La musica di Verdi in “salsa” jazz

Sala UmbertoIl 7 giugno alla Sala Umberto un evento unico nel suo genere dedicato alla musica di Verdi in accoppiata con l’amore per la buona cucina.

Realizzato nell’ambito del Centenario della nascita di Giuseppe Verdi, con il Patrocinio di Roma Capitale, “Verdi loves Jazz” è un progetto originale che lega per l’appunto musica, cucina e cultura dell’epoca Verdiana.
Attraverso l’analisi della musica e degli scritti del maestro, Cinzia Tedesco, indiscusso talento del Jazz Italiano, artista poliedrica ed originale, ha immaginato di proporre la bellezza dell’originale melodia verdiana trascodificata con gli idiomi moderni ed internazionali del Jazz, sostenuta dagli arrangiamenti di Stefano Sabatini , dal drumming poderoso di Pietro Iodice alla batteria e con Luca Pirozzi al contrabasso e Giovanna Famulari al violoncello.

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Spazio anche ai giovani nelle guide all’ascolto

trio bologna casa del  jazz

Quanto grande Jazz c’è stato e quanto Jazz ci aspetti nel futuro è emerso ancora una volta in tutta la sua bellezza durante le ultime due Guide all’ ascolto alla casa del Jazz: sul palco, a parlare e commentare con Gerlando Gatto un pianista appena  trentenne ma con un curriculum da capogiro, Claudio Filippini, il 22 maggio, e all’ incontro conclusivo del ciclo un trio di giovanissimi provenienti da Bologna, Lorenzo Paesani al pianoforte, Luca Dal Pozzo al contrabbasso, Dario Mazzucco alla batteria.
Giovani artisti dunque, ancora una volta.

Filippini appena trentenne, anche se oramai affermatissimo pianista anche sulla scena europea, che la sera dell’ incontro era in procinto di partire per il Giappone con il quartetto di Fabrizio Bosso, e tre giovani anche dal punto di vista del panorama jazzistico ma davvero molto, molto bravi musicalmente, come sound, come freschezza delle idee, come affiatamento: un trio tutto da scoprire, che ha sorpreso il pubblico che di sicuro ancora non ne aveva potuto apprezzare le indiscutibili capacità.

Per Gerlando Gatto una scelta è rimasta imprescindibile durante tutti gli incontri avvenuti alla Casa del Jazz. Ci sono stati durante quest’anno artisti che definire “affermati” sarebbe riduttivo, ma la scelta è spesso stata anche quella di portare sul palco strumenti inusuali per il Jazz, o artisti bravissimi ma quasi sconosciuti. E allora se si è avuta la fortuna di ascoltare per due ore i racconti e le note di un gigante del pianoforte come Pieranunzi, la poesia e le parole di Danilo Rea, ma anche le acrobazie espressive di nuove punte di diamante del Jazz italiano come Lorenzo Tucci o Luca Mannutza, di certo è stato importante anche ascoltare strumenti quali l’arpa di Marcella Carboni o la fisarmonica applauditissima di Renzo Ruggieri.  E un trio come quello dell’ultimo incontro di ieri, che hanno stupito per la loro preparazione tecnica unita però a una grande freschezza compositiva e a una musicalità fuori dal comune. Perché il Jazz è una musica in continuo rinnovamento, anche dal punto di vista dei suoi protagonisti.

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Vi spiego… la batteria: Lorenzo Tucci

Lorenzo Tucci (Foto Daniela Crevena)

Lorenzo Tucci (Foto Daniela Crevena)

Lorenzo, prima di tutto dicci quando hai iniziato a studiare la batteria e perché l’ hai scelta come strumento.
“Ho cominciato a suonare la batteria da bambino. Prima ero appassionato di altro, mi piaceva tanto cantare, cantavo tantissimo, ma mi piaceva molto anche la chitarra, che mio padre mi comprò da piccolissimo . Mi insegnò lui qualche accordo, poi mio zio qualche accordo un po’ più difficile. Mi mandò anche a lezione di pianoforte… Poi un giorno mi sedetti per la prima volta dietro una batteria. Provai a suonarla e capii che era lo strumento della mia vita. La passione per la musica invece, quella l’ ho da quando sono nato”.

E quando hai iniziato a suonare per vivere?
“Bisogna intendersi su ciò che si intende per “vivere”! Diciamo a guadagnare i primi soldi, forse è meglio… da subito, già verso i tredici o quattordici anni, appena cominciato a suonare: andavo a fare le prime seratine con altri, sempre gente molto più grande di me. Si andava a suonare ai matrimoni o a feste di tutti i tipi, mi pagavano, già allora guadagnavo i miei soldini. Sono andato avanti e poi non ho mai smesso”. .

Bene ora entriamo nel merito: spiegaci come è fatto questo strumento, perché è composto da tanti elementi . Parliamo della batteria jazz, naturalmente.
“Diciamo innanzitutto che la batteria Jazz è già più o meno una sintesi rispetto alle batterie più grosse dei batteristi pop, Heavy Metal e via dicendo: è un set abbastanza ridotto, nel quale non si può prescindere comunque da rullante, prima di tutto, e cassa. Così come non si può prescindere da un piatto almeno e da un hi – hat o charleston, oppure, per usare una definizione un po’ arcaica, dai “piatti a pedale”, che sono alla sinistra del rullante e che si suonano con il piede sinistro. Dopo di che è facile aggiungere i tamburi. Se ne possono aggiungere molti, ma di base occorrono almeno rullante, tom tom e timpano”.

batteria definitiva

Puoi spiegarci la funzione di ogni elemento della batteria?
“Bisogna partire dall’assunto che la batteria di per se è un assemblaggio. Se pensi a una banda, una persona suona la cassa, una i piatti, una il rullante, e così via. Una volta assemblati, stabilire i ruoli reciproci di questi elementi è difficile, è come se si dovessero stabilire i ruoli dei tasti di un pianoforte. La cassa ha un suono più grave, si suona con il piede e dà gli appoggi, ma a volte anche gli accenti. Altre volte stabilisce un groove (per “groove” si intende una sequenza ritmica di base, che si ripete ogni battuta e che connota il pezzo, n.d.r. ) molto “dritto” e quindi suona sempre in battere fornendo una sonorità grave, un groove più definitivo rispetto al rullante, con il quale invece si compiono quelle che definirei delle “finezze”. Di certo nella batteria moderna cassa e rullante sono, devono stare assolutamente insieme: si danno botta e risposta e creano groove ben precisi, fondamentali, di base.

La base ritmica, insomma…
“Si la base ritmica! Per quanto riguarda il Jazz, poi, c’è il piatto alla destra del batterista. Nel Jazz il piatto è fondamentale. Con piatto e rullante si può accompagnare un brano anche senza cassa, volendo. Si può fare un accompagnamento scandendo sul piatto i colpi dello swing. E’ la base del Jazz.

Che importanza hanno le bacchette e quanti tipi ne esistono?
“Con le bacchette ci si può sbizzarrire: ne esistono di tutte le lunghezze, di tutti i pesi, di tutti i tipi di legno. Il più usato è l’ Hickory che è una sorta di noce americano, duro. Poi l’ acero, ad esempio, usatissimo…”.

Quindi dalla durezza della bacchetta dipende il suono…
“Si, certo. Conta molto anche la forma della punta: se la punta è più piccola i piatti, i tamburi, assumono un suono più scuro… se è più grossa il suono è più chiaro. Al di là del peso della bacchetta poi, quando hai un suono più chiaro o più scuro vai a compensare con il tipo di piatti che hai scelto. Comunque bisogna sempre tenere a mente che conta moltissimo anche il corpo. Il nostro corpo suona insieme alla bacchetta. E’ da questo insieme di fattori e dal corpo del batterista che si stabiliscono le sorti del suono di ognuno”.

Che altre bacchette esistono?
“Le spazzole, una sorta di scopettine di metallo, con le quali si ottiene il suono caratteristico dello strusciato sul rullante, spesso usato nell’ accompagnare le ballad . In realtà si possono usare anche a prescindere dalle ballad. E poi ci sono i mallet, con il feltro,che hanno un suono molto scuro , arnesi se vogliamo un po’ più da timpani. Inoltre si possono usare anche le bacchette per vibrafono, con la punta un po’ più dura di quelle per il timpano. Io le uso poco . Uso bacchette spazzole e mallet di feltro”.

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Casa del Jazz: guida all’ascolto a cura di Gerlando Gatto

casa del jazz

Ultimo appuntamento, mercoledì 29 maggio, alla Casa del Jazz per il terzo ciclo di guide all’ascolto dedicato agli standards , condotto sempre da Gerlando Gatto. Gatto sarà affiancato sul palco da un trio proveniente da Bologna, composto da Lorenzo Paesani al piano, Luca Dal Pozzo al contrabbasso e Dario Mazzucco alla batteria.

I tre eseguiranno un original di Dal Pozzo intitolato “Sevenths Dance”, lo standard “How about you?” di Freed e Lane e soprattutto tre brani tratti dal vastissimo repertorio di Wayne Shorter: “Witch Hunt”, “Pinocchio” e “Nefertiti”, brani contenuti nel loro eccellente album “Wayne’s playground” dedicato per l’appunto al grande sassofonista.

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I nostri CD. Jano Quartet – “Distante” – ViaVenetoJazz WJ 079

janoUna forte identità di gruppo (Jano Quartet) si incontra con un’altrettanto robusta personalità, quella del trombettista Luca Aquino. Il gruppo ha nel pianista (con uso di elettronica) Emiliano D’Auria un prolifico compositore (sei brani su dieci) ma al repertorio originale del quartetto contribuiscono anche Gianluca Caporale (ance), Amin Zarrinchang (contrabbasso), Alex Paolini (batteria ed elettronica) nonché l’ospite-trombettista che sa manipolare con originalità i propri suoni.

Anche “Distante” può essere considerata una musica del postmoderno ma non nel senso manipolatorio ed omogeneizzante del termine. Nella scrittura, nell’esecuzione, nei soli, nelle mutazioni elettroniche affiorano spesso lo scarto del linguaggio ed una certa poesia. Musica, quindi, consapevole del passaggio di tempi e stili (di musica e di vita) quella dello Jano Quartet e di Luca Aquino, che sa essere folgorante e rivelatoria.

L’improvvisazione a due voci di “Marching of Thousand People” è chiara in questo senso, come il tema vellutato e melanconico (scandito sul rullante) che la segue. I brani dell’album non ripetono formulari o patterns: i modelli di riferimento sono chiari ma la loro lezione è creativamente tradita senza rimpianti, piuttosto con lucida consapevolezza perché “The World Is Changing Hertz” (voltaggio, velocità, potenza ma la parola inglese suona come “cuore”). Aquino – uno dei più creativi artisti della nuova generazione – dà un importante apporto al discorso del gruppo ed il suo “Sopra le nuvole” è uno dei vertici dell’album.

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I nostri CD. Roy Panebianco – “Soulside” – Picanto Records PIC029

panebiancoSarebbe assurdo voler costringere il jazz e le musiche nere dentro funzioni ed estetiche unidirezionali. Dopo un secolo di esistenza – almeno per il jazz – è facile imbattersi in revival, operazioni postmoderne, risignificazioni…
In “Soulside” il chitarrista (e leader) Roy Panebianco è autore di otto brani su nove (“Cloks” è dei Coldplay); dalla sua parte ha il tenore di Daniele Scannapieco che, come un sassofonistico Re Mida, fa risplendere tutto ciò cui si approccia. Pieno di “groove” è l’Hammond di Leonardo Corradi mentre la batteria di Fabio Accardi è versatile e adatta alla scansione dei brani.

Fin dal primo, cinetico titolo (“Gaia”) si respira un’atmosfera in cui si tessono i fili della fusion, del soul, del jazz, del lounge, del rock-blues e del funky con grande freschezza. Difficile trovare elementi di novità ma il “modernariato sonoro” di Roy Panebianco, da “N.Y. Dream” ad “Irish Taranta”, ha una sua efficacia artigiana, con qualche caduta di tono come nella rilettura dei Coldplay.

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