Jazz & cuore il 16 dicembre a Roma

Enrico Pieranunzi (foto Daniela Crevena)

Enrico Pieranunzi (foto Daniela Crevena)

Il 16 dicembre siete tutti invitati alla Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Avrà luogo lì alle 18:30 una serata straordinaria a ingresso gratuito per sostenere l’Associazione Onlus “Insieme per il cuore” che, presieduta dall’eminente cardiologo Prof. Giuliano Altamura, primario del reparto di cardiologia presso l’Ospedale “S.Pertini” di Roma, si batte per la diffusione dei defibrillatori e della cultura del defibrillatore.

Una serata molto particolare in cui “jazz & cuore” saranno, oltre che una splendida metafora artistica, realtà concreta di un’iniziativa dal grande significato filantropico.

Nell’occasione suonerà il grande pianista Enrico Pieranunzi son il suo “trio italiano”, vale a dire Luca Bulgarelli, contrabbasso e Nicola Angelucci, batteria.

Ospite d’eccezione, la bravissima cantante Simona Severini.

(altro…)

Entusiasma il trio di Greg Burk

Greg BurkSala piena alla Casa del Jazz di Roma il 21 novembre per il Greg Burk Trio, giunto nella Capitale dopo un tour italiano ricco di date e formazioni: al “Padova Jazz Festival” dal 12 al 17, con Stefano Senni ed Enzo Carpintieri, ed al “Bologna Jazz Festival” il 19-20 con Jonathan Robinson al contrabbasso e Gerald Cleaver alla batteria (la formazione che si è esibita a Roma).

Il pianista americano, da tempo residente in Italia, sta vivendo un periodo di fervida attività che lo ha visto in ottobre girare per Svizzera, Francia e Germania con la Global Unit del sassofonista finlandese Pekka Pyllkanen mentre il 7 e l’8 dicembre il suo quintetto italiano Edge presenterà all’Alexanderplatz di Roma il nuovo album “Self Determination” (dodicilune).

Il recital alla Casa del Jazz è stata l’occasione per ascoltare dal vivo il repertorio che l’empatetico trio con Robinson e Cleaver ha cristallizzato nell’album “The Path Here” (482 Music). Come ha spiegato il pianista nei brevi quanto efficaci interventi “vocali”, l’amicizia con il contrabbassista risale a vent’anni fa quando entrambi frequentavano a New York un corso universitario tenuto da Archie Shepp (“che voleva dire suonare fino allo sfinimento pezzi di Charlie Parker…”) mentre quella con il batterista iniziò a Detroit. Del resto i tre avevano già al loro attivo un album per la Soul Note del 2004, “Carpe Momentum”.

(altro…)

Il mondo del jazz lancia un S.O.S.

Maria Pia De Vito

Maria Pia De Vito

Il nostro, attualmente, è davvero un Paese strano… per usare un eufemismo. Siamo considerati in tutto il mondo il Paese dell’Arte, deteniamo oltre il 50% delle opere d’arte sparse in tutto il mondo e gli unici a non accorgersene sono i nostri politici. A questa regola non sfugge – anzi! – il cosiddetto governo dei tecnici anch’esso convinto che l’arte non è una risorsa. E quindi via con i tagli che se toccano un po’ tutte le manifestazioni artistiche, hanno ripercussioni ancora più pesanti sul mondo del jazz da sempre considerato una cenerentola in una sorta di classifica delle musiche degne d’attenzione da parte dei potenti di questo Paese. E così si chiudono gli spazi in cui soprattutto i più giovani possono esprimersi, si riducono drasticamente i fondi anche a favore di quelle manifestazioni storiche italiane, vetrine del jazz nostrano anche all’estero.

Il tutto, quindi, senza tenere minimamente conto del fatto che oggi , nel campo del Jazz, l’Italia rappresenta una vera e propria “eccellenza” con una serie di artisti che primeggiano a livello mondiale e che tengono alto nel mondo il nome della nostra patria.

Ma come, si potrebbe obiettare, in un momento in cui molti non arrivano a fine mese, molti perdono il lavoro, voi vi preoccupate della musica, del jazz? Sì, perché in  una società complessa come la nostra , tutto si tiene. Forse – anzi sicuramente – non ci si rende conto che indebolire il coté artistico di una società significa automaticamente indebolire la società tutta nella sua essenza, nell’essere, per l’appunto, un insieme di uomini e donne che vivono non solo per lavorare… magari come vorrebbe qualche ministro attuale. Ed inoltre, in un periodo come l’attuale, attraversato da innumerevoli tensioni anche a livello internazionale, da sempreil jazz èl’emblema dell’incontro e del confronto tra più culture, è il simbolo della libertà d’espressione.

(altro…)

I nostri CD

I cofanetti della CAM Jazz

Prosegue la meritoria opera della CAM Jazz che, dopo l’acquisto degli splendidi cataloghi Black Saint e Soul Note, continua a riproporci imperdibili cofanetti dedicati ai protagonisti del jazz. Per considerare nella giusta luce il valore di queste ristampe, occorre considerare che i due marchi di Bonandrini si sono conquistati un posto ben preciso nella storia della musica afro-americana quando a partire dagli ani ’70 cominciarono ad offrire la dovuta attenzione a tutta una serie di musicisti d’avanguardia che solo in seguito sarebbero diventati famosi e ben accetti sia al pubblico sia alla critica. Quindi Bonandrini ha sempre agito con competenza e lungimiranza tanto che le sue registrazioni degli anni ‘70, ‘80 e ‘90 sono ancora ad oggi testimonianze preziose.
Questa volta vi segnalo due cofanetti dedicati rispettivamente a Muhal Richard Abrams e Dave Douglas.

Muhal Richard AbramsMuhal Richard Abrams è stato uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “scuola di Chicago”, che si riuniva intorno all’AACM (“Association for the Advancement of Creative Musicians”); Abrams, assieme ad altri artisti quali George Lewis, Oliver Lake, Wadada Leo Smith, Leroy Jenkins, Anthony Braxton, Henry Threadgill, Anthony Davis, Julius Hemphill, Hamiett Bluiett, portò la lezione del “free”storico a vertici mai raggiunti in precedenza grazie ad una particolare intelligenza creativa che condusse all’elaborazione di un nuovo linguaggio. Non a caso un suo album è entrato nella ideale classifica dei migliori 100 dischi jazz di tutti i tempi. Di Abrams la CAM ci propone ben otto album: si parte con “Spihumonesty” inciso a New York nel 1979 con tra gli altri George Lewis al trombone, Roscoe Mitchell al sax alto e al flauto e Amina Myers al piano e all’organo. Segue “Mama and Daddy” dell’80 con un gruppo ancora più numeroso in cui figurano tra gli altri Baikida Carroll alla tromba e flicorno, Bob Stewart alla tuba, Leroy Jenkins al violino e Andrew Cyrille alle percussioni oltre al già citato George Lewis. “Blues Forever” è dell’81 ed è l’unico album, tra questi, registrato a Milano; seguono in rapida successione “Rejoicing with the light” (New York 1983), “View From Within” in ottetto (New York 1984), “The Hearinga Suite” (New York 1989), “Blu, blu, blu” (New York 1990), “Think All, Focus One” (New York 1994).

Dave DouglasDave Douglas è uno dei più significativi esponenti di un nuovo modo di intendere non solo il jazz ma la musica contemporanea in generale. Sempre alla ricerca di nuove forme espressive, incanalate nel solco di un approfondimento del jazz moderno, Dave attualmente collabora con una decina di formazioni molto diverse tra loro, passando così, con estrema disinvoltura ma sempre con totale coinvolgimento, dalle musiche balcaniche, ad espressioni in cui l’anima jazzistica si coniuga con la musica colta fino a rivisitazioni del free jazz operate grazie anche all’uso dell’elettronica. Di questo straordinario musicista il cofanetto della CAM ci propone sei album; nei primi tre, “Parallel Worlds” (New York 1993), “Five” (New York 1995) e “Convergence” (New York 1998) Douglas collabora quasi con gli stessi musicisti vale a dire Mark Feldman al violino, Erik Friedlander al cello , Drew Gress al basso e Michael Sarin alla batteria. Con “John Coltrane’s Ascension” (1995) il discorso cambia completamente: Douglas si rivolge espressamente ad uno dei suoi principali ispiratori, John Coltrane, e ne rivisita lo spirito di una storica incisione assieme ad un gruppo di straordinari musicisti quali  i componenti del Rova Saxophone Quartet  (Jon Raskin e Steve Adams al sax alto , Larry Ochs e Bruce Ackley al tenore), Glenn Spearman ancora al tenore, Raphe Malik alla tromba, , Chris Brown al piano, George Cremaschi e Lisle Ellis al basso e Donald Robinson alla batteria.  “Bounce” (1997) è una sorta di omaggio al jazz canonico secondo una visione del tutto moderna; il gruppo è guidato dal bassista e compositore John Lindberg con Ed Thigpen alla batteria e Larry Ochs ai sassofoni oltre naturalmente a Dave Douglas. L’ultimo album presente nel cofanetto è “Force Green” (1994) ; in questo caso le composizioni sono del bassista Mark Dresser e il gruppo comprende Theo Bleckmann voce, Denman Maroney piano e Phil Haynes batteria. (GG)

(altro…)

Chihiro Yamanaka la tecnica al servizio dell’espressività

Chihiro YamanakaPuò ancora oggi un concerto basato quasi esclusivamente su standard risultare avvincente e di estrema attualità? Sì, se ad eseguirli sono artisti come Chihiro Yamanaka che mercoledì 14 novembre ha concluso proprio alla Casa del Jazz una mini tournée effettuata nel nostro Paese toccando in rapida successione le piazze di Andria, Salerno, Lucca, Firenze, ed in chiusura per l’appunto Roma. Evidentemente la pianista giapponese ama particolarmente l’Italia dato che ci aveva offerto l’opportunità di ascoltarla già la primavera scorsa durante un tour europeo di 20 date tra Italia, Francia, Austria e Germania, un tour in trio con un omaggio al Giappone nel primo anniversario della catastrofe. E il pubblico italiano la ricambia con affetto: anche l’altra sera c’era un pubblico oltre che numeroso, caldo e competente, come si conviene quando si è dinnanzi ad una stella di primaria grandezza qualela Yamanaka. Ineffetti Chihiro può, a ben ragione, essere considerata una delle migliori jazziste oggi in esercizio, una musicista in grado di esibirsi con eguale valenza sia in solo, sia in trio, sia inserita in grande orchestra. Non a caso può già vantare tredici dischi all’attivo conla prestigiosa Verve Records, e la unanime considerazione di miglior pianista in Giappone. La sua carriera inizia con una serie di collaborazioni prestigiose con musicisti quali, tanto per citarne alcuni, Clark Terry, Gary Burton, George Russell, Curtis Fuller,  Ed Thigpen, Nancy Wilson, George Benson ed Herbie Hancock, e quindi i primi passi da leader a cavallo del nuovo secolo. Nel 2001 arriva l’album di debutto, “Living Without Friday”, con cui si guadagna la stima di  George Russell che la definisce “una musicista molto dotata e creativa” mentre il magazine giapponese Jazz Life la descrive come “una dei più grandi talenti nel jazz degli ultimi decenni”.

Da questo momento è un susseguirsi di successi che prosegue ancora oggi, documentato, tra l’altro, da una serie di splendidi album di cui l’ultimo datato febbraio 2012, “Reminescence”, perla Universal Japane Decca Records in Europa.

Per queste ultime occasioni italiane si è presentata in trio con Mauro Gargano al contrabbasso e Michey Salgarello alla batteria cui si è aggiunto, per la serata romana, l’eccellente sassofonista Max Ionata.

Il successo della Yamanaka si basa su alcuni semplici ma essenziali fattori. Innanzitutto una straordinaria tecnica di base. Chihiro comincia a studiare privatamente all’età di 4 anni per proseguire alla Royal Academy of Music in Gran Bretagna e trasferirsi successivamente negli USA, dove si diploma al prestigioso Berklee College of Music. Una tale preparazione le permette di affrontare con estrema disinvoltura qualsivoglia passaggio strumentale; il che non fa di lei una virtuosa, ché anzi la tecnica è sempre posta al servizio dell’espressività.

In secondo luogo, per l’appunto, una straordinaria sensibilità musicale che le ha consentito, nel tempo, di introitare i molteplici influssi che il mondo di oggi propone ad ogni artista e di sintetizzarli in linguaggio del tutto originale.

In terzo luogo un particolare gusto per la melodia affinato probabilmente durante i prolungati soggiorni in Brasile che le hanno fatto conoscere ed apprezzare la musica dei musicisti brasiliani, Antonio Carlos Jobim in vetta a tutti.

(altro…)

Open World Jazz & foto Festival di Ivrea

[imagebrowser id=1]

Foto Daniela Crevena

Ogni festival del Jazz in Italia si distingue dagli altri per una sua precipua caratteristica, che dipende da molti fattori.
L’ Open Jazz Festival di Ivrea è diverso da tutti gli altri per il fortissimo legame che Massimo Barbiero ha con il suo territorio non solo eporediese ma anche del canavese intorno. Questo legame, lungi dall’ essere un legame “costringente” e provincialistico è piuttosto, come spesso abbiamo sottolineato, un punto di partenza, un trampolino di lancio per valori (culturali e sociali) condivisibili in assoluto.
Il tramite per questa condivisione è naturalmente la musica. In tutte le sue multiformi potenzialità: che passi (come per la prima parte del Festival, in cui purtroppo non eravamo presenti) per l’ importante progetto di Enten Eller con l’ Orchestra Exstinzione – performance non solo musicale, forte dei testi di Franco Bergoglio e delle foto e videoproiezioni di Luca D’ Agostino – testimonianza di una realtà territoriale posteriore alla dismissione dell’ Olivetti ma che testimonia nel particolare valori di certo universali; o che passi , come in questa seconda parte del Festival, attraverso concerti che anche solo per la estrema differenza tra progetti, mostrino le enormi potenzialità della musica e del Jazz. E la diversità non è forse sinonimo di apertura, soprattutto culturale, valore insito già esplicitamente nell’ intitolare questo Festival “Open World Jazz Festival”?
Performance anche in questo caso non solo musicali (stage di danza, mostre fotografiche, aperitivi con specialità del territorio), concerti in comuni differenti; qui su “A proposito di Jazz” vi documenteremo i quattro concerti a cui abbiamo assistito.

SABATO 3 NOVEMBRE
Ivrea, ore 18.30, Sala Santa Marta – Concerto Aperitivo

Davide Merlino: vibrafono; Dario Trapani: chitarra; Simone Prando: basso elettrico
Riccardo Chiaberta: batteria

I MU quartet si autodefiniscono vicini al NuJazz, al Jazz di origine indoeuropea, nonché a sonorità elettroniche, jazzistiche, rock, insomma si propongono come artefici di nuove contaminazioni. Noi abbiamo sentito echi di World Music, Lounge, Swing, alcune atmosfere Rock, musica indiana, Funky ed altro ancora.
Senza cercare traccia di ognuna di queste suggestioni – intento didascalico che risulterebbe fine a se stesso – ciò che si è ascoltato è una musica di atmosfera, suggestiva, in cui il quartetto ha mostrato una tendenza tutt’ altro che “finita” (in senso di definitivamente strutturata) a ricercare un flusso sonoro uniforme, nonostante gli ampi spazi dedicati ai soli improvvisativi. Note tenute a lungo in attesa di arrivare ad un timbro suggestivo, atmosfere volutamente eteree, progressioni fisse di accordi sui quali si impernia di volta in volta uno sviluppo tematico che rimane comunque “ipnoticamente” circolare; incursioni esotiche in estremo oriente (compreso un breve episodio vocale che potremmo avvicinare al canto tibetano, ad opera dello stesso Merlino).
Il quartetto (Merlino si conferma ottimo vibrafonista e percussionista) crea dapprima un tessuto armonico – ritmico spesso circolarmente reiterato, in modo da predisporre l’ ambiente e chi ascolta quasi ad un rilassamento sensoriale (non anestetico, anzi denso di suggestioni) sul quale poi la creatività – collettiva ed anche individuale – ha base per dipanarsi in grande libertà. Per ottenere questo potete immaginare quanta coesione sia necessaria in un quartetto che ha come fine quello di ottenere varietà di timbri, fluidità, flussi sonori ondivaghi e dinamiche dalle sfumature continue.

Ivrea, Teatro Giacosa – ore 21.30

Odwalla & Hamid Drake – The world of percussion and Dance;
Massimo Barbiero: marimba, vibes, steel drum e percussions; Matteo Cigna: vibes, marimba, steel drum, dum dum; Stefano Bertoli: drums; Andrea Stracuzzi: percussions, steel drum; Alex Quagliotti: drums, steel drum; Doudù Kwateh: percussion; Doussu Tourrè: Djembè; Thomas Guei : Djembè
Laura Conti, Sabrina Olivieri, Marta Raviglia: vocal; Sellou Sordet, Gerard Diby, Lucien Koffi, Willy Romuald, Astride Géridan: dance
Special guest: Hamid Drake

Odwalla è un gruppo che si può ascoltare mille volte senza poter dire fino in fondo “il concerto era lo stesso della volta prima”. Un po’ perché il gruppo di sole percussioni spesso si arricchisce (o si priva, per motivi squisitamente espressivi) di qualche elemento, il che fa la differenza. Un po’ perché c’è una rilevante parte improvvisativa che per forza di cose fa “cambiare le carte in tavola” anche se i brani portati in scena sono gli stessi. In effetti Massimo Barbiero può contare sulla versatilità sonora del suo gruppo ed accostarvi ospiti anche diversissimi (dal punto di vista stilistico o anche solamente di genere – strumentale e vocale) senza che essi mai sembrino “avulsi” da un contesto pur così riccamente connotato.
Ad Ivrea stavolta con Odwalla c’erano tre voci femminili (Laura Conti – già essenziale nell’ orchestra Exstinzione, Marta Raviglia – voce notevole del panorama jazzistico italiano dotata di una versatilità davvero rara, e Sabrina Olivieri – voce “gospel” ma non solo), e il batterista statunitense Hamid Drake. Drake, dotato di una forte personalità artistica ha donato questa sua irripetibilità ad un gruppo che come si diceva è affiatatissimo, riuscendo nell’ impresa duplice di emergere come solista ma anche in quella non facile di amalgamarsi in maniera armonica nel complesso intreccio di voci, poliritmie, ritmi arditissimi (sia simmetrici ma resi asimmetrici con le accentuazioni, che asimmetrici di ogni genere fino ad esplodere in un finale strutturato in 7 + 8 ), interagendo con le altre due batterie , le multiformi percussioni di Doudù Kwateh, gli esplosivi e inesauribili Djembè di Tourrè e Guei, la marimba e il vibrafono di Barbiero e di Cigna. La straordinarietà della cosa non è certo nella capacità tecnica di Drake (che è ovvia), ma nella sua elevatissima capacità artistica, nella sua musicalità, che hanno reso questo concerto un evento ancora più spettacolare di quanto già non sia (e vi garantiamo che lo è moltissimo).
Anche perché con Odwalla si torna all’ unione della musica con l’ aspetto coreografico della danza, e quindi ad un importante e fondante aspetto visivo dei suoni. Quella di Odwalla non è musica che nasce per accompagnare la danza: quella di Odwalla è musica sorgente di danza così come la danza che avviene sul palco dà impulso alla musica. Non si può nemmeno catalogare la danza come “Afro”. E’ la celebrazione del movimento, del ritmo, del battito cardiaco sviluppato in ogni modo all’ ennesima potenza o all’ ennesima potenzialità. Ma – non paia strano – è anche la celebrazione di temi melodici che vengono esposti dalla marimba ma che poi passano per ogni strumento a percussione. Da momenti di inaudita dolcezza e rarefazione a momenti di potente energia in cui tutti gli strumenti suonano – vibrano – tintinnano – risuonano, a momenti in cui è l’ acqua a risuonare, descrivendo ed evocando paesaggi naturali che potrebbero essere in ogni angolo della terra, non c’è un attimo di stasi emotiva o creativa.
Ci sono anche duetti (vedi quello tra la marimba di Barbiero e il tamburo di Drake) in cui emerge tutta la sensibilità reciproca tra musicisti che oltretutto creando si divertono. E’ proprio Barbiero, con la sua marimba, a dare sempre il segnale per una nuova presentazione tematica, o per la ripresa di un originario episodio di partenza, o per l’ esposizione di un nuovo tema ritmico. Tutto diventa descrittivo, ma tutto può in ogni momento divenire simbolico. Addirittura poetica la voce di Doudù Kwateh, in uno dei brani, così come in quel contesto diventano poetici gli energici assoli di Drake.
I danzatori sono a dir poco emozionanti: e Sellou Sordet ha un’ energia ed una grazia tali da lasciare senza fiato. Vorremmo poter avere maggiori conoscenze sulla danza perché la parte coreografica di questi ballerini è veramente notevole e meriterebbe una recensione a parte.

(altro…)