Auditorium Parco della Musica, Sala Santa Cecilia, 29 luglio 2012

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keith jarrett trioGli organizzatori sono stati con il fiato sospeso sino all’ultimo. A pochi minuti dall’inizio del concerto la Sala Santa Cecilia era in gran parte vuota. L’orario del concerto, fissato per le 19:00, assolutamente inusuale ma necessario per permettere a Jarrett di partire secondo i suoi piani, faceva temere che gran parte del pubblico convergesse sull’Auditorium alle 21:00, ora di normale inizio dei concerti. In perfetto stile romano, invece, a ridosso dell’orario fissato per l’inizio dello spettacolo, gli spettatori sono arrivati in massa, occupando la platea della Sala Santa Cecilia in ogni ordine di posti.

Con puntualità svizzera, sul palco appaiono Keith Jarrett, camicia rosso fuoco e pantaloni grigi, Gary Peakock e Jack DeJohnette e il concerto, articolato in due set con un intervallo di venticinque minuti, ha inizio. E’ All Of Me ad aprire la serata. Jarrett ne maschera il tema, opera tutta una serie di variazioni prima sui registri medi prima di lasciare spazio a Peacock per un assolo di contrabbasso. Al termine Jarrett continua a improvvisare e di tanto in tanto duetta con i “break” di DeJohnette. Sarà questo lo schema tipico che verrà portato avanti per tutto il concerto, senza quasi nessuna eccezione. Summertime, il cui tema strappa subito l’applauso della platea, viene eseguito a tempo medio. Jarrett gioca con il tema, frazionandolo e riproponendolo spesso, evitando di snaturarne la melodicità. Ma è con il terzo brano, una splendida ballad, che il pianista riesce a far scaldare il pubblico.

Marco Giorgi
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Una lunga introduzione eseguita un tempo molto lento crea un’atmosfera magica in sala e la conclusione del brano, in trio viene accolta dalla prima ovazione della serata. Jarrett risponde agli applausi con un cenno, poi si china a saggiare la consistenza dell’imbottitura dello sgabello su cui siede. Durante le prove Jarrett non era soddisfatto dei vari sgabelli che gli erano stati proposti. Questo era troppo alto, quello troppo basso, quell’altro troppo duro. A chi legge potranno sembrare i capricci di una star, cosa a cui Jarrett non è nuovo, ma bisogna tenere in considerazione che un artista quando cerca di dare il meglio di sé in concerto, deve trovarsi assolutamente a suo agio per concentrarsi sulla musica. Qualsiasi elemento di disturbo può alterare quello stato di grazia che è così difficile da raggiungere. Al termine del set lo sgabello verrà sostituito da uno dall’imbottitura più morbida. In platea qualcuno noterà la cosa e citerà, con pungente affetto, la “principessa sul pisello”, strappando qualche sorrisetto irirverente.

Il set si chiude con un’inaspettata Things Ain’t What They Used To Be, splendido blues del 1941 composto da Duke Ellington e girato (per aggirare lo sciopero che vedeva contrapposti musicisti e case discografiche) al figlio Mercer. Anche in questo caso Jarrett rimane fedele allo spirito del brano e, per la prima volta nel concerto, tocca i tasti all’estrema sinistra della tastiera. Non lo scopriamo certo oggi che Jarrett non utilizza la mano sinistra con un pianista di boogie woogie. Il suo è un pianismo di timbri medio alti, di delicatezze, di sfumature cristalline, non avvezzo alle profonde note del blues. E’ proprio questo il suono che è piaciuto al pubblico di tutto il mondo e che ha contribuito a fare di Jarrett una star mondiale. La conclusione del brano segna anche la fine di un primo set “bonsai” di buon livello. Il pubblico rimane un po’ perplesso della brevità della prima parte dello spettacolo e applaude come se stesse richiedendo un bis.

Al rientro dopo l’intervallo si ricomincia con una veloce Autumn Leaves nel corso della quale DeJohnette fa a volte sin troppo sentire la sue energia, liberata nei break e trattenuta a stento nell’accompagnamento. Il pubblico però apprezza il cambio di clima e applaude convinto. Somewhere è introdotta da una lunga improvvisazione solista di Jarrett. La ritmica interviene con delicatezza, con DeJohnette alle spazzole e Peacock ad accompagnare con poche e profonde note. L’assolo di contrabbasso che occupa la parte centrale del brano è molto bello, così come il sostegno che Jarrett offre con splendide armonie. E’ forse questo il momento più intenso della serata, l’unico in cui Jarrett cessa di essere il pianista star al cui seguito ci sono due accompagnatori di livello straordinario e diventa parte paritetica del trio. La musica si sblocca e circola liberamente.

Gli strumenti dialogano e a beneficiarne è la qualità della musica stessa. Il brano termina così come era iniziato con Jarrett in perfetta solitudine che lascia a poco a poco spegnere la melodia sino a lasciar sopravvenire il silenzio. Scrosciano gli applausi. You Took Advantage Of me, segna un cambio di clima, portando con sé l’allegria dei ruggenti anni venti in cui il brano fu composto da Richard Rodgers e Lorenz Hart per il musical Present Arms. Jarrett esegue tutta una serie di improvvisazioni, sempre più ardite moderne prima di lasciare spazio a Peacock, secondo lo schema già noto, prima di riprendere il tema e portare il brano a conclusione. Last Night When We Were Young è eseguita con brio e precede la conclusiva When I Fall In Love che conclude il secondo mini set. Il trio ringrazia il pubblico plaudente e si avvia verso le quinte tra gli applausi. Tutti sperano che Jarrett rientri e regali qualche bis. Due giorni prima a Bari ne aveva effettuati ben quattro.

Il pianista centellina i brani e regala On A Clear Day, un profondissimo inchino e poi esce di scena e rientra per G-Blues. Un profondissimo inchino, un’altra uscita, un’altra razione di applausi e l’ultimo bis: I Thought About You. A nulla valgono le ovazioni del pubblico tutto in piedi. Il concerto è davvero finito. In definitiva Jarrett ha tenuto un buona esibizione, di livello alto e di durata tutto sommato accettabile. La sensazione che però ci resta dentro mentre ci stiamo allontanando dall’Auditorium è analoga a quella che avvertiamo ogni volta che andiamo a mangiare il sushi. Gustando ai piatti ne lodiamo la qualità e ne ammiriamo la fattura, ma quando usciamo dal ristorante, l’istinto è quello di andare alla ricerca della più vicina pizzeria per dare un senso compiuto alla nostra serata gastronomica.

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