Roma, Cavea dell'Auditorium Parco della Musica, 14 luglio 2012

Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Pat Metheny

Pat Metheny

Sembra un paradosso per un artista che si muove nell'ambito del jazz, ma sono più di trent'anni che Pat Metheny non proponeva una formazione del cui organico facesse parte un sassofono. L'ultima volta che il chitarrista aveva integrato le ance nel suo sound era stato nell'album 80/81, impiegando Michael Brecker e Dewey Redman. “Ai tempi di 80/81, sarebbe stato difficile credere che non avrei proposto per molto tempo un tradizionale quartetto jazz, dato che si trattava di una formazione con cui avevo suonato spesso. Sotto certi aspetti le mie band sono state alternative alle formazioni più convenzionali con cui avevo suonato”, ha dichiarato Metheny. “Il fatto che ci siano voluti più di trent'anni per tornare al quartetto a testimonianza di quanto mi avessero tenuto impegnato queste alternative”. La pubblicazione del nuovo lavoro, Pat Metheny Unity Band, ha per questo il sapore di un gradito ritorno. Il CD ha ricevuto consensi unanimi e molti elogi dalla critica . Non possiamo far altro che unirci al coro di chi ha apprezzato grandemente questo lavoro. C'è chi ha scritto che Metheny è tornato al sound del passato, ma su questo non ci sentiamo di concordare, in quanto non basta l'utilizzo della chitarra synth, peraltro molto limitato nell'album, per sostenere una tale affermazione. Più che cercare similitudini con il passato è forse meglio analizzare il presente, che per Metheny è rappresentato dalla Unity Band, impegnata in una colossale tournée di settantatré date in Europa e negli Stati Uniti. Un programma da grande band, più che da quartetto jazz.

Marco Giorgi
www.red-ki.com

Non appena sulla Cavea dell'Auditorium Parco della Musica di Roma scendono le prime luci della sera Metheny dà il via al concerto esibendosi da solo con la chitarra Pikasso a quarantadue corde. L'improvvisazione a cui dà vita è molto rarefatta, quasi fosse l'introduzione di un raga indiano. Più che la ricerca della melodia, il chitarrista mira a creare un'atmosfera sospesa utilizzando tutti i diversi timbri del suo strumento. Al termine del brano sul palcoscenico appare il resto del gruppo: Chris Potter al sassofono, Ben Williams al contrabbasso e Antonio Sanchez alla batteria. Metheny rimane ancora alla Pikasso che abbandona dopo una breve introduzione per la sua amata Gibson ES 175 con cui eseguirà la maggior parte dei brani del concerto. Come And See me apre di fatto la presentazione del nuovo album e mostra una formazione già estremamente rodata e di livello stratosferico. Metheny è perfettamente calato nel quartetto. E' il leader, ma non per questo occupa tutti gli spazi. Tutt'altro. Le possibilità espressive lasciate agli altri musicisti sono molto ampie e sempre funzionali all'armonia della composizione. Potter e Williams prendono i primi assoli su un accattivante pedale di contrabbasso. La band funziona a meraviglia e la musica è splendida. Su Roofdog, Metheny passa alla chitarra synth Roland GR 300 e Potter esegue una superba improvvisazione al soprano. Il mood è quello di Offramp, l'interazione tra chitarra e sax spinge in alto la musica in un delirio di note acute, poi improvvisamente ritorna il tema e il brano si conclude ad effetto. Arrivano i primi applausi convinti di un pubblico in estasi e che per larga parte non era a conoscenza del nuovo progetto del chitarrista. Sono passati venti minuti di concerto e non c'è stato un solo momento in cui si potesse tirare il fiato. Metheny imbraccia la chitarra classica di liuteria Manzer con le corde di nylon e disegna l'introduzione di New Year il cui splendido tema è affidato a Potter al sax tenore. Il brano è meraviglioso ed è esaltato dall'assolo mozzafiato di Potter e da quello di Williams. Il suono del contrabbasso è pastoso, l'improvvisazione è estremamente melodica, cantabile, perfettamente integrata nella struttura del brano. E' poi la volta di Pat Metheny a prendere l'assolo e a portare il brano verso la ripresa del tema e l'epilogo. This Belong To You, composizione che conclude l'album, è eseguito con la Mazer a sei corde e fa da preludio a una bruciante Peace Warriors. E' un chiaro attestato di amore per Ornette Coleman, le cui composizioni Metheny ha spesso inciso a partire dagli esordi. L'atmosfera free è il trampolino ideale per Sanchez che regala al pubblico un assolo di batteria memorabile. E' la volta poi di Two Folk Songs, che faceva parte dell'album 80/81, che precede Signals (Orchestrion sketch) il brano più complesso dell'intera serata. Metheny utilizza l'Orchestrion, un sistema che permette lo sviluppo di musica”orchestrale”, tramite una varietà di strumenti acustici ed elettroacustici controllati in maniera meccanica attraverso una chitarra o una tastiera. Il brano si sviluppa attraverso la creazione live di loop che, mattone dopo mattone, costruiscono la struttura del brano e fungono da base per le improvvisazioni. Tutto molto affascinante per un musicista, meno forse per il pubblico che assiste per diversi minuti all'edificazione a strati di brano che, al di là della sua spettacolarità, non sembra pienamente compiuto. A questo punto, dopo un'ora e dieci di concerto, il leader di solito si prende una pausa (quando non timbra il cartellino in uscita e si prepara per i bis) e permette ai componenti del gruppo di esibirsi da solisti. Non è certo il caso di Metheny che concede alla band un po' di riposo e resta sul palco per una serie di duetti. Il primo, con Potter, è giocato su un ritmo velocissimo, con chitarra e sax che si rincorrono in contrappunti e unisoni, prima di svelare al termine una inaspettata All The Things You Are. A Williams spetta, invece, Turnaround, altro tributo a Coleman mentre è il fidato Sanchez a chiudere la serie dei duo. Metheny ringrazia il pubblico e annuncia l'ultimo brano della serata, Breakdealer. Richiamata a gran voce sul palcoscenico la Unity Band si lancia in Are You Going With Me, accolta da un'ovazione. La curiosità di vedere come sarebbe stato affrontato il brano è presto appagata. Il tema è affidato a Potter che lo esegue al flauto traverso. L'effetto è di grande efficacia, così come lo sono le interazioni tra chitarra Roland e flauto. Certo, un brano del genere più che appagare il pubblico e avviarlo verso l'uscita, lo stimola ancora di più a non voler porre termine al concerto. Così Metheny torna ancora una volta sul palcoscenico, questa volta da solo, e regala al pubblico un medley acustico che si apre con Minuano 6/8 e si conclude con This Is Not America, dalla colonna sonora del film Il Gioco Del Falco (The Falcon And The Snowman). L'esecuzione è così bella e intensa che lascia senza fiato. Il concerto è davvero concluso e a nulla valgono i tentativi di avere un altro bis. Poco importa. Raramente oggi si può assistere a esibizioni di una qualità così alta e uniforme nel tempo. Metheny suona con l'energia di un esordiente, si consegna senza riserve al pubblico, non si risparmia, nonostante sia una star con diciannove Grammy Awards all'attivo. Crea musica splendida e guida il suo gruppo liberando le energie individuali non perdendo mai di vista che il fine ultimo non è il puro virtuosismo ma l'armonia di cui le esecuzioni devono beneficiare. Per Metheny la routine non esiste o, perlomeno, lui la intende come due ore di concerto mozzafiato.

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

Commenti

commenti

Shares