Ravi Shankar un ponte tra est e ovest
La musica classica indiana con il sitar – suo strumento principe – è profondamente incardinata in una concezione cosmogonica, ultraterrena. Ora che pochi giorni fa è scomparso Ravi Shankar forse i suoi straordinari raga risuoneranno nell’aldilà.
Sulla Terra nei novantadue anni della sua vita il compositore e solista di sitar ha fatto molto per avvicinare est ed ovest, per innervare nelle musiche occidentali una tradizione millenaria e sapiente. Gli episodi di quest’itinerario passano fin dagli anni ’60 per le conoscenze individuali e le collaborazioni che videro i Beatles (soprattutto George Harrison, allievo che si cimentò con il sitar in “Norvegian Wood”, 1965) e John Coltrane che divenne amico di Shankar al punto di chiamare Ravi uno dei suoi figli (oggi eccellente tenorista) e di dedicare alla patria del sitarista il brano “India”. L’elenco è ampio, prevede anche i Rolling Stones, Yehudi Menuhin e Zubin Mehta mentre l’influenza si estende fino ai minimalisti come Philip Glass.