Il Jazz svizzero? Creativo, evocativo ed originale con i Rusconi Trio

Trio Rusconi (foto Diana Scheunemann)

Trio Rusconi (foto Diana Scheunemann)

Ascoltare per la prima volta i Rusconi, come è capitato a chi vi scrive, è un’ esperienza emotivamente molto, molto interessante. Questi tre ragazzi di Zurigo (lo dicono essi stessi anche durante l’ intervista che hanno concesso alla nostra testata poco prima del concerto al Teatro Studio nell’ambito del Roma Jazz Festival) si propongono fermamente di creare attraverso il suono, anzi la ricerca estemporanea, improvvisata, del suono, una forte comunicazione con il pubblico. Attenzione però: alla base di questa ricerca del suono (che dunque vede come fondamentale l’ improvvisazione) c’è uno studio serissimo che precede la performance, e che permette poi ai Rusconi di addentrarsi con grande originalità nelle mille possibili strade per arrivare alla grande empatia emotiva che si crea tra il palco e la platea.

Una comunicazione che è avvenuta fin dai primi attimi di un concerto veramente bello, coinvolgente, inusuale e anche divertente. Un concerto fatto proprio di una serie di istanti continui che non tendono ad un cammino “orizzontale”, ma piuttosto un esplodere “sul posto” di mille suggestioni provocate dai musicisti.

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Il suono innovativo del Trio Rusconi

Trio Rusconi (foto Diana Scheunemann)

Trio Rusconi (foto Diana Scheunemann)

Il Trio Rusconi è un trio di giovani musicisti di Zurigo che sta raccogliendo sempre maggiori consensi nell’ ambito del panorama jazzistico europeo. Al pianoforte c’è Stefan Rusconi, al contrabbasso Fabian Gisler, alla batteria Claudio Strueby . La formazione dunque è classica, ma il loro sound di certo non è usuale. Non solo per la presenza di effetti elettronici (che non sarebbero certo di per se una novità), ma per il singolare mix di mondi sonori e anche per la ricchezza di idee nuove dal punto di vista musicale. Al centro della loro poetica il suono: una costante ed estemporanea ricerca emozionale attraverso il suono rende le loro performances molto particolari e molto suggestive.
Daniela Floris li ha intervistati poco prima del loro concerto all’ Auditorium Parco della Musica, nell’ ambito del Roma Jazz Festival 2012 (Visual Jazz), nel quale hanno anche presentato molti brani tratti dal loro ultimo cd “Rusconi Revolution”, edito da Qilin Records.

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Il lato romantico del Jazz alla quarta guida all’ascolto di Gerlando Gatto

Stefano Sabatini

Stefano Sabatini

La Casa del Jazz ancora gremita mercoledì per la quarta guida all’ ascolto di Gerlando Gatto, che ha esplorato a fondo, insieme al pianista romano Stefano Sabatini, due standard particolarmente amati e suonati : “You don’t know what love is” e “Lover Man”.

Un percorso negli anni e negli stili del jazz particolarmente suggestivo: entrambe le ballad connotate da un sound particolarmente intimistico e malinconico, pur differendo molto tra loro, hanno permesso di saggiare in quanti modi il jazz possa essere romantico, intenso, ma in maniera espressiva, mai semplice.

Brani (soprattutto “You don’t know”) per nulla facili dal punto di vista armonico, godono di una vita intensa ancora oggi.

Il percorso è di quelli da brivido (in senso positivo). Si comincia dal sax geniale di Lee Konitz , inconfondibile, che nella registrazione del 1978 gioca irresistibilmente con il contrabbasso di Red Mitchell, sottolineando con il timbro l’ atmosfera dolcemente malinconica del brano. Poi Billie Holiday, che con la sua voce trasforma la melodia di Lover Man in moto dell’ anima, in “doloroso grido sommesso” , se così si può dire per rendere al meglio l’ idea. Sabatini dal vivo invece sottolinea in maniera particolarmente intimista il lato Blues di questo brano. E infine si ascolta la drammatica registrazione di “Lover Man” di Charlie Parker, del 1946: la si comprende ancora di più proprio per le informazioni date da Gerlando Gatto sullo stato fisico precario del grande sassofonista in quel particolare giorno, cosicchè è ancora più interessante percepirne l’ entrata in ritardo, i fraseggi stentati eppure così fortemente densi di pathos.

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I nostri CD

Acquaphonica – “Private Enemy” – Buma Stemra

Acquaphonica – “Private Enemy”E’ una sorta di multinazionale del jazz quella che si esibisce sotto l’insegna di “Acquaphonica”: vi fanno parte la pianista e leader Federica Colangelo, il sassofonista e clarinettista americano Jon Bittman, il chitarrista olandese Matthijs Tuijn, il batterista lettone Kaspars Kurdeko, e il bassista bulgaro Mihail Ivanov. Motore del gruppo è senza dubbio Federica Colangelo: forte di una solida preparazione di base (ha studiato sia pianoforte classico sia jazz) dal 2004 risiede all’estero affinando gli studi di Composizione Contemporanea ed è nella duplice veste di compositrice ed esecutrice che si presenta al pubblico del jazz con questo suo album d’esordio. Nove i brani eseguiti, tutti di sua composizione, nove brani che offrono uno spettro abbastanza ampio di come la Colangelo intenda e senta la musica. I suoi pezzi sono caratterizzati da una bella ricerca melodica, da un forte senso descrittivo e dalla capacità di trasmettere emozioni, il tutto impreziosito da un eccellente senso della costruzione e da un mirabile equilibrio tra parti scritte ed improvvisate. Dal punto di vista esecutivo, nessun inutile virtuosismo ma uno stile ed un linguaggio assolutamente coerenti con le idee che si vogliono esprimere. Si parlava di senso della costruzione; si ascolti il brano che dà il titolo all’intero album: dopo una bella introduzione a tre (pianoforte, batteria, contrabbasso), un serrato scambio tra Colangelo, Bittman e Kurdeko determina una crescente tensione che viene sciolta dalla stessa pianista e chiusa da Bittman; ancora, “Mare aperto” si apre sulle note del basso su cui si innesta un sognante bellissimo assolo di Bittman dopo di che entra la batteria seguita in ultimo dal pianoforte; a seguire il quintetto si esprime nella sua interezza. Interessante per la dolce linea melodica “Violet, Blue, Light Blue, Orange”. In ultimo da sottolineare l’eccellente lavoro svolto dai compagni d’avventura, tutti artisti più volte premiati in concorsi internazionali: di Bittman si è già detto, la sezione ritmica è precisa e pulsante mentre per quanto concerne il chitarrista lo si ascolti soprattutto in “Away” dialogare splendidamente con Kurdeko e Ivanov.

I nostri libri

I nostri libri

“Claudio Fasoli. Note Interiori” – Fondazione Siena Jazz – pgg.207
Claudio Fasoli - Note InterioriClaudio Fasoli è uno dei personaggi simbolo del jazz italiano. Musicista dotato di una solida preparazione di base ma soprattutto di una fortissima onestà intellettuale, ha saputo affermarsi non solo come grande strumentista ma anche come originale compositore. Dopo la felice parentesi del “Perigeo” che l’ha lanciato nel mondo del jazz, facendolo conoscere ed apprezzare anche ad un pubblico giovane, Fasoli ha proseguito lungo un suo percorso fatto di impegno, di studio, di analisi senza lasciare alcunché al caso. Di qui le molte realizzazioni discografiche tutte di eccellente qualità, di qui le molte collaborazioni con musicisti di livello internazionale, di qui un’attività didattica densa di soddisfazioni.
Bene ha fatto quindi la fondazione Siena Jazz a dedicargli questo volume realizzato con la formula dell’intervista condotta da Francesco Martinelli. Martinelli, non lo scopriamo certo adesso, è critico preparato e competente per cui ha saputo condurre il colloquio nel miglior modo possibile sviscerando la carriera di Fasoli in ogni più recondito ambito. Così le domande sono sempre pertinenti, porte nel modo e al momento giusti, tendenti sempre a far parlare l’interlocutore piuttosto che mettere in luce la propria sapienza (vizio in cui purtroppo cadono molti intervistatori e non solo nel jazz).
Dal canto suo Fasoli risponde a tono, con grande competenza e consapevolezza, non disdegnando di mettere in rilievo le varie fasi della sua vita artistica, le idee che le hanno sorrette, le motivazioni che l’hanno portato a determinate scelte, il tutto condito da una analisi puntuale di molte sue realizzazioni discografiche.
Ma non sono solo Martinelli e Fasoli a parlare: come in una sorta di montaggio cinematografico, il racconto si arricchisce delle testimonianze di molti “colleghi” chiamati dal giornalista a dire la loro su Fasoli. Così la personalità del sassofonista viene meglio lumeggiata e il ritratto che se ne ricava, come accennato in precedenza, è quello di un artista che nel corso degli anni ha saputo mantenere una propria intrinseca coerenza pur nella continua ricerca di nuove modalità espressive. Modalità che consentano al musicista di raggiungere una propria specifica individualità e riconoscibilità.
Insomma una serie di concetti tutt’altro che banali su cui ogni appassionato di jazz farebbe bene a soffermarsi con attenzione.
Un’ultima notazione pratica: il libro non è in vendita ma gli interessati possono richiederlo alla Fondazione Siena Jazz che lo invierà, fino ad esaurimento, al solo costo delle spese di spedizione.

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Convince il trio di Nicola Angelucci

Nicola Angelucci Alexander Platz

Nicola Angelucci è batterista attivissimo e giustamente molto richiesto in molteplici compagini jazzistiche, ed apprezzato sideman non solo in Italia. Ma all’ Alexanderplatz l’ altra sera è salito sul palco in veste di leader presentando brani che verranno pubblicati nel suo nuovo album in via di pubblicazione, e brani provenienti dal suo primo cd “The first one”, edito da Via Veneto Jazz. Il clima è quello giusto per un club: un Jazz elegante e allo stesso tempo però non limitatamente “soft” ed edulcorato, non di maniera, insomma. Il sound, cioè, è energico, molto vario (naturalmente l’ aspetto ritmico è in primissimo piano) ma di certo questo trio si avvale in maniera molto efficace anche di momenti in cui i volumi si assottigliano e permettono di apprezzare la musicalità intrinseca dei brani composti da questo batterista di certo provvido di idee. Con lui un pianista che si sta rapidamente affermando nonostante la giovanissima età, Enrico Zanisi (appena uscito il suo cd per CamJazz “Life Variations), e che sembra avere il tocco ed il suono ideale per ciò che Angelucci sembra essersi prefigurato. Ogni brano ha un suo sviluppo graduale verso un apice e si ridimensiona progredendo verso il finale, come è tradizione, ma questo apice e questo percorso vengono raggiunti nei modi più vari, il che non fa che aumentare l’ interesse verso l’ esecuzione.

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