Lorenzo Tucci trio, Tranety ovvero l’essenza di Coltrane

Lorenzo Tucci (foto Daniela Crevena)

Lorenzo Tucci (foto Daniela Crevena)

Il Jazz, quando è vero Jazz, è una bellissima cosa seria. La sua bellezza è data da un insieme di caratteristiche armonicamente accostate tra loro. Alla casa del Jazz Lorenzo Tucci ha portato “Tranety”, omaggio a John Coltrane, con il suo Trio, insieme a Claudio Filippini al pianoforte e Luca Bulgarelli al contrabbasso. E allora ecco le caratteristiche che hanno fatto di questo concerto un vero evento jazzistico.

LATECNICA
E’ giusto sottolinearlo ogni tanto: Lorenzo Tucci si è costruito, studiando di certo duramente, un livello tecnico impressionante. La tecnica da sola, se un musicista decide di farne la sua caratteristica principale diventa sterile atletismo acrobatico. Stupisce, ma se valutata a se stante, diventa materia da guinness dei primati: quanti battiti riesce a produrre in un minuto sul suo rullante? Quanto velocemente le sue bacchette si spostano dal tom al piatto? Quanti colpi alla cassa riesca ad effettuare senza doppio pedale? Nel caso di Tucci il know how è diretto alla musica. E’ un mezzo e non un fine. Il che si evidenzia sia durante i soli, sia nell’ interazione con il pianoforte e il contrabbasso. D’ altronde Filippini e Bulgarelli hanno dimostrato di essere assolutamente all’ altezza di dialogare con un simile fenomeno di musicale bravura.
Un capolavoro di tecnica espressiva durante questo concerto? L’ intro di batteria di “After the rain”. Un racconto, non un assolo. La pioggia, anzi la personale percezione emotiva che, evidentemente, ha Tucci della pioggia. Ma anche l’ assolo di “Cousin Mary”, sunto perfetto di precisione millimetrica e istinto torrenziale.

L’INTERPLAY
Abbiamo ascoltato altre volte questo trio dal vivo, e l’ affiatamento è notevole. Non è un affiatamento dato solo dall’ aver suonato più volte insieme. E’ feeling, è ascoltarsi, è proporre e lanciare idee, è lasciare spazio e allo stesso tempo ottenere il proprio spazio. Anche alla Casa del Jazz questo dialogo quasi magico non si è fatto desiderare. Un esempio scelto, tra i tanti, di interplay? Le ondate dinamiche di” Afro Blue”. Filippini in gran forma, energico, un’ energia contagiosa, resa con accordi vivi ma anche note ribattute, enfatizzando il lato ritmico del pianoforte … alle quali Tucci ha opposto suoni talmente variegati che la sua batteria quasi è sembrata …una tastiera piena di note. L’ intensità di volumi contrapposti, il contrabbasso di Bulgarelli fondamentale nel guidare queste virate da un clima all’ altro, che tesse le fila anche nei momenti in cui il rullante è tesissimo, o in cui Tucci riesce a tenere invariata la figura ritmica di base improvvisandovi sopra di tutto. Per fare questo ci vuole interplay, per fare il Jazz ci vuole interplay.

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