Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Il grande artista afroamericano è scomparso il 29 gennaio

INTRO Ve Butch Morris Ensemble 075

La morte di Lawrence “Butch” Morris il 29 gennaio scorso a New York ha lasciato un profondo, dolente segno nella comunità jazzistica internazionale. Il compositore, direttore (sarebbe più corretto scrivere ‘conductor') e cornettista afroamericano lottava contro il cancro ed il male lo ha vinto pochi giorni prima che compisse i sessantasei anni (era nato a Long Beach il 10 febbraio 1947). Nei forum specialistici (ad esempio il “jazz research” di Michael Fitzgerald) si è innescata un'ampia discussione sul valore delle conductions di Butch Morris mentre alcune riviste e giornali hanno dedicato spazio al musicista scomparso, in particolare “il Giornale della Musica on-line” con Enrico Bettinello ed “il manifesto” con Mario Gamba, senza dimenticare i microfoni di RadioTre.

Morris frequentava l'Italia da decenni ed aveva avuto occasione a più riprese di organizzarvi svariate “conductions”, dal festival di Sant'Anna Arresi alla biennale di musica contemporanea di Venezia; progettava ancora di trascorrervi un paio di anni e stava esplorando la possibilità di far partire un progetto educativo a Bologna (secondo quanto riferito dal musicologo Stefano Zenni).

“Holy Sea. Conductions 57, 58, 59” furono, del resto, organizzate e registrate dal vivo a Firenze, Carrara e Pistoia l'8-10 febbraio 1996 e diventarono un doppio Cd prodotto e realizzato dalla Splasc(h) Records (grazie alla passione di Giorgio Mortarino, Peppo Spagnoli e Achille Silipo). In quell'occasione raccontò il critico ed organizzatore Giuseppe Vigna, testimone diretto di quanto accadeva, divenuto amico di “Butch”: “Quando i musicisti dell'Orchestra della Toscana entrarono in sala prove non trovarono i leggii. Poco prima Butch aveva chiesto che li portassero via, erano ingombranti, inutili per la sua musica. La loro assenza spiazzò i musicisti, che entravano in una nuova dimensione sonora per la prima volta senza il conforto di una partitura. Avrebbero dovuto guardare solo Butch, tenere gli occhi fissi su di lui per interpretare i suoi segnali, per seguire le linee e le onde disegnate nell'aria dalla sua bacchetta. (…) Bucth affrontava la sensibilità collettiva dell'orchestra, quelle individuali dei suoi musicisti e quelle dei solisti ospiti; dopo tre giorni di prove, quando tutti avrebbero trovato la loro identità nei suoi gesti, la conduction poteva iniziare per esprimere un sentimento diffuso, comune. (…) Questi dischi rinnovano la sorpresa di quei giorni e sono il risultato di un'esperienza unica che mostra come sia possibile un'utopia sonora. Basterà crederci e ci sarà un'altra musica, nuova, dove non serviranno né spartiti né leggii” (dalle note di copertina di “Holy Sea”). Mario Gamba nel suo pezzo parla a ragione di “compositore specialissimo, poca o niente scrittura tanti gesti di un vocabolario personale per indicare negli istanti in successione gli itinerari di un brano musicale (…) Ricchezza e originalità da grandissimo, uno dei massimi che si siano affacciati sulla scena del jazz e di quell'indefinibile (per fortuna!) musica che è emersa dalle trasformazioni rivoluzionarie avvenute costeggiando il jazz e tutte le altre esperienze contemporanee.

Il risultato sta in una somma e in un insieme di suoni che ricordano l'informale, l'avanguardia europea e americana, e poi altre cose come l'elettronica d'uso, i richiami etnici, il funky, le big band del dopoguerra. Certo che non si sentono né Ligeti né Feldman né Stockhausen, a volte si sente Stan Kenton, ma guarda un po', a volte chissà chi, sempre non si sente altro che la tua musica, caro Butch, gli dicevi, molto riconoscibile, con quei suoni che, insomma, escono da una tua ideazione e da una tua passione. In quasi trent'anni di Conductions e, a dire il vero, fin dalla prima, ci si è accorti che accanto a quei suoni c'era una firma. La firma di un compositore, anomalo fin che si vuole, instabile e di volta in volta precario fin che si vuole, ma un compositore”.

Sul nodo centrale delle creazioni per largo organico che Butch Morris avviò nel 1991 (come documenta il Cd “David Murray Big Band conducted by Lawrence ‘Butch' Morris”, Columbia) ha riflettuto anche Enrico Bettinello: “ Quella di Morris è senza dubbio una delle figure più originali della musica afroamericana degli ultimi trent'anni, grazie alla progressiva ricerca e formalizzazione del processo di guidata da gesti che va sotto il nome di conduction. Al di là degli esiti artistici, legati in processi come questo a naturali aleatorietà, ma spesso di livello altissimo, è stata proprio l'esperienza della conduction a fornire a decine e decine di musicisti in tanti posti del mondo nuove chiavi di approccio alla creazione istantanea (…) Morris ha forse sofferto di non poter sviluppare in Europa il proprio sistema con tempistiche più continuative, e la riprova è nel fantastico lavoro svolto invece a New York con la Nublu Orchestra, che ha anche portato a uno dei suoi dischi più riusciti.

Molti musicisti, anche delle generazioni più giovani, riprendono oggi elementi della conduction nei propri progetti. Come è giusto, personalizzandoli e facendoli interagire con altre strategie. Probabilmente la conduction pura – come la intendeva Butch – se ne va insieme al suo geniale creatore, e anche se può suonare malinconico è forse giusto così, per la totale aderenza, artistica e umana, tra le due cose”.

Forse è bene ricordare ancora che Morris era un reduce dal Vietnam, che il suo primo strumento fu la cornetta e che la suonò a lungo e con personalità sia in California sia a New York, dove si trasferì trentenne come membro dei gruppi che ruotavano attorno al vulcanico David Murray; basti pensare ad un album straordinario e fondamentale per quella stagione come “Ming” (pubblicato dalla Black Saint di Giovanni Bonandrini): era il 1980 e nell'ottetto c'erano Murray, Morris, Olu Dara, George Lewis, Henry Threadgill, Anthony Davis, Wilber Morris e Steve McCall, una formazione fuori dal comune i cui membri avrebbero segnato il jazz dei decenni a venire. Ben presto Lawrence “Butch” Morris si dedicò all'arrangiamento ma soprattutto alla direzione della big-band di David Murray e in questo ambito maturerà la sua rivoluzionaria idea di “conduction”. Sono davvero tanti i motivi per ricordare Morris ed è davvero ingiusto che in varie enciclopedie specialistiche (italiane ed americane) il suo nome sia omesso.

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

Commenti

commenti

Shares