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Sarà difficile, per non dire impossibile, dimenticare la figura di Roberto Capasso: avvocato,  giornalista, fotografo, promoter romano che davvero tanto ha fatto  – per gran parte della sua vita ed in epoche pionieristiche e difficili – a favore del jazz. E' morto ieri  nella capitale (11 gennaio) ad ottantadue anni.

In occasione  del ricordo di due amici (Salvatore G.Biamonte ed Anselmo Boldrini – altre due figure di grande spessore per la musica afroamericana in Italia – spentisi l'8 e l'11 gennaio 1999), Capasso scrisse riferendosi alla “passione” condivisa con gli scomparsi: “ (…) l'amore per il jazz, dal quale ho ricavato le gioie più grandi e durature della mia vita e che mi ha costruito attorno una cerchia di amici che, salvo rare eccezioni, tali sono rimasti a dispetto del passar degli anni, delle distanze a volte insuperabili, delle diverse attività lavorative. Un amore sincero, non minato da interessi di sorta, da gelosie, ripicche o rivalse; un amore fatto di costante dedizione e attenzione; un amore – forse il solo – sempre e appieno ricambiato che tanto mi ha arricchito senza mai inaridirsi. Anzi, trovando sempre nuovi motivi di ricerca, approfondimento e soddisfazione” (in “In memoriam”, “Il Sismografo. Bollettino della S.I.S.M.A. Società Italiana per lo Studio della Musica Afroamericana”, n°28, marzo 1999, p.6).

Le parole di Capasso – con la loro intensità, lo stile sobrio e coinciso quanto efficace – lo rievocano con efficacia e davvero egli non smise mai di “trovare nuovi motivi di ricerca”. Il 10 ottobre 2009 Capasso partecipò ad una giornata di studi, visioni ed ascolti organizzata alla Casa del Jazz di Roma (su progetto del collezionista e studioso Urbano Gaeta) dedicata ai V-Discs, portando la sua vivace e lucida  testimonianza di animatore del Circolo Romano del Jazz fin dal primissimo dopoguerra (ne fu direttore dal 1952 al 1957). Nell'ottobre 1997 divenne direttore responsabile de “Il Sismografo” (lo sarà fino alla fine delle pubblicazioni, dicembre 1999) succedendo al sottoscritto e mettendosi al servizio della società di studi creata per volere soprattutto del musicologo Marcello Piras, con l'entusiasmo e lo spirito di un giovanotto. Scriveva, allora: “ Cari lettori, non è la prima volta che mi viene affidata la direzione di un periodico di natura jazzistica – il tirocinio si perde nella notte dei tempi, all'epoca del “Notiziario Romano del Jazz”, nel 1952 – e da allora ho sempre diviso la mia attività professionale tra avvocatura e giornalismo, ma devo confessare che, con tanti decenni di esperienza alle spalle, l'emozione è la stessa della prima volta (…). Posso, questo sì, garantire totale dedizione e promettere che ogni problema che si presenterà verrà affrontato con la massima decisione. Spero di non deludervi” “Il Sismografo. Bollettino della S.I.S.M.A.”, n°23, ottobre 1997, p.3; sul periodico scriverà due esemplari testimonianze del passaggio capitolino di Django Reinhardt nel 1949 e sul Sestetto dell'Hot Club di Roma). Scrivere scrisse moltissimo, Capasso, principalmente sulle colonne di “Musica Jazz” come su quelle di “Paese Sera”. A volte si tratta di testimonianze che ebbero ed hanno valore storico, come la sua recensione della partecipazione italiana al secondo Salon du Jazz di Parigi (Salle Pleyel) nel 1952 (la si può leggere nel libro di Enrico Cogno “Jazz Inchiesta – Italia”, Cappelli 1971); racconta da par suo il successo francese della Roman New Orleans Jazz Band e soprattutto del Sestetto dell'Hot Club di Roma che il critico romano aveva visto nascere e crescere (con Nunzio Rotondo – che Capasso presentò in un'altra occasione a Miles Davis -, Franco Raffaelli, Ettore Crisostomi, Carlo Pes, Carlo Loffredo e Pepito Pignatelli).

Le sue autorevoli recensioni sono a più riprese citate nei volumi che Adriano Mazzoletti ha dedicato al jazz italiano (ultimo pubblicato “Il Jazz in Italia”. Dallo swing agli anni sessanta”, EDT 2010). Lo studioso, tra l'altro, parla di un commosso ed accorato ricordo di – sul n°13 del “Notiziario Romano del Jazz” – scritto da Capasso. Roberto, tuttavia, era immerso nel jazz in modo totale anche attraverso la fotografia, una delle sue passioni, la relazione diretta con i musicisti (ricordo una splendida foto “marinara”, e relativo articolo su “Musica Jazz”, con il chitarrista Barney Kessel e Capasso suonava la chitarra) nonché l'attività organizzativa. Essa lo vide protagonista, tra molte imprese, nell'allestire un Festival Jazz a Roma nel 1956 e dal 1958 come rappresentante di Norman Granz (per i concerti del Jazz at The Philarmonic). Fu spesso giurato in concorsi e festival contribuendo, fra l'altro, a rivelare alla fine degli anni '50 il Quintetto Jazz di Lucca (con Antonello Vannucchi e Giovanni Tommaso) come la romana Modern Jazz Gang (con Cicci Santucci, Enzo Scoppa, Sandro Brugnolini, Carlo Metallo, Leo Cancellieri, Sergio Biseo e Roberto Petrin); nel repertorio del gruppo c'era “Robert's Tune”, un pezzo scritto da Brugnolini per il giornalista.

Di Capasso mancherà, a quanti l'hanno conosciuto, la passione contagiosa per il jazz, la simpatia, l'umanità, il non mettersi mai in cattedra pur sapendo sostenere con forza e rigore le proprie ragioni, l'appassionata preparazione, la capacità di scrivere e rievocare. Affermava Marcello Piras (in occasione del passaggio di consegne della direzione de “Il Sismografo”)  che senza i pionieri di allora (Arrigo Polillo, Umberto Cèsari, la Roman New Orleans Jazz Band, Nunzio Rotondo, Armando Trovajoli, Rodolfo D'Intino e Roberto Capasso) il suo destino sarebbe stato diverso; mi permetto di aggiungere che il destino di molti lo sarebbe stato: se oggi il jazz in Italia ha raggiunto la diffusione che ha, tanta gratitudine e riconoscenza si devono al gioioso, disinteressato, militante impegno che “i pionieri” profusero, tra cui Roberto Capasso che apparteneva – e ne aveva tutta la passione – alla generazione del .

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