I nostri CD. Eleni Karaindrou – “Concert in Athens” – ECM 220

Concert in AthenAlbum di straordinaria profondità questo “Concert” registrato live alla Megaron Hall di Atene il 19 novembre del 2010. Protagonsiti assoluti quattro artisti che hanno trovato in Manfred Eicher e nella sua prestigiosa ECM l’ambiente ideale per esprimere tutte le loro potenzialità: la pianista e compositrice Eleni Karaindrou, la violista Kim Kashakashian, il sassofonista Jan Garbarek e l’oboista Vangelis Christopoulos, accompagnati, nell’occasione, dalla Camerata Orchestra diretta da Alexandros Myrat. Eleni ha già al suo attivo con l’etichetta tedesca ben 20 album e ancora una volta dimostra di meritare appieno la fiducia accordatale.

Il concerto inizia con “Requiem for Willy Loman” e a mettersi in immediata evidenza è il sound melanconico, straordinariamente personale di Jan Garbarek. In “Eterniti Theme” in primo piano è il pianoforte di Eleni mentre nel successivo “Closed Roads” il pallino passa nelle mani di Kim Kashakashian; bisogna aspettare il quinto brano, “Voyage”, per ascoltare in primaria evidenza l’oboe di Vangelis Christopoulos. Questo per dire che sono bastati una quindicina di minuti per consentire alla pianista e ai suoi compagni d’avventura di entrare nel pieno del discorso musicale e andare a comporre un altro tassello di quel mosaico che, come sostiene la stessa compositrice, “prende forma definitiva molto lentamente negli anni. La forma complessiva diviene più chiara e meglio dettagliata attraverso ciascun nuovo album”.

Fermandoci a questo “Concert” c’è da rilevare come i musicisti su menzionati si prestino meravigliosamente a dare corpo e voce alle intuizioni compositive della pianista greca, intuizioni che ancora una volta si rivolgono al mondo del cinema e a quello del teatro. Così ascoltiamo tutta una serie di lavori scritti per film, per serie TV, per pièces teatrali di autori quali Arthur Miller, Tennessee Williams e Edward Albee, per chiudere con la riproposizione del brano d’apertura, vale a dire “Requiem per Willy Loman da “Death of a Salesman” di Arthur Miller affidata ancora una volta a Garbarek e alla stessa Karaindrou.

Un’avvertenza: qui il jazz c’entra poco o nulla…ma spero che l’abbiate già capito.

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Lorenzo Tucci trio, Tranety ovvero l’essenza di Coltrane

Lorenzo Tucci (foto Daniela Crevena)

Lorenzo Tucci (foto Daniela Crevena)

Il Jazz, quando è vero Jazz, è una bellissima cosa seria. La sua bellezza è data da un insieme di caratteristiche armonicamente accostate tra loro. Alla casa del Jazz Lorenzo Tucci ha portato “Tranety”, omaggio a John Coltrane, con il suo Trio, insieme a Claudio Filippini al pianoforte e Luca Bulgarelli al contrabbasso. E allora ecco le caratteristiche che hanno fatto di questo concerto un vero evento jazzistico.

LATECNICA
E’ giusto sottolinearlo ogni tanto: Lorenzo Tucci si è costruito, studiando di certo duramente, un livello tecnico impressionante. La tecnica da sola, se un musicista decide di farne la sua caratteristica principale diventa sterile atletismo acrobatico. Stupisce, ma se valutata a se stante, diventa materia da guinness dei primati: quanti battiti riesce a produrre in un minuto sul suo rullante? Quanto velocemente le sue bacchette si spostano dal tom al piatto? Quanti colpi alla cassa riesca ad effettuare senza doppio pedale? Nel caso di Tucci il know how è diretto alla musica. E’ un mezzo e non un fine. Il che si evidenzia sia durante i soli, sia nell’ interazione con il pianoforte e il contrabbasso. D’ altronde Filippini e Bulgarelli hanno dimostrato di essere assolutamente all’ altezza di dialogare con un simile fenomeno di musicale bravura.
Un capolavoro di tecnica espressiva durante questo concerto? L’ intro di batteria di “After the rain”. Un racconto, non un assolo. La pioggia, anzi la personale percezione emotiva che, evidentemente, ha Tucci della pioggia. Ma anche l’ assolo di “Cousin Mary”, sunto perfetto di precisione millimetrica e istinto torrenziale.

L’INTERPLAY
Abbiamo ascoltato altre volte questo trio dal vivo, e l’ affiatamento è notevole. Non è un affiatamento dato solo dall’ aver suonato più volte insieme. E’ feeling, è ascoltarsi, è proporre e lanciare idee, è lasciare spazio e allo stesso tempo ottenere il proprio spazio. Anche alla Casa del Jazz questo dialogo quasi magico non si è fatto desiderare. Un esempio scelto, tra i tanti, di interplay? Le ondate dinamiche di” Afro Blue”. Filippini in gran forma, energico, un’ energia contagiosa, resa con accordi vivi ma anche note ribattute, enfatizzando il lato ritmico del pianoforte … alle quali Tucci ha opposto suoni talmente variegati che la sua batteria quasi è sembrata …una tastiera piena di note. L’ intensità di volumi contrapposti, il contrabbasso di Bulgarelli fondamentale nel guidare queste virate da un clima all’ altro, che tesse le fila anche nei momenti in cui il rullante è tesissimo, o in cui Tucci riesce a tenere invariata la figura ritmica di base improvvisandovi sopra di tutto. Per fare questo ci vuole interplay, per fare il Jazz ci vuole interplay.

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E siamo a quota 2000

Cari Amici,

ci siamo arrivati: da poco abbiamo toccato quota 2000 nelle preferenze espresse su Facebook. Per noi è un traguardo importante in quanto, non molti mesi fa, avevamo festeggiato il raggiungimento di quota 500.

Perché tanta soddisfazione? Innanzitutto perché ciò dimostra come il nostro lavoro sia premiato da tanti lettori che ci seguono, non risparmiandoci critiche, ma più spesso confortandoci con il loro consenso e i loro suggerimenti.

In effetti, quando a seguito del successo ottenuto dalle “Guide all’ascolto” da me condotte alla Casa del Jazz, ci siamo decisi a trasferire sul  Web questo bagaglio di competenze ma soprattutto di entusiasmo e di amore verso la musica jazz, sapevamo perfettamente che il nostro potenziale bacino di utenza sarebbe stato molto piccolo e che quindi le possibilità di guadagno materiale sarebbero state minime. Ahimé, mai previsione risultò più azzeccata in quanto il jazz rimane una musica se non di nicchia… quasi. In effetti di soldi nel nostro mondo ne girano sempre meno e quindi l’idea di guadagnare con un sito dedicato al jazz si conferma peregrina. Di converso speravamo che le soddisfazioni morali non sarebbero mancate. E queste per fortuna sono arrivate, copiose.

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I nostri CD. Le sperimentazioni di Simone Zanchini

Simone Zanchini – “My accordion’s concept” – SILTA SR 1201

My accordion's prohectChi mi segue sa bene quanto io ami la fisarmonica e di come la ritenga uno strumento perfettamente adatto ad eseguire anche un repertorio prettamente jazzistico. In questo ambito ho sempre valutato ottimamente le prestazioni – sia live sia su disco – di Simone Zanchini anche se la sua musica viene declinata maggiormente sul versante sperimentale che su quello jazzistico. Questo album è davvero tranchant nel senso che qui siamo in tutto e per tutto nell’ambito della musica moderna e dell’improvvisazione più marcata. Non a caso Simone suona in solo e l’album si intitola “My accordion’s concept”.

In effetti nelle note che accompagnano il CD, Simone illustra le varie fasi della sua crescita artistica (dapprima musicista folk, poi jazzista) sempre alla ricerca di un linguaggio del tutto personale. Nasce così l’esigenza di affrancarsi da ogni influenza, di percorrere strade nuove per cui il suono acustico  non basta più e “giunge la necessità di entrare nello sterminato mondo dell’elettronica”.

Nasce così “Better alone” … ma non basta. Adesso Zanchini vuole affrancarsi da qualsivoglia linguaggio riconosciuto e riconoscibile e lo fa attraverso questo disco. Tentativo riuscito? Solo in parte direi. In effetti la musica di Zanchini non si rifà ad alcun codice e attraversa l’universo musicale libera da ogni condizionamento. Di qui le atmosfere cangianti, il ricorso all’ironia, il fraseggio a tratti virtuosistico a tratti molto semplice, la ricerca sul suono. Ecco, a questo proposito, non paiono del tutto convincenti i brani – soprattutto “Ecstasy break point” – in cui Zanchini insiste nella riproposizione dei suoni più acuti e quindi striduli dello strumento, alle volte davvero fastidiosi per le orecchie forse immature di chi ascolta.

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Tutto su wayne shorter

JAZZIT SHORTERE’ in distribuzione il nuovo numero (marzo-aprile) di “JAZZIT” caratterizzato immediatamente da une bellissima copertina con il volto di Wayne Shorter. Ed in effetti al grandioso sassofonista è dedicato un lungo studio che costituisce il piatto forte di questo numero del bimestrale: Luciano Vanni, in un primo capitolo, ripercorre la vita dell’artista dal 1933 al 1962 dopo di che analizza il periodo che va dal 1959 al 1964 quando Wayne entra nei “Jazz Messengers” di Art Blakey che per lui costituiscono un vero e proprio trampolino di lancio verso l’Olimpo del jazz; dopo la collaborazione con il batterista inizia un altro periodo assai proficuo per Shorter, la collaborazione con Miles Davis che grosso modo prende gli anni dal ’64 al ’68; dal 1971 al 1986 ancora un periodo cruciale nella vita artistica di Wayne: la collaborazione con Joe Zawinul e quindi la fondazione dei “Weather Report” un gruppo che resterà inimitabile nella storia del jazz. Dopo un attento esame della produzione discografica sia da leader sia da side-man, l’articolato scritto si conclude con la presa in considerazione dell’attuale straordinario quartetto acustico con John Patitucci al contrabbasso, Danilo Perez al pianoforte e Brian Blade alla batteria.

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I nostri CD. Area international popular group

Area international popular group, “Live 2012” (Up Art Records)

areaNon è il revival di un gruppo simbolo degli anni ‘70 (e della loro eversività musicale, politica e comunicativa) perché – come ha dichiarato a “Musica Jazz” il pianista-tastierista Patrizio Fariselli- “(…) ribadisco ancora una volta che noi non abbiamo rifatto gli Area: noi siamo gli Area! Che suoniamo o non suoniamo, lo eravamo e lo saremo (…) non a caso l’arma principale che abbiamo, musicalmente parlando, è l’improvvisazione, con la quale trituriamo tante cose, compreso il repertorio storico” (R.Crisafi, “Parlano Patrizio Fariselli, Paolo Tofani e Ares Tavolazzi”, in “Musica Jazz” febbraio 2013, p. 11).

Nel 2012 i membri del gruppo ancora vivi ed attivi hanno riunito le rispettive strade sonore ed esistenziali per un tour da cui provengono le tredici tracce del doppio Cd. Registrato nei teatri di Pesaro, Porto Sant’Elpidio, Orvieto e Follonica, alla Casa del Jazz di Roma ed in piazza a San Giovanni Valdarno e Torino, il disco conserva la vibrante tensione del recital, l’energia e la creatività di una ripresa di temi storici (soprattutto “La mela di Odessa”, “Cometa rossa”, “Luglio, agosto, settembre (nero)” e “Arbeit macht frei”), la novità di molti brani originali, il felice incontro con un pubblico ampio. Se Fariselli (piano e synth), Paolo Tofani (strumenti indiani e autocostruiti, chitarra elettrica, live electronics), Ares Tavolazzi (contrabbasso, basso elettrico), Walter Paoli (batteria) e Maria Pia De Vito (straordinaria ospite in “Cometa rossa” nell’evocare Demetrio Stratos) suonano insieme è perché – nell’Italia del XXI secolo – hanno ancora qualcosa da dire e le radici della loro musica sono vive.

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