Il lirismo di Giovanni Guidi

Giovanni Guidi

Cosa conta di più nel jazz la tecnica o la sensibilità? Cos’è più importante stupire l’ascoltatore con una prodigiosa padronanza del proprio strumento o commuoverlo grazie alle doti interpretative? Questo dilemma ha diviso, e forse continua a dividere, critici e appassionati; certo l’ottimale sarebbe un giusto mix tra le due caratteristiche ma non sempre ciò è possibile per cui alcuni musicisti preferiscono puntare sulla bravura esecutiva, altri sulla comunicazione.

Questa introduzione per sottolineare come Giovanni Guidi, pur possedendo una notevole tecnica di base, nel concerto alla Casa del Jazz di domenica 17 marzo ha puntato tutto sulla sua straordinaria capacità di esprimere, attraverso il pianoforte, quel ricco mondo di emozioni e di sensazioni che lo caratterizza.

Guidi è di certo una delle figure più importanti emerse sulla scena jazzistica italiana che ha bruciato le tappe giungendo in tempi rapidi ai vertici del jazz nazionale grazie anche ad alcune prestigiose collaborazioni con artisti quali Gianluca Petrella e soprattutto Enrico Rava. Il trombettista si è speso molto per “sponsorizzare” il giovane pianista e ancora una volta ha dimostrato di avere una bella lungimiranza dal momento che Guidi, dopo la partecipazione ad alcune tra le più importanti rassegne e festival internazionali, è approdato alla corte di Manfred Eicher, apparendo dapprima in due dischi a nome rispettivamente di Enrico Rava (“Tribe” con il Rava Quintet) e del Parco della Musica Jazz Lab (il live “On The Dance Floor”) ed ora incidendo da leader l’album “City of Broken Dreams”.

Accompagnato magistralmente dal batterista portoghese João Lobo e dal contrabbassista Thomas Morgan, Guidi alla Casa del Jazz ha incantato il pubblico accorso abbastanza numeroso.

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