Tempo di lettura stimato: 1 minuto

Una testimonianza discografica di come la classe e l'esperienza di un affermato musicista americano – il batterista Bob Gullotti – si possa incontrare con la qualità di giovani solisti italiani, in particolare con l'altosassofonista (e compositore) Carlo Conti ed il contrabbassista Vincenzo Florio. Gullotti è docente del famoso Berklee College of Music di Boston ed il suo nome è legato a quello del trio Fringe (con John Lookwood e George Garzone) a cui Lamar Tribe sembra, almeno in parte, ispirarsi. Senza il supporto di strumenti armonici, Conti, Florio e Gullotti interpretano un repertorio jazzistico che spazia da Duke Ellington fino a Jaco Pastorius, passando per Monk, Mingus, J.Heath, Ornette Coleman e più “Once in A While” di Michael Edward e due brani originali.

L'organico rende la musica più fluida e libera, aumentandone il coefficiente di rischio: i ruoli degli strumenti non sono vincolati e tutti – come nel trio di Coleman degli anni '60, con David Izenzon e Charles Moffett –  sono solisti e accompagnatori allo stesso tempo. L'influenza del padre del free (insieme a quella parkeriana, seppur in tono minore) si avverte anche nei brani scritti da Conti come “23/2” e “Circolo Letterario il Locomotore”, cui partecipa il Manlio Maresca. Pur proponendo pagine di repertorio, Lamar Tribe non si presta ad operazioni di nostalgia mainstream e tratta i materiali tematici, pur nel rispetto e nella conoscenza, con la necessaria libertà.

Romano, formatosi al conservatorio di Perugia sotto gli insegnamenti di Mario Raja, Carlo Conti ha trentaquattro anni e guida i gruppi Rossomalpelo, Adamo Jazz Quartet ed il duo Conti – Ruggero.

Articoli scelti per te:

Ti è piaciuto l'articolo? Lascia un commento!

Commenti

commenti

Shares