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SomewhereKeith Jarrett è sicuramente uno dei più grandi musicisti che la storia del jazz ci abbia regalato. Dopo Bill Evans è stato forse l'unico a saper dare nuova identità al trio pianoforte, contrabbasso, batteria assieme agli incredibili Gary Peacock e Jack DeJohnette. Oramai da molti anni Jarrett non sbaglia un colpo, almeno discografico…ché talvolta qualche esecuzione live non è stata grandiosa come al solito. Ma c'è di più, c'è la straordinaria padronanza tecnica, esecutiva, emozionale con cui Jarrett passa senza problema alcuno dal jazz alla musica colta. Ed è proprio questo aspetto che vogliamo sottoporre alla vostra attenzione segnalandovi due album del pianista di Allentown.

“Somewhere” – ECM 2200” è stato registrato dal vivo l'11 luglio del 2009 durante una performance alla KKL Luzern Concert Hall. Il “trio delle meraviglie” affronta sei standard e due originals dello stesso Jarrett, e sembra non sia trascorso un solo giorno da quell'oramai lontano 1983 quando i tre decisero di costituire un combo che sarebbe rimasto nella storia del jazz. Jarrett si muove con straordinaria leggerezza accarezzando la tastiera come suo solito senza tuttavia trascurare , ove necessaria, quella forza percussiva che tutti sappiamo far parte del suo enorme bagaglio tecnico.

Ovviamente il suo è il classico ruolo del “primus inter pares” in quanto Peacock e DeJohnette hanno gli spazi necessari per esprimere appieno la propria sensibilità in un contesto di improvvisazione collettiva che vede i tre dialogare a occhi chiusi, senza la minima esitazione, ben sapendo l'uno cosa faranno gli altri due. E il discorso vale sia quando il trio si misura con gli standard sia quando esegue i pezzi di Jarrett come “Deep Space” che apre l'album e che sfocia, senza soluzione di continuità, in uno splendido “Solar” di Miles Davis. Dopo di che si entra nel territorio forse più  caro al trio, vale a dire quell'immenso patrimonio musicale costituito dagli standard. Ecco quindi “Stars fell on Alabama” eseguito su tempo medio  con Jarrett che dopo aver tenuto a lungo il tema si incammina lungo inarrivabili sentieri di improvvisazione mentre “Between the devil and the deep blue sea” presenta un più marcato andamento ritmico. L'atmosfera ritorna molto più pacata con il primo omaggio a Leonard Bernstein, “Somewhere” da “West Side Story”: ancora una volta da apprezzare il lirismo di Jarrett che sottolinea ogni sfumatura della splendida partitura “bernsteiniana” magnificamente coadiuvato dal di Gary Peacock con DeJohnette sempre magistrale nella sua musicalità; a circa sei minuti dall'inizio, ancora una volta senza soluzione di continuità, “Somewhere” si trasforma in “Everywhere”, il secondo brano di Jarrett: il pezzo ha un andamento circolare e viene giocato soprattutto su un sapiente uso delle dinamiche. Segue il secondo omaggio a Bernstein con “Tonight” il cui usuale andamento ritmico è completamente stravolto dai tre che chiudono il concerto offrendo come bis un meditato e toccante “I thought about you”.

hymns-spheres“Keith Jarrett Organ / Hymns   Spheres – ECM 1086/87” è stato registrato ben 37 anni fa e già pubblicato a suo tempo su un doppio LP. Si tratta, in effetti, del celebrato incontro di Keith Jarrett con il Trinity organ dell'abbazia benedettina di Ottobueren del 1976, solo che questa volta l'esibizione, tratto dai nastri originali analogici, è presentata nella sua interezza. “Nessuna sovra-incisione né abbellimento tecnico è stato utilizzato, ascoltiamo solamente il suono dell'organo nella sua purezza”. E l'esperienza è sicuramente di quelle che lasciano il segno. Nonostante nel 1976 Jarrett avesse già raggiunto livelli di grande popolarità grazie soprattutto ad album quali The Köln Concert (ECM, 1975) uno dei dischi più venduti in assoluto nella storia del jazz, tuttavia questo “Hymns   Spheres” contribuì non poco a meglio definirne la figura come artista a tutto tondo, al di là di qualsivoglia classificazione di genere. Jarrett si pone come grandissimo improvvisatore non solo con riferimento al materiale tematico ma anche con riguardo al suono, un suono da lui fortemente voluto, ricercato e modulato dal felice incontro tra mente, mani e piedi di un grande improvvisatore. Di qui un'assoluta originalità interpretativa che fa giustizia di quanti , in occasione dell'uscita nel 1976, avevano voluto vedere nell'esecuzione “jarrettiana” una qualche diretta discendenza da Ligeti, Messiaen e Reger. In particolare l'esecuzione dei due “Hymns” (“Of Remembrance” e “Of Release”) appare maestosa nella sua purezza, con una limpidezza di suono difficilmente riscontrabile in altre esecuzioni. Insomma un Jarrett colto in uno dei momenti più alti della sua creatività.

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