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I NOSTRI CD

Luigi Bozzolan – “Hem Ljus” – Zone di Musica ZDM 1206

Luigi Bozzolan – “Hem Ljus”

Luigi Bozzolan – “Hem Ljus”

“Hem Ljus” è un disco che rispecchia la molteplicità di aspetti espressivi che un musicista può avere, senza essere confusionario o compulsivo nel dimostrare quanto ampio sia il proprio background o il proprio interesse verso una o l' altra suggestione musicale. Bozzolan s struttura il suo cd dividendolo in tre parti: la prima in Trio, la seconda in piano solo, la terza in ensemble. La terza parte dichiaratamente è scritta mentre le prime due sono composte estemporaneamente, tutto il lavoro è stato registrato a Goteborg ed è esplicitamente ispirato a Esbjorn Svensson con l' E.S.T. e a Jan Johansson.
Grande varietà di spunti ma anche un fil rouge che non si spezza mai e che si può identificare con una continua e febbrile ricerca di suoni e timbri che disegnino atmosfere emotive molto forti, suggestive. Ci sono brani quasi descrittivi , come l' ubriachezza dell'alce di “Drunk Moose”, in cui il suono affresca la progressiva perdita di coscienza data dall' ubriachezza: il pianoforte gira vorticosamente con un ostinato, il sax di Eugenio Colombo urla note lunghe per poi affievolirsi stremato a simboleggiare il sonno alcolico (e chi ascolta non vede da fuori l' ubriachezza di un altro, ma con quei suoni vive la propria). Oppure in “Walkin' in the fog” gli accordi diminuiti, la batteria di Henrik Wartel che soffusamente rievoca passi incerti, i pochi riferimenti tonali, le note disorientate del sax, ridisegnano tutta la sospensione e la vaghezza del camminare nella nebbia. Ancora, nella parte dedicata al piano solo ci sono brani in cui Bozzolan svela un pianismo molto fisico ma dall' espressività introspettiva, in cui piccole ed aggraziate dissonanze rendono interessante il procedere del brano (“Promenade”)… ma anche un amore per gli accordi pieni che spesso procedono parallelamente al tema, e che nei brani più lenti svelano un forte legame tra melodia ed armonia. “Rainy Day”, di contro, non è descrizione naturalistica ma piuttosto il dipanarsi di uno stato d' animo, che fluttua tra malinconia e serena contemplazione di una situazione interiore, prima che esteriore.
Una continua ricerca espressiva che è evidente anche nella musica scritta della suite “Pangea”, divisa in quattro parti, in cui ogni episodio è aperto ed identificato in maniera diversa: suoni aggregati in un apparente caos angoscioso quasi, con il quale contrasta il solo di contrabbasso, terso, che poco dopo comincia a dialogare con il sax baritono, per poi sfociare in un progressivo aumentare di suoni, improvvisati ma irresistibilmente e magneticamente attratti l' un l' altro, nella prima parte. Archi struggenti aprono il secondo episodio, seguiti da suoni di spessore diversi, sottilissimi o densi ed imponenti per l'andamento quasi sempre sincronico e che scuote emotivamente più che raccontare. Sono batteria e pianoforte a dare il via alla terza parte, più ritmica, strutturata, dinamica, energica, fino ad un improvviso rarefarsi prima dell' interruzione finale, mentre nella quarta parte è un sussurro di voce quasi spaventevole, inquietante e freddo che dà il via all' episodio conclusivo.
Musica non facile ma tutt' altro che presuntuosa e cerebrale: Bozzolan mostra dimostra di aver ascoltato, amato, metabolizzato e ri – creato ex novo molte importanti suggestioni non solo Jazzistiche. E con lui non poteva non esserci al sax Eugenio Colombo, con il quale esiste una collaborazione da anni e della quale si sente tutta la preziosa comunicativa. (DF)

Nico Catacchio – “The second apple” – fo(u)r CO408

In tempi come questi di informatica spinta, il titolo dell'album potrebbe indurre in errore perché in effetti il bassista si riferisce ad una ipotetica “seconda mela” dopo la prima incautamente colta da Adamo, quindi una “seconda mela” come una seconda opportunità, come augurio e sprone per “tutti coloro – spiega Catacchio – che credono nella possibilità di andare al di là delle convenzioni e costrizioni culturali”. Se questo è l'assunto da cui è partito il musicista per incidere l'album, non ci sembra che le premesse siano state rispettate appieno nel senso che il CD, per altro di buona valenza, non si pone certo al di fuori di certi territori che poi sono quelli propri del buon jazz. Vale a dire accurate scelte tematiche, eleganti e complesse armonizzazioni, esecuzioni tecnicamente più che buone. Non a caso Catacchio, da contrabbassista, può vantare esplicitamente l'ammirazione di Giovanni Tommaso, una sorta di guru del contrabbasso jazz in Italia. Ammirazione derivante dalle innumerevoli prove che Nico ha fornito nei vari campi in cui ha esercitato la sua arte: partendo dal rock per finire alla musica etnica e a quella , senza ovviamente trascurare il jazz, Catacchio ha sempre evidenziato una formidabile ricchezza di idee e dal punto di vista prettamente strumentale un suono quanto mai nitido, pulito e la capacità di suonare lunghe linee melodiche. Di eccellente livello anche gli altri due compagni d'avventura, vale a dire Nico Morelli al pianoforte e Michele Salgarello alla batteria. In particolare Morelli ha confermato, se pur ce ne fosse stato bisogno, la sua validità di pianista perfettamente a suo agio sia nel disegnare suadenti linee melodiche sia nel contrappuntare i magnifici assolo del leader. Il tutto mentre Salgarello si pone come inesauribile fonte di nuovi spunti ritmici che vengono colti al volo dagli altri due. Insomma i tre hanno affrontato un repertorio di sette brani scritti e arrangiati dal leader con grande slancio, perfetta coesione e grande equilibrio tra parti scritte e improvvisazione riservando sempre la massima attenzione all'originalità del sound d'insieme e alla struttura di ogni singolo brano. (GG)

Beppe Di Benedetto 5tet – “See the sky” – Trj records – 2011 – 0027

Primo cd da solista per il trombonista, compositore e arrangiatore Beppe di Benedetto, e nove brani che rispecchiano il suo background tecnico e musicale, accumulato in molti anni di esperienza come strumentista e arrangiatore. E dunque Di Benedetto non lascia nulla d'inespresso, creando un cd dalle diverse suggestioni stilistiche. Dal dinamico “See the Sky”, che dà il titolo al cd, terzinato, solare, forte di una sosta più introspettiva, al brano finale “The Bear” si attraversa un'ora abbondante di Jazz passando per brani swinganti, come “Back the Past”, nel quale temi molto melodici e intellegibili rendono gli intrecci tra le voci piacevoli all'ascolto, e in cui l'improvvisazione del pianoforte di Luca Savazzi e del trombone danno un innegabile slancio a tutto il brano. Ma non c'è solo swing: ci sono anche brani, come “Colors”, che evidenziano la capacità compositiva di Di Benedetto. Intro di pianoforte con frasi spezzate che si ricompongono prima dell' ingresso dei fiati, trasposizione del tema principale, belle improvvisazioni, interplay. E ancora due ballad: “Riga”, (brano soft ma con brio) e “Zanè” , che arriva dopo l' energico “Summerbossa” ed è una bella pausa rilassata e dolcemente intensa. Il suono del trombone diventa quasi una voce, sfumata, le dinamiche più sottilmente connotate. In alcuni momenti quasi ironicamente ammiccante, dialoga con il suo quartetto mostrando un bel feeling.
“It's for you”, brano centrale, è così articolato da dare ad ognuno dei musicisti i modi per svelarsi espressivamente. Un bell' incipit di contrabbasso (Lugli tiene le fila instancabilmente per tutto il brano, creando i raccordi tra un episodio e l' altro) e pianoforte, un tema dolce che progressivamente vede arrivare i fiati e all' ultimo la batteria, andando verso gli episodi successivi: il pianoforte di Savazzi, poi il sax di Emiliano Vernizzi, poi il trombone di Di Benedetto si avvicendano improvvisando e rendendo questo brano un variegato mosaico di musicalità diverse eppure affini.
La batteria di Alessandro Lugli sottolinea più che correttamente le digressioni di ognuno e sa quando intensificare l' atmosfera. Apprezzabile anche il lavoro di Stefano Carrara al contrabbasso. I brani sono tutti originali, ben sette firmati da Di Benedetto e due (“Riga” e “The Bear”) firmati Savazzi, fatto apprezzabile, perché la freschezza di nuove idee è sempre benvenuta. (DF)

Di Sabatino, Ruggieri – “Inni d'Italia” – VAP 106

Di Sabatino, Ruggieri – “Inni d'Italia”

Di Sabatino, Ruggieri – “Inni d'Italia”

Prendete sedici tra le più belle canzoni italiane di tutti i tempi; aggiungetevi il pezzo tradizionale abruzzese più conosciuto, un original e niente di meno che l'inno di Mameli e avrete il repertorio di uno dei dischi più originali e affascinanti pubblicati negli ultimi tempi. Originale e affascinante soprattutto per chi ama la melodia, ché l'album, grazie agli arrangiamenti e alle capacità esecutive dei due protagonisti, Paolo Di Sabatino al pianoforte e Renzo Ruggieri alla fisarmonica e alla melodica, lumeggia in modo particolare la bellezza dei temi scelti. E veniamo a questi due “audaci” musicisti che si sono assunti l'oneroso computo di riportare alla ribalta, in chiave jazzistica, anche l'inno nazionale. Ovviamente l'inserimento di quest'ultima composizione serve un po' a quadrare il cerchio: i due musicisti volevano rendere un omaggio a quelle canzoni talmente rappresentative da poter essere considerate dei veri e propri “inni d'Italia” e quindi non poteva mancare l'inno vero e proprio, trattato con estremo rispetto e delicatezza. Rispetto e delicatezza che si riscontra in tutti i brani si nota chiaramente che i due artisti amano questa musica, l'hanno perfettamente interiorizzata, fa parte del loro bagaglio culturale ed ora la ripropongono secondo la loro “moderna” sensibilità senza alcunché perdere dell'originaria valenza. Si ascolti, al riguardo, lo straordinario Caruso” di Lucio Dalla, un pezzo in cui è facile cadere nella retorica, presentato viceversa con asciutto e pur toccante lirismo. Splendida anche la rivisitazione di “Nel blu dipinto di blu” che affascina sempre a distanza oramai di tanti anni mentre ascoltare in chiave jazzistica
“Metti una sera a cena” di Morricone è stata una piacevole sorpresa. Come accennato il CD contiene anche “Vola, vola, vola” di Dommarco e Albanese, considerato un vero e proprio inno delle popolazioni abruzzese: ebbene il brano è interpretato con grande partecipazione ed estrema eleganza dalla Antonella Ruggiero che spesso collabora co i due jazzisti mentre Roberto Colombo figura al vocoder. (GG)

Ferdinando Faraò & Artchipel Orchestra feat. Phil Miller – “Never odd or even” – Music Center BA 323

Ferdinando Faraò & Artchipel Orchestra feat. Phil Miller – “Never odd or even”

Ferdinando Faraò & Artchipel Orchestra feat. Phil Miller – “Never odd or even”

Chi segue questa rubrica sa benissimo come il vostro cronista non ami i dischi “omaggio a…” in quanto spesso dietro questa formula c'è solo una inutile captatio benevolentiae. Pericolo che certamente non corre questo splendido album che vede in gran spolvero l' Artchipel Orchestra diretta con rara perizia da Ferdinando Faraò e rinforzata, nell'occasione dal chitarrista Phil Miller presente in tre brani. Il disco è un esplicito quanto brillante omaggio ad una precisa corrente musicale, vale a dire quel jazz-rock britannico che negli anni settanta fece scuola. Di qui la presenza di brani firmati da Mike e Kate Westbrook, Alan Gowen, Fred Frith e Dave Stewart con la chiusura affidata ad una coerente composizione di Ferdinando Faraò. Particolarmente interessanti i pezzi di Gowen: Alan Gowen e Dave Stewart, negli anni settanta costituirono una straordinaria band, la “National Health” che purtroppo ebbe vita breve. Nel 1981 Gowen, a soli trentatré anni, morì di leucemia ma prima ebbe modo di scrivere alcuni brani arrangiati sia per piccoli gruppi sia per grosso organico. Questi arrangiamenti per fortuna sono finiti nelle mani di Faraò che li ha rielaborati e presentati in concerto e su disco con esiti assolutamente straordinari. L'orchestra di venticinque elementi si muove con estrema naturalezza all'interno di partiture tutt'altro che facili evidenziando una grande compattezza, una bella possibilità di “giocare” sia sulla timbrica sia sulla dinamica, una vasta possibilità di contare su assoli sempre pertinenti e di rilevante caratura tecnica: Felice Clemente al clarinetto e sax soprano, Germano Zenga al sax tenore, Giampiero Spina alla chitarra, Paolo Botti alla viola, Carlo Nicita al piccolo e al flauto nonché, ovviamente, Phil Miller alla chitarra acustica ed elettrica sono tutti solisti che riescono ad equilibrare perfettamente il rapporto tra improvvisazione e pagina scritta. Un altro dei destinatari dell'album è Mike Westbrook di cui Faraò reinterpreta “Riding down to platterback”, “Strafe me with friendly fire”, “Love letter from Stiltsville” e soprattutto “Original Peter” la cui originalità e modernità contrastano nettamente con il fatto di essere stato scritto nell'ormai lontano 1970. L'album si chiude con uno strepitoso omaggio di Faraò al batterista di “National Health” e “Hatfield & The North”, Pip Pyle, scomparso all'età di soli 56 anni, un brano in cui Faraò evidenzia ancora una volta il senso della costruzione e il gusto per la timbrica e il colore. (GG)

Dominic Miller – 5th House – Q.Rious Music

Dominic Miller deve avere una particolare predilezione per i numeri, così dopo “first touch” del 1995, “Second Nature” del '99, ”Third World” del 2004, “Fourth Wall” del 2006 ecco che il chitarrista intitola il suo quinto lavoro solista “5th House” con evidente richiamo alla quinta casa astrologica ovvero la casa del piacere. Ed in effetti l'album è costruito per “piacere” nel senso che si tratta per lo più di musica di facile ascolto, basata su belle e suadenti linee melodiche, nobilitata dall'essere eseguita in modo magistrale al meglio da un gruppo di musicisti straordinari. In effetti, accanto al chitarrista, figurano tutti nomi di primissimo piano come Vinnie Colaiuta alla batteria sempre preciso e coinvolgente, Rhani Krija alle percussioni, Jimi Johnson, Nicolas Fiszman e Pino Palladino basso, Mike Lindup e Yaron Herman alle tastiere, particolarmente efficaci nel congegnare l'ambiente sonoro voluto dal leader. Il risultato è una serie di esecuzioni senza sbavatura alcuna, con il chitarrista sempre in primissimo piano a fraseggiare con grande perizia. L'album si apre con due brani “Angel” e “Embrance,” due momenti dove a farla da padrone è quel tipo di atmosfera soft, distesa, “piacevole” cui prima si faceva riferimento. Ma nell'album non mancano momenti di natura diversa. Così ad esempio “If Only” richiama, con il suo andamento rock-funk, atmosfere care ai “Police” come a voler rimarcare ancora una volta il rapporto che lega Dominic Miller a Sting con il quale collabora da oltre quindici anni, mentre in “Waves” si avverte il sapore di certa bossa nova, e in altri pezzi come “Tokyo” prevale una sorta di smooth jazz oggi particolarmente di moda. “Dead Herd” è costruito su un coinvolgente crescendo e determina una certa tensione, mantenuta dal successivo “Spirit Level” che si scioglie nel brano conclusivo “Gate 23” anch'esso basato su atmosfere piuttosto rilassate e rilassanti. A nostro avviso, comunque, i brani più riusciti sembrano essere “Yes” e “Spirit Level” in cui il sound di Miller si fa più duro e il fraseggio sembra librarsi libero verso lidi più propriamente jazzistici. (GG)

Enrico Rava – “Dance Floor” – ECM 2293

E' incredibile come ancora oggi Enrico Rava riesca a stupirci… e probabilmente a stupirsi. Quest'ultima fatica discografica è assolutamente entusiasmante in quanto si tratta di una sfida, tutt'altro che facile, superata a pieni voti. La genesi dell'album ce la racconta brevemente lo stesso trombettista nelle note che accompagnano il CD: Rava conosceva solo superficialmente la musica di Michael Jackson fino a quando, pochi giorni dopo la sua scomparsa, tornato a casa dopo un concerto trovò la moglie Lidia intenta a guardare il DVD del concerto di Bucarest; fu una sorta di illuminazione. Da quel momento, confessa Rava, “non ho più potuto fare a meno di quella musica… finché ho sentito la necessità di entrare ancora di più dentro il mondo di Michael; c'era un solo modo per fare tutto ciò: suonare la sua musica”. Detto fatto; innanzitutto la scelta del repertorio: Rava lascia da parte gli album forse più jazzistici di Jackson, quelli per intenderci prodotti da Quincy Jones come “Thriller e “Bad”, e prende in considerazione soprattutto l'ultima produzione dell'artista; per gli arrangiamenti la scelta cade su Mauro Ottolini; per l'esecuzione ecco il Parco della Musica Jazz Lab rinforzato da alcuni elementi. Dopo un periodo di prove, Rava presenta il nuovo progetto all'Auditorium Parco della Musica di Roma dove in effetti l'album viene registrato live il 20 maggio e il 30 novembre del 2011. L'accoglienza del pubblico è calorosa e il perché lo si capisce ascoltando l'album. Rava e Ottolini riescono a riprodurre al meglio le composizioni di Jackson valorizzandone appieno le valenze musicali e dando così nuova linfa ad un compositore che ad onor del vero già in passato aveva attratto l'attenzione di jazzisti famosi come Lester Bowie. Tornando a “On the Dance Floor”, spettacolari soprattutto le esecuzioni di “Smooth Criminal” e “Little Susie” un vero e proprio gioiellino troppo spesso sottovalutato. Insomma un disco fresco, intrigante, interessante e piacevole che lumeggia ancora una volta le capacità di Rava ed evidenzia il grado di compattezza raggiunto dal Parco della Musica Jazz Lab in cui, in questa occasione, spiccano le individualità di Claudio Corvini alla tromba, Dario Deidda al basso (ascoltatelo con attenzione in “Smooth Criminal”), Zeno De Rosi alla batteria e Ernesto Lopez Maturella alle percussioni. (GG)

Admir Shkurtaj Trio _ “Gestures and zoom” – mSlam CD 535

Admir Shkurtaj Trio _ “Gestures and zoom”

Admir Shkurtaj Trio _ “Gestures and zoom”

Admir Shkurtaj (fisarmonica e pianoforte preparato), Giorgio Distante (tromba), Redi Hasa (violoncello) sono i protagonisti di questo interessante album registrato di recente per la Slam. Shkurtaj è il tipico musicista di confine nel senso che la sua musica ha sempre praticato terreni di complessa identificazione, compresi tra la musica moderna, la musica classica e quella sperimentale. Diplomatosi nel 1988 in fisarmonica presso il liceo artistico musicale “Jordan Misja” di Tirana, nel biennio successivo studia composizione presso lo stesso Conservatorio
con Thoma Gaqi. A questo punto decide di trasferirsi in Italia, in Puglia per l'esattezza, e così dal 1991 prosegue gli studi di composizione presso il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce dove si diploma nel 1999 con Massimo Gianfreda. Il percorso formativo si completa nel 2009 con il diploma in musica elettronica presso il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce con Franco De Grassi. Questa breve indicazione dei titoli accademici di Admir ci fa capire che siamo di fronte ad un musicista dalle grandi possibilità e soprattutto con le carte in regola per dire la sua nel pur complesso mondo del jazz di oggi. Per questa fatica discografica ha scelto due partners ben preparati: il connazionale Redi Hasa al violoncello e il trombettista Giorgio Distante a costituire un trio dall'insolito organico e quindi dalle sonorità affatto originali. La musica appare ben strutturata, nonostante la mancanza di temi precisi e quindi il grande spazio lasciato all'improvvisazione: i tre dialogano sulla base di impulsi ritmici, gruppi di note, momenti in cui ritrovarsi e da cui ripartire stabiliti in precedenza. Le possibilità degli strumenti vengono sfruttate sino in fondo senza, tuttavia, alterane l'originale sound cosicché l'incontro tra le sonorità balcaniche (per altro più accennate che esplicitate) e le atmosfere tipiche di certa musica moderna vanno a costituire un unicum tanto affascinante quanto straniante. In tale contesto davvero formidabili le capacità strumentali dei tre con una menzione particolare per il leader che conferma, se pur ce ne fosse bisogno, come la fisarmonica faccia oramai parte, a pieno diritto del linguaggio jazzistico. (GG)

Marco Tardito, “Oiseaux Ensemble” (Silta records SR1101)

Marco Tardito guida un gruppo (Oiseaux Ensemble) che esiste dal 1994 è che si è via via interessato alla musica classica, a quella etnica dell'est europeo e, di recente, a quella indiana. Utilizzando clarinetto, violino, chitarra (con accordature aperte che echeggiano il sitar), contrabbasso e percussioni (soprattutto tablas) il gruppo ha assimilato le procedure strutturali dell'universo sonoro indiano (tala e raga) ma le indaga attraverso brani originali. Ad eccezione di una versione di “Caravan” in cui il NordAfrica si fa Oriente, i pezzi sono firmati tutti da Tardito che si conferma buon compositore oltreché eccellente solista (“Budda bop”). Il jazz costituisce il retroterra di tutti i musicisti dell'Oiseaux Ensemble e ne ispira la pratica improvvisativa (si ascoltino le citazioni parkeriane debitamente arrangiate); ciò vale per il violinista Massimiliano Gilli, per il chitarrista Pietro Ballestrero, per il contrabbassista Stefano Risso ed il percussionista Donato Stolfi (in tre brani si aggiungono altri archi fino a costituire un vero e proprio “string quartet”). Certo il gruppo e la sua musica, brillante e profonda, richiedono prove e dedizione notevoli che poco hanno a che vedere con la comune pratica jazzistica, al pari dell'assimilazione di universi sonori che va al di là della semplice suggestione. (LO)

UNA DIMENSIONE ELETTRICA

Mudras, “Skywalkin'” (Blue Serge BLS-038)
Roberto Cecchetto, “Soft Wind” (MyFavorite Records 8034135080189)
Marco Bardoscia, “The Dreamer” (MyFavorite Records 8034135080172)

Gli album hanno come leader rispettivamente il contrabbassista Stefano Maltana e il trombettista Giovanni Sanna Passino, il chitarrista Cecchetto ed il bassista Bardoscia. Gli ultimi due hanno una comune casa discografica, la MyFavorite Records fondata nel 2010 da Patrizio Romano e Fabio Stucchi, mentre il gruppo Mudras è pubblicato dalla Blue Serge di Sergio Cossu, attiva dal 2003.
Ad accomunarli è la presenza di una dimensione elettrica: ora più legata al singolo strumento (nel caso di Roberto Cecchetto), ora più ispirata da una metabolizzata lezione (post)davisiana (accade per Mudras che, però, ha radici sonore plurime), ora in un'accezione anche rock (nel contrabbassismo di Bardoscia). Album e formazioni, in ogni caso, non rimuovono la stagione del “jazz elettrico” (distante decenni) ed il loro linguaggio viaggia in una dimensione elettro-acustica sia timbrica che compositiva.
“Skywalkin” nasce dalla lunga collaborazione tra i leader-compositori Maltana e Sanna Passino con il chitarrista Bachisio Ulgheri ed il batterista Massimo Russino (ospiti in un paio di titoli Gavino Murgia al soprano e Mariano Tedde al Fender Rhodes). Si tratta di un quartetto forgiato da lunghe esperienze dal vivo che in studio trasferisce un'esuberanza sonora scaturente dal “piacere di suonare insieme” su un repertorio originale (“Babek”). A ciò si associa il gusto per la ricerca sonora che si coniuga a quello per la melodia (“Neck Pain”, “Mar Peg Mood”) con la tromba di Sanna Passino in bella evidenza. Non mancano suggestioni etniche (“Tema di Tisli”) ed il chiaro riferimento al Miles Davis inquieto degli anni elettrici (si ascolti il collettivo “Peaceful Miles”). Non si possono che condividere le parole di Paolo Fresu che ha scritto le note di copertina: “Lavoro discografico che entusiasma non solo per la sua freschezza ma soprattutto per la sua maturità”.
Il “vento soffice” che spira dalla chitarra di Roberto Cecchetto, dal contrabbasso di Giovanni Maier, dal piano di Giovanni Guidi e dalle percussioni di Michele Rabbia (anche batteria ed elettronica) non è una brezza tiepida. Il pianista è in rapida crescita artistica mentre gli altri jazzisti hanno forti personalità che si mettono al servizio della poetica di Cecchetto, spesso improntata ad un'asciutta melanconia (“Outdoors”, “Soft Winds”). Brani a tempo lento in cui le voci strumentali si muovono per empatia in rarefatti intrecci, dove ogni suono ha un valore quasi “ermetico”, caricato di forza e significato. La melodia, in alcuni casi, si apre e distende nel fondersi di chitarra e piano, come in “Freeze the Moment”. Quattro tracce su undici sono frutto del dialogo diretto tra i musicisti; tra esse la nebulosa “Danse de la nuit” in cui Cecchetto suona la chitarra acustica e spicca il contrabbasso di Maier (suonato anche con l'arco) in una cameristica, rischiosa musica contemporanea.
Marco Bardoscia (nato nel 1982) è contrabbassista che si è fatto strada al fianco di Luca Aquino e Raffaele Casarano, una nuova e talentuosa generazione di jazzisti italiani che vengono dal sud. La complessità della sua storia è subito evidente nella versione di “Stella by Starlight” che apre l'album: vi sono rock, minimalismo, solismo hendrixiano e visioni di Pastorious, suoni acustici ed effetti. Il jazz, sì, ma anche tante altre musiche che sono nel Dna di questi musicisti. Bardoscia è compositore degli altri otto brani: dalla toccante melodia di “Ninna nanna per la piccola Sara” al senso corale-bandistico di “Hallelujah per il mondo”, dal cinetico “Jet” (in cui si apprezza Casarano all'alto e al soprano) all'iterativo “Il sorgere del sole” (con “Preludio” per voce e tromba). “The Dreamer” è, in definitiva, un interessante “spaccato sonoro” di una generazione jazzistica e della sua poetica. Vi si ascoltano le ance di Raffaele Casarano; gli ottoni di Giorgio Distante, Aquino e Gianluca Ria; William Greco al piano; la chitarra di Alberto Parmegiani; la batteria di Fabio Accardi. (LO)

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  1. I nostri CD
  2. Luigi Bozzolan – “Hem Ljus”
  3. Nico Catacchio – “The second apple”
  4. Beppe Di Benedetto 5tet – “See the sky”
  5. Di Sabatino, Ruggieri – “Inni d’Italia”
  6. Ferdinando Faraò & Artchipel Orchestra feat. Phil Miller – “Never odd or even”
  7. Dominic Miller - 5th House
  8. Enrico Rava – “Dance Floor” – ECM 2293
  9. Admir Shkurtaj Trio _ “Gestures and zoom”
  10. Marco Tardito, “Oiseaux Ensemble” (Silta records SR1101)
  11. Una dimensione elettrica
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