Un ricordo del grande sassofonista

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massimourbaniAll’improvviso – forse – tra il 23 ed il 24 giugno di vent’anni fa moriva Massimo “Max” Urbani. Trentasei anni, una tecnica strumentale eccellente coniugata con un’ispirazione autentica ed esistenziale, l’altosassofonista era sulla scena del jazz italiano ed europeo da almeno più di due decenni. Ora in posizione centrale ora marginale – e il suo talento non fu valorizzato sempre come avrebbe dovuto – Max era comunque un punto di riferimento per una vasta cerchia di jazzisti e in pochi immaginavano la sua fine in un periodo migliore di altri: stava per diventare padre, una decina di giorni prima aveva suonato ad Orvieto, c’era un tour pronto in ottobre ed un gruppo di amici musicisti stava mettendo su un gruppo di fiati appositamente per lui. La dose di eroina che si iniettò nella sua casa nel quartiere Monte Mario, cui era profondamente legato, fu letale e a nulla servì il ricovero nel vicino ospedale S.Filippo.

A mantenere viva la memoria di Max ci ha pensato, negli anni e con lucida passione, l’”Associazione Massimo Urbani” (con Mauro Verrone e Paolo Tombolesi tra gli animatori). A ricostruire di recente la carriera e la musica di Massimo Urbani si sono adoperati Paolo Carradori su “Il Giornale della Musica” di giugno con un acuto articolo, Libero Farnè con un dossier di dieci pagine pubblicato (ancora in giugno) dal mensile “Musica Jazz” (con una ricca appendice on-line di interviste a vari jazzisti, più un Cd registrato in duo con Mike Melillo per la Philology nel 1987). Radiotre Suite Jazz (curata da Pino Saulo) presenta, dal canto suo, un Omaggio a Massimo Urbani (Roma, 8 maggio 1957 – Roma, 24 giugno 1993) nella sala A di via Asiago proprio il 24 giugno, a partire dalle ore 21. Parteciperanno Maurizio Urbani ‘Animali Urbani’ Quintet (Maurizio Urbani, sax tenore; Tiziano Ruggeri, tromba; Federico Laterza, pianoforte, tastiere; Luca Pirozzi, basso elettrico; Alessandro Marzi, batteria); duo Luigi Bonafede – Mauro Verrone (Luigi Bonafede, pianoforte; Mauro Verrone, sax contralto, sax soprano); trio Ivano Nardi-Eugenio Colombo-Marco Colonna (Ivano Nardi, batteria; Eugenio Colombo e Marco Colonna, ance); Rosario Giuliani Quartet (Rosario Giuliani, sax contralto; Roberto Tarenzi, pianoforte; Alex Boneham, contrabbasso; Marco Valeri, batteria). Sono previsti interventi dello storico del jazz Adriano Mazzoletti e di Carola De Scipio, autrice di un inteso libro testimoniale (“L’avanguardia è nei sentimenti. Vita, morte, musica di Massimo Urbani”, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, 1999).

Vorrei, quindi, provare a ricordare Massimo Urbani in modo frammentario e disorganico, con delle citazioni e delle riflessioni che userò (ho usato) in “To Max with love (da un’idea di Ivano Nardi”; si tratta di una performance (21 giugno, ore 21, Museo Laboratorio della Mente a S.Maria della Pietà, Roma, nel cuore del quartiere in cui Max è nato e cresciuto) che vede (ha visto) le musiche di Nardi, Eugenio Colombo e Silvia Bolognesi interagire dal vivo con le immagini di Massimiliano Carboni e le parole di Carola De Scipio e di chi scrive.

“I fiori di Monte Mario, una storia che ci appartiene, vita morte e musica di Massimo Urbani”. (I.Nardi, M.Carboni)

“E’ vero, combino tanti guai, ma perché non parlano dell’amore che ho dato a tutti i musicisti?”. (Massimo Urbani) 

Voci di jazzisti italiani appena dopo la sua morte (da “Bollettino dell’Associazione Musicisti di Jazz”, n° 6, giugno – settembre 1993).

“La cosa difficile da accettare è che mentre noi ci sforziamo goffamente di scrivere degli elogi funebri, magari per parlare di noi stessi, Massimo se ne è andato per davvero, malamente e per sempre e non sentirà mai più il suono del suo sassofono né le voci dei suoi amici, né il rumore della città  né niente e a noi non resta che il ricordo di questo eterno ragazzino dolce, inaffidabile, tenero, generoso, insopportabile e geniale che a volte ha saputo farci provare emozioni intensissime.

Gli volevo molto bene e mi mancherà molto”. (Enrico Rava)

“Caro Massimo, si può riassumere una vita in tre sole parole? Forse non è così difficile. Ho pensato a una canzone di Cole Porter che è anche il titolo di un tuo bel disco: “Easy to Love”. “Facile da amare”… Questo eri tu! Addio, piccolo grande Max!” (Enzo Pietropaoli).

“(…) Il vuoto lasciato da Massimo Urbani potrà essere colmato soltanto da una nuova, prorompente generazione di giovani musicisti portatori di una nuova coscienza artistica ed etica (…)” (Giorgio Gaslini).

“Caro Massimo, hai esplorato le strade del cuore con una tale veemenza e passione da finire in uno stupido vicolo cieco. Perché per gli esploratori come te non ci sono mai state risposte sufficienti. Qui i tuoi amici non si rassegneranno mai alla tua assurda, veramente prematura scomparsa. Jazz! Per sempre e dovunque tu sia” (Maurizio Giammarco).

“Ci ha mostrato l’umiltà e la passione di un improvvisatore eccelso.Il suo suono ci ha raggiunto nella nostra essenza più intima, sorprendendoci sempre (…)” (Mauro Verrone).

“Non ho mai incontrato un musicista per cui fosse così facile e naturale suonare come per gli altri respirare” (Umberto Fiorentino).

“(…) Ti ricordo – e non sono la sola – in prima fila che ti dondoli e dice “yeah man!!” e sorridi e incoraggi chi incomincia, e parli con ognuno, e ti ricordi, sempre, di tutti (…)” (Fabrizia Barresi).

“Massimo era veramente unico. Per me rappresentava qualcosa di eterno e immutabile, l’immagine stessa della forza e della fragilità. Non ho mai conosciuto nessuno così fuori dal mondo eppure così capace di essere dentro la vita e la poesia, con quella sua carica di onestà e naturalezza. Riusciva sempre ad essere una sorpresa con la sua memoria incredibile e la profondità delle sue parole.Il suo suono era un dono divino e vibrerà per sempre alto insieme a quello dei grandi” (Furio Di Castri). 

24 giugno oggi e vent’anni fa (parole e riflessioni scritte o meno).

“(…) Urbani è stato uno straordinario musicista e uno dei pochi e autentici artisti di origine proletaria, uno dei pochi che ha maledettamente vissuto sulla sua pelle le contraddizioni sociali ed esistenziali. Se fosse nato negli anni ’70, probabilmente invece di un sax alto avrebbe impugnato un microfono e sarebbe stato uno di quei rappers delle periferie italiane che parlano chiaro e ritmano tanto (…)”. (Luigi Onori, “L’urlo disperato del sax”, in “il manifesto” de 25/6/1993, p.15)

L’Associazione Musicisti di Jazz (Amj) si adoperò allora per il funerale di Massimo, un funerale a Nostra Signora di Guadalupe, una chiesa costruita su una piazza che è un po’ il cuore di Monte Mario. Io ero là, spinto dal bisogno di testimoniare non so bene neppure cosa. Nell’edificio religioso si strinsero attonite attorno a Max la comunità dei jazzisti italiani – orfana di uno dei suoi figli più ricchi di fantasia e talento – e quella del suo quartiere. La gente di Monte Mario aveva visto crescere in fretta quel ragazzino che dalla banda di Monte Mario si trovò proiettato poco più che adolescente a fianco di Mario Schiano, Giorgio Gaslini, Enrico Rava e poi gli Area e mille altre esperienze. In quella chiesa, però, c’era un silenzio terribile, opprimente, carico di dolore, di senso di colpa, di rimpianto. Gli amici di Massimo suonarono a Nostra Signora di Guadalupe quando la bara uscì, interrompendo quel silenzio che era il contrario della musica vertiginosa e della comunicatività inarrestabile dell’altosassofonista. (Luigi Onori)

“(…) Massimo Urbani è nel 1972 tra gli uditori del corso di jazz tenuto da Giorgio Gaslini al conservatorio romano di Santa Cecilia. Qui incontra i giovani musicisti capitolini che avrebbero dato al jazz italiano una svolta importante: Maurizio Giammarco Tommaso Vittorini, Danilo Terenzi… tutti amici che ora lo piangono per quel suo senso di amicizia e per quell’umanità che erano parte integrante del carattere di Urbani. La veemente  verve solistica, lo slancio improvvisativo, la capacità di riversare l’energia vitale nello strumento rendono l’altosassofonista da subito un protagonista (…)”. (L. Onori, “L’urlo disperato del sax”, in “il manifesto” de 25/6/1993, p.15)

Preferirei il silenzio e ascoltare la musica che Urbani ci ha lasciato. Ho, tuttavia, la responsabilità della parola e, seppure imperfetta, in qualche modo mi (ci) aiuta a fissare il ricordo, a combattere il dolore. (Luigi Onori) 

Massimo Urbani attraverso le sue parole

“Da ragazzo mi piacevano molto la biologia e lo studio del cosmo, ma probabilmente, d’istinto, avrei fatto il calciatore, il centrocampista,  comandare il gioco”. (Intervista comparsa su “Blu Jazz”, n2, 1989)

“A mio avviso ci sono due componenti molto importanti: il cuore e la tecnica. Quest’ultima ti permette di non castrare nessuna possibilità, uno può anche decidere di suonare cinque note anziché venti, ma deve avere la possibilità, se lo vuole, di farne anche venti.Insomma la tecnica, se usata bene, ti permette meglio di allargare il cuore”. (intervista sopra citata).  Luigi Onori

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