Nel favoloso mondo del jazz

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Mi sono avvicinata ad un ascolto musicale attento attraverso la musica colta. Mi è poi capitato, come a tutti naturalmente, di ascoltare dei brani jazz ma, chissà perché, quel mondo sonoro mi appariva ostico e avevo difficoltà ad entrare nel suo “mood”.

Le iniziative alla Casa del Jazz mi sono sembrate un’occasione per colmare una lacuna culturale e così ho iniziato a seguire gli incontri in cui Gerlando Gatto, da diversi anni ormai, cerca di appassionare un pubblico eterogeneo, e sempre più numeroso, all’ascolto della musica jazz.

Nei primi cicli di incontri il jazz è stato messo a confronto con altri generi musicali: Jazz e Musica Classica, Jazz e Tango, Jazz e Canzone d’Autore. L’approccio evidenziava da un lato le specificità di questo genere musicale confrontandolo con ciò che non è jazz, dall’altro faceva notare come il jazz fosse un genere “onnivoro”, che si contamina con l’altra musica e la rigenera attraverso le proprie “regole”. Quali fossero queste “regole” mi sfuggiva sempre un po’.

Nel corso degli incontri è stata evidenziata la dimensione culturale e spaziale di questo genere musicale, la sua origine nel melting pot statunitense e le diverse declinazioni che ha poi assunto estendendosi all’Europa e ad altre aree geografiche. Sono state introdotte varie scuole o correnti succedutesi nel tempo. E’ stato dato spazio al “sound” particolare di questa musica, all’indefinibile “swing”, al contributo che ad essa possono dare le voci di specifici strumenti. Siamo stati introdotti alla magia dell’improvvisazione.

Eppure non ho mai avuto la sensazione di assistere a “lezioni di musica”, d’altronde pare che Louis Armstrong abbia detto «Se mi chiedi di spiegarti cos’è il jazz, amico, non lo capirai mai». Bisogna ascoltarlo.

Ogni volta Gatto ci ha indicato i nomi degli autori e dei musicisti proposti raccontandone accuratamente tratti biografici, caratteristiche salienti, fortuna, curiosità; poi ci forniva annotazioni sulle caratteristiche dei brani, degli arrangiamenti, degli strumenti, delle interpretazioni.
Ho ascoltato nel tempo tanta bella musica, brani e filmati e scelti con cura, poche ma essenziali parole, per sottolineare gli aspetti sui quali si consigliava di soffermare l’attenzione.

Gli ultimi cicli di incontri si sono arricchiti con la presenza di musicisti che hanno suonato dal vivo. Gli artisti invitati sono sempre stati di alto livello ed era evidente che si esibivano per l’amicizia verso il “padrone di casa” e per il piacere di suonare. Un’esecuzione dal vivo è sempre carica di emozione sonora, visiva ed è molto empatica.

Attraverso il jazz ho scoperto un modo di concepire la musica, di suonarla e di ascoltarla più libero, ma non per questo meno consapevole, un modo di fare musica che sa concepire e realizzare quella immediatezza delle emozioni che ormai non è più cosa consueta nella musica colta. E se magari lo è stata nel ‘500 o nel ‘700, oggi non lo possiamo più percepire. Devo ammettere che questa scoperta è stata piuttosto interessante per me. Forse era proprio la grande libertà che percepivo nella musica jazz a darmi come un senso di vertigine e a tenermi un po’ lontano, inizialmente.

In più alla Casa del Jazz ho sperimentato che è possibile anche una dimensione più “sociale” dell’ascolto e che si può “condividere” un po’ di più l’emozione di un evento anche con chi ha scelto, come te, di avvicinarsi ad un certo genere musicale o ad un certo musicista.

Sono stata condotta per mano nel favoloso mondo del jazz, e mi ci trovo sempre più a mio agio.

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Renzo Ruggieri: dalla Russia… con amore

Il celebre fisarmonicista Renzo Ruggieri ci riferisce circa la sua ultima tournée in Russia

2012_Duo A Krasnodar con orchestra

Friedrich Lips Friedrich Lips non è solo uno dei musicisti più conosciuti e famosi della Russia ma è apparso nelle sale da concerto più famose del mondo e ha suonato con i più grandi artisti internazionali. L’attività artistica di Lips è documentata dagli oltre 30 CD pubblicati in Russia, Giappone, Stati Uniti, Austria e Svezia. Lips è un autore di testi sulla fisarmonica. Lips ha eseguito la prima performance di quasi 60 opere dei più importanti compositori contemporanei: Gubaidulina, Denissov, Solotarjov, Podgaiz, Bronner, etc. Nel 1993 è stato insignito del “Silver Disc” del festival “Bayan e bayanists”. Nel 1994 il presidente B.N. Eltsin gli ha conferito il “People’s Artist of Russia” al Cremlino, e nel 2001, il presidente V.V. Putin gli consegna un altro grande riconoscimento “The Order of Friendship”. Senza ombra di dubbio rappresenta il concertista più noto e importante della fisarmonica classica russa.

Dal punto di vista artistico la Russia è sempre un grande Paese: indipendentemente dalle contingenze socio-politico-economiche, la cultura musicale di base resta particolarmente estesa per cui, nel corso degli anni, il pubblico ha acquisito un gusto, una sensibilità particolari che si evidenziano soprattutto durante i concerti. La musica è seguita in rigoroso silenzio nel tentativo di cogliere ogni minima sfumatura di quel che l’artista sul palco sta proponendo. E, alla fine, se il concerto è piaciuto, la risposta sarà sempre entusiasta.

Per mia fortuna ho avuto spesso l’occasione di esibirmi in quei luoghi e ne ho sempre ricavato una particolare sensazione non tanto e non solo per il successo ottenuto, quanto per il particolare feeling che ho sentito sempre instaurarsi tra me e il pubblico, un feeling che mi ripagava appieno degli sforzi compiuti per la preparazione della performance.

L’ultima di queste esperienze risale al dicembre scorso: in particolare, assieme al caro amico ed eccellente pianista Paolo Di Sabatino, abbiamo debuttato il 13 dicembre nel Jazz Club JazzTravel con la presentazione del nostro ultimo cd “Inni d’Italia” un album dedicato ad alcune tra le più belle canzoni italiane che noi consideriamo come dei veri e propri “inni” del nostro Paese. Un repertorio, quindi, non facilissimo da proporre ad un pubblico straniero, eppure il successo è stato subito pieno totale.

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12points Festival a Dublino: un evento fuori dagli schemi

Giovanissimi europei ossigeno per il Jazz

Dublino beats and pieces big band (tratta dal sito  ufficiale di 12points)

Dublino beats and pieces big band (tratta dal sito ufficiale di 12points)

A Dublino si svolge un Festival che è totalmente incentrato sui giovani talenti del Jazz. Giovani intesi in senso “europeo” e non “italiano”, ovvero ragazzi e ragazze appena più che ventenni: da noi si parla di giovani intendendo anche musicisti dai 30 anni in poi. Vale la pena sottolinearlo perché sono proprio questi giovani, giovanissimi europei che danno ossigeno al Jazz. Con le loro idee, la loro energia, anche se si vuole con le loro piccole ingenuità e spesso con la loro irruenza. Sto parlando del “Festival 12points”, organizzato dall’ instancabile Gerry Godley, direttore appassionato, propositivo e fortemente intenzionato non solo a valorizzare ragazzi talentuosi e ancora non conosciuti se non nei loro ambiti territoriali, ma anche a creare un network pulsante ed efficace tra tutti i Paesi europei (in senso lato e non solo intendendo l’ Unione Europea), che sia la base per un dialogo e un circuito che vada ben oltre i reciproci confini nazionali. A tal proposito i delegati invitati al festival non hanno assistito solo a concerti, ma anche a dibattiti ricchissimi di spunti in cui si è delineata la situazione di ogni Paese riguardo il Jazz, si sono creati contatti importanti tra giornalisti, associazioni, organismi nazionali dedicati proprio specificamente al Jazz (e che in Italia non esistono affatto). Momenti di incontro importanti, densi, fitti di discussioni, resi anche divertenti dall’ artista – disegnatore Patrick Sanders, che estemporaneamente – improvvisando, come si conviene ad un jazzista – ha trasformato in immagini concetti anche complessi, e rendendoli chiari, sintetici e fruibili anche a chi, come chi vi scrive, non seguiva del tutto l’ inglese fluentissimo degli altri delegati.

disegni Patrick Sanders (foto Daniela Floris) disegni Patrick Sanders (foto Daniela Floris)

foto Daniela Floris

Godley oltre a proporre musica praticamente inedita a livello europeo (gli artisti sono ragazzi appena emersi nei loro reciproci Paesi) ha saputo creare un’ atmosfera veramente particolare, di fermento, di intrecci proficui tra musicisti di tutti i Paesi . Come? Ospitandoli tutti fin dal primo giorno, ad esempio, a prescindere dalla data della loro esibizione. Il che ha significato che da subito ci sono state Jam Sessions nei club tra artisti anche agli antipodi come inclinazione, background e poetica, i quali hanno persino partecipato alle conferenze, ascoltando ed intervenendo sulle loro reciproche esperienze. Ma anche fungendo da raccordo egli stesso tra intervenuti al festival (sia artisti, che addetti ai lavori) proponendo spunti continui e idee da discutere in maniera ricca ed interessante.
Di tutti questi gruppi ce ne saranno tre (da non intendersi come vincitori) che verranno da “12points supportati” per tre anni nella loro attività artistica, in modo da poter suonare per tutta l’ Europa.

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I nostri CD. Ancora una prova di maturità per l’eccellente Fabrizio Sferra

sferraFabrizio Sferra Quartet “Untitled #28” (ViaVenetoJazz / Jando Music VVJ 078).

Undici composizioni del batterista-leader cinquantatreenne e quattro brani frutto dell’elaborazione collettiva con le ance di Dan Kinzelman (sax tenore, clarinetto e clarinetto basso), il piano di Giovanni Guidi ed il contrabbasso di Joe Rehmer.

Sferra predilige pezzi brevi (dai due ai sei minuti) e lavora soprattutto su tempi liberi, in una policroma dilatazione dello spazio. Batterista raffinato e ritmicissimo (dallo Space Jazz Trio con Enrico Pieranunzi negli anni ’80 al gruppo Tribe di Enrico Rava della contemporaneità), gioca in controtendenza impostando quasi tutto l’album su una chiave di ricerca timbrica, di percussione non metronomica né swingante portando alle estreme conseguenze la lezione di Shelly Manne come di Andrew Cyrille.

Il trio di musicisti giovani (dai 27 ai 31 anni) che lo accompagna è molto affiatato da esperienze comuni e ciò rende l’inserimento nella musica a maglie larghe e coordinate mobili del leader agile e simpatetica.

Nell’album ci sono anche brani più strutturati come “Simply back” ma la dimensione privilegiata è quella distillata e sospesa, tensiva e, a tratti, allucinata di “Quai des Orfevres” e di “The snow child”. Album non facile perché esula dall’immaginario sonoro jazzistico attuale e necessita di un ascolto ripetuto, senza pregiudizi, per poter entrare nella poetica continuamente in elaborazione di “untilted”.

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Un giovane alla ribalta: Filippo Cosentino

Del chitarrista è appena uscito il primo album da leader

Filippo Cosentino (foto Adriana Riccomagno)

Filippo Cosentino (foto Adriana Riccomagno)

Filippo Cosentino è  chitarrista emergente e che vanta però già un grande numero di collaborazioni e partecipazioni sia dal vivo che dal punto di vista discografico.  Musicista completo (strumentista ma anche compositore ed arrangiatore) su questo sito lo avevamo già incontrato e recensito in occasione del l’ uscita del suo primo cd “Lanes”, edito da Green Production.  Da questo album nasce un tour italiano che sta ottenendo un grande successo.  Daniela Floris ha intervistato Filippo sulla sua attività musicale e sui suoi progetti attuali e futuri.

 

-Filippo, questo è il tuo primo album da leader. Parlaci del tuo background fino ad oggi in cui hai spiccato questo bel salto. 

“Credendo sin dal principio del mio percorso artistico di dover acquisire quanta più esperienza e conoscenza mi fosse consentito, ho frequentato i generi musicali, musicisti e culture più variegati possibile. Dai classici generi rock, blues, funky mi sono avvicinato alla musica del Medio Oriente (sia del Maghreb che del Maschreq) ma anche rap, hip-hop, d’n’b, classica e soprattutto durante i miei studi giovanili i repertori per chitarra sud americani e iberici. Penso attualmente di aver avuto  sin da bambino  interessi ben precisi:  mi hanno sempre interessato i repertori musicali del nord Africa fino al Medio Oriente e della penisola Iberica ma anche dell’Italia meridionale.  In tutto questo c’è un continuum che torna sempre nei miei brani o nei miei arrangiamenti. Come ho detto anche in un’altra intervista (alla JAZZIT Tv), credo che il jazz ci dia la possibilità di esprimere noi stessi in un arrangiamento o in un brano originale: suonando la nostra versione e scrivendo quella che più parla di noi.  Per me il Jazz è proprio cercare tutto ciò dentro me stesso”.

 

-Quanto serve fare il sideman, ovvero, quanto forma l’ esperienza di suonare in gruppi non propri nella creazione di una propria espressività?

E’ una domanda difficile e risponderò per quanto la mia strada mi consente di farlo; penso che a me sia servito maggiormente per condividere esperienze e modi di pensare a volte differenti e lontani da me: la vedo  come una possibilità di riflessione sul lavoro del musicista. Da sideman spesso ho suonato musica scritta da altri e altrettanto spesso, fortunatamente, ne sono rimasto colpito, traendo così l’occasione di meditare su quanto avevo letto e interpretato. E’ un ruolo totalmente differente da quello del leader  (parola che non amo particolarmente) di un progetto o una formazione. Per rispondere direttamente alla tua domanda direi che è necessaria questa esperienza appunto per confrontarsi, conoscere, meditare e ovviamente formarsi professionalmente a tutti i livelli. Inoltre noi agiamo lungo tutta la nostra vita in base alle azioni, agli incontri e alle relazioni che abbiamo vissuto. Allora perché non fare anche questa?”.

 

-Come tu stesso hai detto, la tua formazione è piuttosto variegata.  Ma quale è stato il tuo primo amore?

“A 14 anni entrai in un negozio di musica e chiesi ai miei genitori di acquistare due cassette; si trattava di due “the best of”: una di Charlie Parker e l’altra di Louis Armstrong. Pur apprezzandole entrambe, ascoltai all’infinito quella di Armstrong perché ero rapito dal suo suono – che però è una caratteristica che riscontrai anche in Parker – ma mi arrivò immediatamente la sensazione che lui si stesse divertendo a cantare e suonare: ne fui letteralmente rapito!”.

 

Vanti collaborazioni con molti artisti, anch’essi appartenenti a mondi musicali differenti.  Di loro hai qualcuno che ti è rimasto profondamente impresso e che ha anche un po’ influenzato il tuo modo di suonare o comunque di approcciarti alla musica?

“Ognuno mi ha dato la possibilità di meditare sulle differenti forme del fare musica: lo spirito che dicevo sopra della condivisione e divertimento è il ricordo più bello che ho del periodo nel quale ho suonato blues. L’intensità in ogni assolo dei musicisti con cui ho suonato è un qualcosa di immensamente emozionante proprio per la sua unicità, poiché legato a quello specifico brano… e il più delle volte non potevo rimanere indifferente da un punto di vista emotivo. Lavorare con e per i cantautori o songwriter è un aspetto della mia vita professionale che mi piace tantissimo perché oltre alla possibilità di incontrare artisti con sensibilità diverse mi consente anche di percepire la musica in relazione ad un testo: da qui nasce l’ interpretare i titoli e l’ esigenza di interpretare i testi attraverso i miei assoli. Come si può ascoltare benissimo nel mio disco “Lanes”, sono molte le strade che percorro in contemporanea, mescolando a ritmiche d’nb o hip-hop melodie e armonie proprie del jazz.  Ma anche cercando di ricreare ambientazioni tipiche delle fiabe come in Hassan’s Dream: aver condiviso alcuni concerti con grandi del jazz mi ha permesso di avvicinarmi a queste composizioni con uno spirito diverso, con la voglia di dire “vediamo come lo suonerei io se non l’avessi mai sentito”. Di questi grandi musicisti mi ha sempre colpito la semplicità e umiltà che mostrano confrontandosi con il repertorio, anche con brani non scritti da loro: eppure ogni brano poi diventa come se fosse proprio. Ecco; spero che ascoltando gli arrangiamenti degli standard del mio disco, ci si possa chiedere “questo brano è suo o no?”.

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Richard Galliano entusiasma passando da Bach a Piazzolla

galliano

Splendido concerto di Richard Galliano sabato 16 febbraio presso l’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma, concerto che si inserisce nel quadro di un’ altrettanto splendida stagione varata dalla Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC).
Ma torniamo a sabato pomeriggio. Aula Magna piena in ogni ordine di posti per un evento che sulla carta si presenta già di grande rilevanza: uno dei più grandi fisarmonicisti oggi in esercizio, Richard Galliano, incontra l’Orchestra Camerata Ducale con Guido Rimonda violino solista e concertatore: terreno dell’inedita cooperazione le musiche di Bach, Vivaldi, Gardel, Piazzolla e dello stesso Galliano.

Il concerto inizia con il brano forse più difficile ma proprio per questo più atteso, almeno dal vostro cronista: il “Concerto in do minore per violino, oboe, archi e continuo BWV 1060” ovviamente rivisto e trascritto per fisarmonica e archi da Galliano. Ebbene, sin dalle prime note, è un vero e proprio godimento per le orecchie: Galliano si muove splendidamente fra le molteplici difficoltà presentate dalla partitura ma quel che più sorprende è sentire come il suono della fisarmonica si amalgami perfettamente con quello degli archi. Se non si conoscesse l’originale, si potrebbe benissimo pensare che il pezzo è stato scritto proprio per questo organico. Alle prese con  una musica che impone delle regole ben precise, Galliano riesce perfettamente a limitare la sua strabordante maestria tecnica che qualche volta, nelle prove in solo o  in duo, lo porta un tantino ad eccedere. Invece qui è preciso, misurato, semplicemente perfetto. E la stessa sensazione si ha ascoltando la successiva pièce, “Opale Concerto”, una sua composizione di impostazione classica divisa in tre tempi.

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