: l’ultimo album da te firmato, se non sbaglio, risale a cinque anni fa.
“Vorrei precisare che fare un disco è sempre una bella cosa in quanto è un modo di lasciare una testimonianza di quello che fai. Quanto ai cinque anni hai ragione: io dedico molto tempo all’insegnamento ed inoltre per un periodo mi sono sentito vagamente demotivato… poi per fortuna è prevalsa in me l’idea di lottare ed eccomi qui. Oltre ciò che ho detto, va considerato che impiego molto tempo a scrivere i miei pezzi cosicché in ogni caso tra un album e l’altro passa un bel lasso di tempo; comunque quando ne ho un certo numero sento l’esigenza di inciderli. Ecco cosa mi ha portato ad incidere questo mio ultimo album. E non è stato facile trovare una situazione discografica idonea”.

Eppure il mercato del jazz in Italia è letteralmente invaso da una pletora di album di jazzisti italiani…
“E’ vero ma piuttosto che fare tre dischi di cui non si trova traccia nei negozi, che non vengono minimamente promossi è meglio aspettare un attimo e trovare una situazione idonea. Ad esempio mi pare che l’Alfa music lavori bene.E un’etichetta che crede nelle cose che fa.Con Fabrizio Salvatore e Alessandro Guardia,i due responsabili,ho anche un ottimo rapporto a livello umano.

C’è in questo tuo nuovo lavoro una qualche caratteristica che lo distingua dai precedenti album?
“Innanzitutto è di nuovo un disco in trio e può considerarsi la logica prosecuzione del primo inciso con Roberto Gatto e Furio Di castri in quanto c’è molta attenzione alla melodia, cosa che è in me è del tutto naturale, unitamente ad un certo romanticismo che credo faccia parte del mio dna: Questi elementi si ritrovano anche nelle improvvisazioni: quando suono “libero” mi piace tracciare delle melodie piuttosto che fare sfoggio di virtuosismo, pur rispettando quanti, viceversa seguono questa linea. Per me la tecnica deve essere al servizio della creatività’ e non viceversa”.

Si può dire che questo tuo modo di sentire il jazz si inserisce in quel filone che comunemente si definisce come “Jazz Italiano”?
“Credo proprio di sì; se c’è una cosa che abbiamo di bello noi musicisti italiani è il calore e la ricerca della melodia e quando, poi, a questa melodia si può abbinare una raffinatezza ed una eleganza armonica allora sei già a buon punto. Noi possiamo competere nel mondo con gli altri musicisti proprio con queste armi. Ad esempio se la mettiamo puramente sul piano dello swing è chiaro che diventa molto difficile superare i musicisti americani” .

Senza pensarci troppo: mi fai il nome di un musicista che per te rappresenta un punto di riferimento?
“Bill Evans senza dubbio; credo sia stato il pianista più importante. Dopo di lui, fermo restando che io adoro Chick Corea e Herbie Hancock che considero due artisti eccezionali, un altro punto di riferimento per me è Keith Jarrett che trovo sia assolutamente geniale”.

Sono assolutamente d’accordo: credo che oggi come oggi Jarrett sia semplicemente inarrivabile in quanto le sue idee sono avanti nel tempo…
“E’ proprio così. Lui a quelle doti che molti posseggono, vale a dire maestria tecnica, senso del tempo, della costruzione dell’assolo, facilità improvvisativa, abbina anche un gusto straordinario,una profondità’ interpretativa e una capacità di emozionare l’ascoltatore assolutamente unica…insomma per me è un vero genio”.

Andando indietro nel tempo, qual è l’episodio che ricordi con maggiore emozione?
“Probabilmente suonare con Chet Baker; ogni volta che mettevo le mani sul piano e lui era accanto a me mi rendevo conto di suonare con un pezzo di storia del jazz. Io ho suonato con molti grandi musicisti americani e italiani ma l’emozione che mi dava Chet, soprattutto quando cantava, è assolutamente ineguagliabile”.

Quanto dici non mi stupisce in quanto ho trovato che moltissimi musicisti sono attratti dalla personalità di Chet… anche se dal punto di vista umano non è che si concedesse più di tanto.
“Hai perfettamente ragione. Chet era un tipo taciturno, parlava poco, pochissimo… mi ricordo che una volta facemmo assieme un tragitto in treno di circa quattro ore e riuscii a strappargli solo qualche frase. Ma dal punto di vista musicale ti comunicava un quid che non è facile descrivere a parole”.

C’è un qualche artista che oggi, dal punto di vista emozionale, potresti paragonare a Baker?
“Torniamo a Jarrett e dopo a Corea ed Hancock”.

Ma siamo su un altro piano…
“Certamente”

Qual è il tuo prossimo obiettivo?
“Fare un disco in trio ma con un’orchestra d’archi. Brani di mia composizione, arrangiamenti miei o di altri poco importa… credo che sia molto emozionante lavorare con sotto questo meraviglioso tappeto d’archi”.

Ci stai già lavorando?
“No, siamo ancora allo stato di idea… ma tornando alla tua domanda di prima, spero ovviamente di suonare di più col mio trio.

Prima di lasciarci vorrei, però, che ci parlassi di questo progetto, intrigante, con Eduardo De Crescenzo a mio avviso uno dei migliori artisti in assoluto della canzone d’autore.
“Sì, con piacere. Con De Crescenzo, che io reputo davvero un grande, riproponiamo brani del suo repertorio riarrangiati in versione jazzistica e “unplugged”. Abbiamo costituito un bellissimo gruppo comprendente Daniele Scannapieco al sassofono,Enzo Pietropaoli al contrabbasso, Marcello di Leonardo alla batteria , un giovane violoncellista, Lamberto Curtoni, e naturalmente il sottoscritto che suono e curo gli arrangiamenti. Il 24 suoneremo al Blue Note di Milano, il 4 maggio alla Casa del Jazz , l’11 giugno al San Carlo di Napoli che apre le porte a questa musica “profana” e speriamo di lavorare molto con questo progetto”.

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