Roma, Casa del Jazz, 21 aprile 2012

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Riccardo Del Fra

Riccardo Del Fra

Riccardo Del Fra torna in con il suo progetto “My Chet, My Song” in occasione de Les Jours de France a Rome, la settimana francese a Roma (13 -22 aprile), organizzata dal Terzo Municipio e dal tredicesimo arrondissement parigino. Le apparizioni in patria del grande contrabbassista romano sono purtroppo sporadiche e proprio per questo assumono il carattere di un evento. Del Fra risiede a Parigi dagli inizi degli anni Ottanta dove insegna al conservatorio e porta avanti la sua carriera di musicista moderno e costantemente proiettato verso il futuro. Complice del suo trasferimento oltralpe fu Chet Baker, che Del Fra incontrò nel 1979. Il sodalizio artistico con il trombettista americano sarebbe durato nove anni e avrebbe prodotto ben dodici album. “ (Chet Baker) ha influenzato la mia musica e la scrittura”, scrive Del Fra sul suo sito, “dalla qualità del suono a tutto tondo con un vibrato leggero, alla relazione diretta con la vocalità in tutto l'approccio strumentale, alla ricerca della costruzione di lunghe frasi che attraversano le armonie e di un pensiero quasi costante di respirazione e silenzio”. Non sorprende quindi che Del Fra proponga un progetto intitolato “My Chet, My Song” che però non ha l'intento rievocare la memoria del grande trombettista, quanto quello portare avanti quei concetti musicali che Baker, forse più inconsciamente che consapevolmente, ha espresso nel corso di tutta una vita. Del Fra si presenta alla Casa del Jazz alla guida, per la prima volta in Italia, di un quintetto giovanissimo ma già carico di allori. Airelle Besson, alla tromba e al flicorno, ha conquistato il Django D'Or nel 2008 come miglior giovane talento. L'altosassofonista Pierrick Pedron ha ottenuto nel 2006  riconoscimenti da l'Academie du Jazz per il miglior album,  “Deep in a Dream”,  e come miglior artista. Il pianista Bruno Ruder ha già all'attivo un curriculum di tutto rispetto e ha effettuato anche escursioni in territorio non jazzistico suonando con lo storico gruppo rock francese Magma. Ariel Tessier è invece un batterista funambolico che si è diplomato come percussionista classico ma che ha trovato nel jazz la sua vera dimensione. Oggi è uno dei giovani batteristi più richiesti della scena francese.

Marco Giorgi
www.red-ki.com

La serata si apre con una toccante lettura di Del Fra di un testo dedicato a Chet Baker, ma nel quale il nome del trombettista non viene mai menzionato. Eppure il gioco di luci e di ombre, di rimandi all'inafferrabile essenza della personalità del trombettista di Yale, alla sua arte luminosa che emergeva dalle angosce della sua anima  irrequieta, riescono a ritrarlo meglio di un'istantanea. E' il preludio al concerto che dispenserà al pubblico delicatezze californiane, ballad intense, assoli vertiginosi, unisoni raccolti e anche momenti di grande libertà espressiva. Del Fra dirige la formazione con il suo suono solido e la sua cavata inconfondibile. Il suo accompagnamento è sempre originale, ricco di abbellimenti anche quando la linea è quella di un semplice walking bass. Gli occhi di Ruder e Tessier sono sempre su di lui, pronti a coglierne le intenzioni, a interpretarne gli spunti. Su questa sezione ritmica che ti sospinge incessantemente i solisti volano alto. Sia con la tromba che con il flicorno la Besson ha un suono flebile, introverso, ma non per questo incerto. Il timbro è affascinante, lirico e il fraseggio non è mai banale.  Al contrario Pedron  è esplosivo, travolgente nei suoi assolo e proprio nel contrasto con l'intimismo della Besson trova il suo completamento. Quello che più colpisce però è l'unita del quintetto. Nessuno, anche nei momenti in cui l'impeto solistico è più accentuato, dimentica di essere al servizio della musica e non del proprio talento. Questo è l'elemento che più rivela la lezione di Baker ed è merito di Del Fra averla fatta metabolizzare ai  suoi giovani musicisti. Il contrabbassista è una presenza centrale del quintetto anche se limita allo stretto indispensabile gli assolo. Merita di essere ricordato quello eseguito interamente sulla parte alta della , in prossimità del capotasto, realizzato giocando con gli armonici. Del Fra  si esibisce anche in veste di vocalist in una intensa “For all we know”.” I'm a fool to want you” è decisa “sul campo” dal contrabbassista che modifica improvvisamente scaletta e assetto gruppo, che viene per l'occasione ridotto a un trio con la Besson e Ruder. Segue, a pieno organico, una splendida “But not for me”. Al termine Del Fra nomina per la prima volta Chet Baker, l'artista che “… come pochi è esistito soltanto per l'arte”. Il suo ricordo si conclude con l'annuncio di “There will never be another you”, che ha tutto il sapore di un tributo. Solo un bis, richiesto con forza dall'intera sala, separa dal termine dell'esibizione. Quando cala il silenzio e gli artisti scompaiono dietro le quinte rimane la sensazione di avere assistito a un concerto fuori dall'ordinario, non solo per l'eccellente qualità della musica, ma soprattutto per la sincerità e la purezza con cui questa è stata proposta al pubblico, per quella spiritualità che si è percepita dietro ogni nota e ogni assolo. Più di qualsiasi ricordo o tributo, di qualsiasi arrangiamento o assolo ben riuscito, è questo il maggior merito di Del Fra e del suo quintetto.

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