Con Metheny non esiste il rischio routine

Pat Metheny

Pat Metheny

Sembra un paradosso per un artista che si muove nell’ambito del jazz, ma sono più di trent’anni che Pat Metheny non proponeva una formazione del cui organico facesse parte un sassofono. L’ultima volta che il chitarrista aveva integrato le ance nel suo sound era stato nell’album 80/81, impiegando Michael Brecker e Dewey Redman. “Ai tempi di 80/81, sarebbe stato difficile credere che non avrei proposto per molto tempo un tradizionale quartetto jazz, dato che si trattava di una formazione con cui avevo suonato spesso. Sotto certi aspetti le mie band sono state alternative alle formazioni più convenzionali con cui avevo suonato”, ha dichiarato Metheny. “Il fatto che ci siano voluti più di trent’anni per tornare al quartetto a testimonianza di quanto mi avessero tenuto impegnato queste alternative”. La pubblicazione del nuovo lavoro, Pat Metheny Unity Band, ha per questo il sapore di un gradito ritorno. Il CD ha ricevuto consensi unanimi e molti elogi dalla critica . Non possiamo far altro che unirci al coro di chi ha apprezzato grandemente questo lavoro. C’è chi ha scritto che Metheny è tornato al sound del passato, ma su questo non ci sentiamo di concordare, in quanto non basta l’utilizzo della chitarra synth, peraltro molto limitato nell’album, per sostenere una tale affermazione. Più che cercare similitudini con il passato è forse meglio analizzare il presente, che per Metheny è rappresentato dalla Unity Band, impegnata in una colossale tournée di settantatré date in Europa e negli Stati Uniti. Un programma da grande rock band, più che da quartetto jazz.

Marco Giorgi
www.red-ki.com
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