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Cirinnà quartet feat. Dino Rubino – “Screenplay”

Cirinnà quartet feat. Dino Rubino – “Screenplay”

Cirinnà quartet feat. Dino Rubino – “Screenplay” – Anaglyphos 06

Ancora un ottimo musicista proveniente dalla Sicilia, ed ancora un ottimo album, edito dalla casa discografica siciliana Anaglyphos di Nello Toscano, che la dice lunga sullo stato di salute del jazz nell'Isola. Questa volta il protagonista è Rino Cirinnà, sassofonista di livello, accompagnato da un altro siculo d'eccellenza, Dino Rubino al piano, e poi da Lucio Terzano al contrabbasso e Tony Arco alla batteria. L'album si caratterizza per il tipo di musica che i quattro eseguono, un jazz allo stesso tempo moderno ma di impronta classica nel senso che evidenti appaiono i richiami ad alcuni degli stili più importanti del jazz quali il be bop e l'hard bop. In particolare il leader, forte delle esperienze maturate negli States, ha elaborato un linguaggio del tutto personale elaborato, per l'appunto, sull'approfondita conoscenza di quanto i suoi predecessori hanno saputo creare; di qui un bel sound tondo, un fraseggio molto ben articolato ma lontano da qualsiasi virtuosismo e soprattutto un ludico senso della costruzione. In ciò perfettamente coadiuvato, in questa occasione, dal pianista Dino Rubino, una delle più belle realtà del nuovo jazz italiano; anch'egli, nonostante sia tecnicamente ferratissimo, rifulge da ogni tentazione esibizionistica privilegiando un pianismo più intimista in cui ogni nota contribuisce alla costruzione dell'edificio comune. Lucio Terzano è bassista oramai ben conosciuto che coniuga una grande inventiva ad una costante capacità di fornire il necessario supporto ritmico-armonico, così come il batterista Tony Arco che ad esempio in “Big on trio” si produce in un esemplare assolo. Il repertorio è composto da sette brani, tutti di Cirinnà, che ben si sposano con quanto precedentemente detto anche se ci hanno particolarmente colpito “Modaldino” su tempo medio-lento caratterizzato dal continuo dialogo su un riff tra pianoforte e sassofono e da uno splendido assolo di Dino Rubino, “Song for you” giocato soprattutto sulle capaci spalle del pianista e “Behind” in cui ancora in bella evidenza Rubino che dimostra di aver ben ascoltato Bill Evans (e come sarebbe potuto essere diversamente!) e Rino Cirinnà che dimostra di saperci fare…e molto anche al sax soprano. (GG)

Sebastiano Dessanay – “Songbook volume two”

Sebastiano Dessanay – “Songbook volume two”

Sebastiano Dessanay – “Songbook volume two” – F-IRE 54

Ottimo esordio discografico da leader per Sebastiano Dessanay, bassista sardo da tempo emigrato in Gran Bretagna. Assieme a lui suonano altro due artisti sardi, Alessandro Di Liberto (pianoforte) e Pierpaolo Frailis (batteria), con l'aggiunta, in alcune tracce, del flicorno di Fulvio Sigurtà, musicista che sta rapidamente conquistando i favori del pubblico e della critica. Il repertorio comprende tutti brani originali scritti dal 1997 ad oggi ed ascoltando l'album si avverte la cura, l'attenzione con cui il bassista ha elaborato queste composizioni sicché, in fase esecutiva, la pagina scritta prevale nettamente su quella improvvisata, anche se non mancano pezzi in cui i tre improvvisano lungamente (“Intermission”). Ma ciò nulla toglie alla valenza dell'album data la felice scrittura e quindi la bellezza dei temi spesso studiati per valorizzare il contrabbasso. E bene ha fatto Sebastiano dal momento che le sue capacità strumentali sono di tutto rilievo: non a caso l'album si apre proprio con un suo assolo (“Nora”) che lascia poi il campo al pianista il quale esegue una melodia delicata e suggestiva. Splendido il secondo brano (“Sunday morning”) in cui si ascolta anche Fulvio Sigurtà disegnare una bella linea melodica, costante, quest'ultima, che caratterizzerà tutto l'album. Stessa dolce atmosfera in Dina, su tempo dispari, con pianista e bassista che dialogano fittamente. In “Tears” ancora Sigurtà prodursi in un assolo quanto mai centrato. (GG)

Bebo Ferra – “Specs People”

Bebo Ferra – “Specs People”

Bebo Ferra – “Specs People” – Tuk Music 098

Bebo Ferra è sicuramente tra i chitarristi più significativi del panorama nazionale. Dopo essersi fatto notare in diversi contesti, adesso ci presenta questo album prodotto dalla Tuk Music, in cui si esprime in trio con il giovane Gianluca di Ienno all'organo Hammond e live electronics e Maxx Furian alla batteria. Diciamo subito che il sound del gruppo non è caratterizzato dalla presenza dell'Hammond per cui siamo ben lontani dalle atmosfere tipiche di questo strumento.. alla Jimmy Smith, tanto per intenderci. Qui le atmosfere sonore sono molto più moderne, frutto dell'intensa ricerca sul suono che questo chitarrista ha potuto compiere, tra l'altro, con Paolo Fresu e Giovanni Tommaso. Di conseguenza il trio riesce a fondere, senza alcuno sforzo apparente, suggestioni colte dal mondo del jazz, da quello del rock, da quello della classica e persino da quello cinematografico data la particolare vena creativa di Ferra anche in questo campo: ricordiamo che ha composto in collaborazione con Paolo Fresu le musiche per il film “Il mio domani” della regista Marina Spada con protagonista Claudia Gerini, e in splendida solitudine le musiche del film “Tutto bene” di Daniele Maggioni. Il repertorio consta in massima parte di brani originali più alcune cover quali “Gran Torino” e “Satisfaction”. Tra i primi particolarmente riusciti “My English brother” dal vago sapore metal mentre la “Radio in Testa” richiama esplicitamente i Radiohead con un centrato assolo di Gianluca di Ienno.

Particolarmente riuscite le interpretazioni sia di “Gran Torino” tratta dall'omonimo splendido film di Clint Eastwood, sia del celeberrimo “Satisfaction” dei Rolling Stones: quest'ultimo pezzo viene affrontato con grande originalità e Ferra ha modo di mettere in mostra le sua capacità tecniche e improvvisative senza che la lunghezza del pezzo (oltre 8 minuti) faccia affiorare un benché minimo segnale di stanca. (GG)

Michele Francesconi / Massimiliano Coclite - “Twice”

Michele Francesconi / Massimiliano Coclite – “Twice”

Michele Francesconi / Massimiliano Coclite – “Twice” – abeat ABJZ504

Sono davvero due i poli di questi nove brani – il pianoforte antiretorico e melodizzante di Francesconi e la voce piena di sfumature di Coclite – ma è dal loro interplay che nasce la magia di “Twice”. Si provi ad ascoltare “With a Song in My Heart”, ad apprezzarne l'intensità e la palpabile poesia che si arricchisce del solo di contrabbasso di Paolo Ghetti (cui si aggiunge la raffinata batteria di Alessandro Paternesi; i due ritmi entrano a pieno nell'interplay). Tutto da sentire è anche l'assolo in scat di Massimiliano Coclite nello spumeggiante finale di “I'Ve Got the World on a String”. La scelta del repertorio rivela, peraltro, la personalità dei due leader: quattro standard (con una netta predilezione per Rodgers & Hart), “Arrivederci” di Bindi e Calabrese, “Here, There and Everywhere” di Lennon & McCartney, “Eu sei que vou te amar” di Tom Jobim, “Smile” di Charlie Chaplin ed un brano di Bill Evans (già evocato nel “My Romance” di apertura). Si tratta di “Funny Man” per cui Coclite e Marta Raviglia (straordinaria cantante della nuova generazione) hanno creato un testo originale: riuscita è l'esecuzione, impreziosita da un'improvvisazione in scat che rispetta il mood del pezzo ed evita virtuosismi, come l'asciutto solo al piano di Francesconi. Massimiliano Coclite sa, peraltro, essere sensibile cantante anche senza improvvisare, come accade in “Arrivederci” e nell'incantato brano dei Beatles. Piano, voce, poesia… (LO)

Masabumi Kikuchi Trio – “Sunrise”

Masabumi Kikuchi Trio – “Sunrise”

Masabumi Kikuchi Trio – “Sunrise” – ECM 2096

Questo album è oggettivamente importante per almeno due motivi: rappresenta l'esordio in casa ECM del pianista giapponese Masabumi Kikuchi ed è anche una delle ultime (se non proprio l'ultima) session cui abbia partecipato il batterista Paul Motian recentemente scomparso. Il non più giovane improvvisatore giapponese (classe 1939) aveva nel tempo sviluppato una profonda amicizia con il percussionista fondando tra l'altro il gruppo “Tethered Moon” con Gary Peacock e per l'appunto Paul Motian, una formazione che si distinse, tra l'altro, per la particolarità del repertorio spesso dedicato a personaggi “altri” rispetto al jazz come Kurt Weill, Edith Piaf, Jimi Hendrix e Puccini. Ma da allora lo stile e l'approccio alla materia musicale da parte del pianista sono sostanzialmente mutati: adesso l'artista ha abbandonato qualsivoglia repertorio per suonare ciò che sente in quel determinato momento abbandonandosi cioè all'estro improvvisativo: “quando mi siedo davanti al pianoforte – spiega Masabumi – non preparo ciò che suonerò né ci penso; credo che in ogni caso troverò il modo di realizzare qualcosa di nuovo e suppongo di poter definire tutto ciò come il mio nuovo essere”. E di tutto ciò Kikuchi da esplicitamente il merito a Paul Motian che anni fa lo avrebbe incoraggiato a intraprendere tale direzione. In effetti l'album tiene perfettamente fede a questo tipo di impostazione: sempre in bilico tra pronunce free e atmosfere da ballad, la musica si svolge seguendo un percorso profondamente intimista in cui il pianismo del leader si esprime con grande parsimonia, mai dando sfoggio di inutile virtuosismo. Al contrario ogni nota è soppesata nell'ambito di un disegno perfettamente lucido che trova sempre una logica conclusione nonostante sia totalmente improvvisato. Nell'ambito di una siffatta impostazione, è facile intuire come il percussionismo di Motian, con la sua straordinaria abilità nel creare e sottolineare atmosfere, il suo colorismo, la sua fantasia timbrica, risulti affatto decisivo per la buona riuscita dell'album. Dal canto suo il contrabbassista Thomas Morgan, con la straordinaria capacità di suonare la nota giusta al momento giusto, rende ancora più incisiva e coinvolgente l'esplorazione del mondo poetico propria di Kikuchi e Motian. (GG)

Il coro de Il Pentagramma – “Il Quattordicetto Cetra!”

Il coro de Il Pentagramma – “Il Quattordicetto Cetra!”

Il coro de Il Pentagramma – “Il Quattordicetto Cetra!” – four 009

Una immediata precisazione: questo non è un di jazz? Allora, vi chiederete, perché viene segnalato? Perché il vostro cronista e un inguaribile fan del “Quartetto Cetra” che ritiene non inferiore, per fare un paragone a tutti accessibile, ai “Manhattan Transfer”. In effetti il “Quartetto Cetra” con i suoi oltre quarant'anni di attività, è stato uno dei gruppi più longevi al mondo, un gruppo che si caratterizzò per l'estrema originalità delle proprie interpretazioni e per la carica di swing che i quattro sapevano infondere nel loro canto. Purtroppo oggi tutti e quattro i Cetra (Felice Chiusano, Tata Giacobetti, Lucia Mannucci e Virgilio Savona) sono scomparsi per cui ben venga questo omaggio costruito con cura, amore e dedizione, omaggio nato da un'idea di Gabriella Schiavone, apprezzata vocalist barese e leader del quartetto vocale “Faraualla. La vocalist non si è, però, fermata ad immaginare un altro quartetto che mai avrebbe potuto raggiungere la cifra stilistica dell'originale, ma ha pensato di mettere su un “quattordicetto”, ovvero una formazione di ben quattordici elementi tra soprani, contralti, tenori e bassi, ricavata dalla classe di canto corale della scuola di musica barese “Il Pentagramma”, con l'aggiunta di un quartetto di pianoforte, chitarra, contrabbasso e batteria, suonati, rispettivamente, da Onofrio Paciulli, Max Monno, Dario Di Lecce e Fabio Delle Foglie, musicisti già abbastanza conosciuti al pubblico del jazz. Il risultato è più che gradevole specie se si tiene conto del fatto che del repertorio dei Quartetto Cetra non esistevano partiture ufficiali per cui era necessario prima ricavarle dai dischi, e quindi riarrangiarle: così in rapida successione scorrono i grandi successi dei quartetto, da Vecchia America” a “Ba-ba baciami piccina”, da “In un palco della Scala” a “Non so dir ti voglio bene”… per chiudere con “Raggio di sole” dopo una cavalcata che attraversa qualche decennio. Il tutto porto con delicatezza, profondo rispetto dell'originale e, cosa ancor più difficile, conservando quella sottile venatura swing che, come detto, caratterizzava la musica dei Cetra. (GG)

Dino Rubino Trio – “Zenzi Tribute to Miriam Makeba”

Dino Rubino Trio – “Zenzi Tribute to Miriam Makeba”

Dino Rubino Trio – “Zenzi Tribute to Miriam Makeba” – Tuk Music 099

Ecco il talentuoso pianista e trombettista catanese Dino Rubino alla sua prima prova discografica da leader; l'opportunità gliel'ha offerta la Tuk Music di Paolo Fresu e Dino ha risposto alla grande. Innanzitutto mettendo su un trio di prim'ordine con Paolino Dalla porta al basso e Stefano Bagnoli alla batteria; in secondo luogo predisponendo un ottimo programma dedicato ad una delle più grandi voci della musica nera, Miriam Makeba; in terzo luogo fornendo una prestazione assolutamente superlativa in cui ha confermato quanto di buono già si era ascoltato sia nei concerti sia nei molti dischi in cui il musicista era apparso o come membro del gruppo o come ospite d'onore. Ma una cosa è partecipare a dischi altrui, altra cosa è assumersi la paternità di un progetto: bisogna pensarlo, trovare i musicisti adatti, scrivere e arrangiare. Quanto al primo punto lo steso Rubino nel corso di una recente intervista ha dichiarato che “Miriam Makeba è stata portatrice di un messaggio di fiducia e speranza, un messaggio di libertà di pensiero e di espressione e nel mio piccolo mi piace associare la musica ad un messaggio di libertà e di fiducia in se stessi”. Per non parlare dei legami tra Sicilia e Africa, “terre che hanno ben più in comune della sola prossimità fisica, e questi sono tutti aspetti – aggiunge Rubino -che mi legano personalmente alla vicenda di questa straordinaria artista”. Di qui una serie di brani, in massima parte scritti dallo stesso Rubino, che tendono a valorizzare le varie sfaccettature della complessa personalità artistica della Makeba, attivista politica, cantante di jazz, cantante folk… Così, ad esempio, con il brano d'apertura, “Malaika”, tratto dalla tradizione folkloristica keniota, e con le due composizioni originali legate come una piccola suite, “From Sicily” e “To Africa”, Rubino vuole omaggiare la Makeba cantastorie di antichissime tradizioni mentre con la canzone yiddish “Where I can go” proveniente dai campi di concentramento degli anni Quaranta che la vocalist contribuì a far conoscere in tutto il mondo si evidenzia la Makeba portatrice di istanze politiche. Naturalmente non poteva mancare “Pata pata” un brano scritto dall'artista sudafricana Dorothy Masuka in lingua Xhosa Il tutto eseguito da un trio, come si diceva, superlativo in cui varietà ritmica e gusto del colore rappresentano i punti di forza… oltre naturalmente alla bravura di tutti e tre i musicisti. (GG)

Graziella Vendramin - “Regreso al Sur”

Graziella Vendramin – “Regreso al Sur”

Graziella Vendramin – “Regreso al Sur” – artesuono art 106

Il sud del titolo è un meridione italiano e del mondo, un sud della memoria e degli affetti, riscoperto ed indagato attraverso uno scavo interiore e nutrito dalla nomade attività di cantante su navi da crociera. Così la friulana Graziella Vendramin, di madre partenopea, ha proseguito il discorso avviato con il precedente album – “'A casciaforte dei ricordi”, 2009, che lavorava attorno alla musica napoletana – per giungere alla policromia di “Regreso al Sur”. La accompagnano Rudy Fantin (piano, Fender Rhodes, arrangiamenti), Gaetano Valli (chitarre, arrangiamenti), Alessandro Turchet (contrabbasso) e U.T.Gandhi (batteria percussione), ottimi compagni di viaggio cui si aggiungono vari ospiti fra cui Francesco Bearzatti (sax tenore e clarinetto), Maurizio Tatalo (voce) e Roberto Daris (accordion, arrangiamenti). L'album si articola tessendo generi e lingue, stili ed epoche. Si parte con un “Prelude & medley of Domenico Modugno”, passando ad “Estate” e “Nuages”, accomunate dall'atmosfera melanconica. Sempre in ambito francese la Vendramin interpreta “Et maintenant” di Gilbert Becaud, virando verso il fado portoghese (“Os dias sao a noite”, da lei stessa arrangiato) che ben si sposa con “Lush Life” di . A questo punto, con un salto improvviso, “Mr.Paganini” terremota la sequenza che si sposta repentinamente verso il gospel con “A song for you” con tanto di coro. Ancora un colpo alla barra del timone, verso il sud, con la bossa-nova (“Luiza” di A,C,Jobim), il nuevo tango (“Vuelvo al sur” di Piazzolla e Solanas) fino a tornare alla materna Napoli, con “Indifferentemente” e “Scalinatella”. Viaggio ardito sulla carta nautica del suono, ben riuscito nella navigazione dell'album, frutto di studio, passione e selezione. “Regreso al Sur” è arricchito da un omonimo ed interessante video di una diecina di minuti, girato negli studi di Cavalicco di Stefano Amerio. (LO)

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