I nostri CD. I Compani “Garbo and Other Godesses of Cinema”

La “piccolo orchestra” olandese de I Compani – diretta dal sassofonista (soprano e tenore) Bo van de Graaf – è una formazioni di culto, nata nel 1985. Erede di organici storici come ICP e Willem Breuker Kollektief, la band lavora fin dai suoi esordi su repertori che testimoniano un’accentuata e manifesta passione per il cinema (cominciarono con Fellini e Rota). Nell’ultimo lavoro van de Graaf firma una serie di composizioni dedicate a Greta Garbo, Mae West, Brigitte Bardot, al personaggio di Barbarella… In quest’anomala suite I Compani si servono anche di “Et Dieu… créa la femme”, della “Danza Sacra” di Giuseppe Verdi e de “Le Notti Bianche” di Nino Rota (c’è anche un brano dedicato a Sun Ra). Oltre alla “musica a tema” di ellingtoniana memoria, il gruppo diretto da van de Graaf piace per la ricerca timbrica, per il polistilismo, la brillantezza degli arrangiamenti e la capacità di amalgamare materiali eterogenei senza tuttavia tradire uno spirito jazzistico che, in chiave europea, resta alla base della loro musica.

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I concerti alla Casa del Jazz

Kurt Elling, Roma, 8 luglio 2013

Kurt Elling (di Christian Lantry)

Kurt Elling (di Christian Lantry)

Questa volta il tempo è stato clemente e l’ormai consueto acquazzone che si abbatte su di Roma ogni sera e che ha portato alla cancellazione di ben tre concerti consecutivi che si sarebbero dovuti tenere alla Casa del Jazz, ha deciso di anticipare la sua performance e si è abbattuto sulla capitale verso le 16:00. La violenza degli scrosci è stata tale che l’atteso concerto di Kurt Elling è rimasto in forse fino alle 19:30 ma alla fine è stato confermato e tutto si è svolto nella normalità. L’artista di Chicago che nel corso della sua carriera ha mietuto successi su successi si è potuto esibire alla guida del suo quintetto che annoverava il suo fido collaboratore Laurence Hobgood al pianoforte, John McLean alla chitarra elettrica, lo spagnolo Jeff Pedraz al contrabbasso e Bryan Carter  alla batteria. Il concerto ha confermato pregi e difetti dell’Elling dell’ultimo periodo. Se da una parte, infatti, il vocalist è dotato di un grande talento, di un’estensione vocale di quattro ottave assolutamente sbalorditiva, di una capacità di tenere il palco invidiabile, di una simpatia contagiosa che si trasmette immediatamente al pubblico, di una padronanza della tecnica impareggiabile, dall’altra mostra un’eccessiva tendenza alla spettacolarizzazione della performance, propone una selezione del repertorio che meriterebbe forse una maggiore cura, così come più attentamente dovrebbe selezionare i componenti della band che lo accompagna. Elling non è il solito cantante che si accontenta di una batteria suonata con le spazzole, un pianoforte che suggerisce gli accordi e di un contrabbasso che scandisce il ritmo.

L’artista di Chicago, invece, cala la sua vocalità all’interno del gruppo, si confronta su base paritetica con i vari strumenti e diviene lui stesso uno strumento aggiunto. Non occorre sottolineare che le incredibili qualità vocali e interpretative di Elling devono trovare altrettanta rispondenza nei musicisti del gruppo.  Ma purtroppo Elling sovrasta di una spanna la sua band con la sola eccezione di Hobgood che è sembrato l’unico musicista all’altezza del leader. Forse non è un caso che proprio Hobgood abbia iniziato il concerto con una lunga introduzione solistica al pianoforte che ha preceduto una splendida “Come Fly With Me”. Già da questo pezzo si è potuta apprezzare in pieno la tecnica del cantante. Un attacco da crooner navigato, una serie di chiaroscuri, la voce resa roca per un secondo per poi limpida, l’emissione perfetta e controllatissima. Diversamente da molti dei suoi colleghi Elling mantiene il microfono a una distanza costante dalla bocca e quando vuole creare degli effetti prospettici lo fa controllando l’emissione stessa e non avvicinando o allontanando il microfono da sé. “Grazie essere qui per ascoltare buon jazz” dice rivolto al pubblico che non ha bisogno di essere blandito per essere conquistato.

I brani si susseguono, alternando composizioni di repertorio e standard internazionali a canzoni contenute nella sua ultima realizzazione discografica intitolata “1619 Broadway: The Brill Building Project” con cui, ne siamo certi, mieterà ancora award e riconoscimenti vari. Uno dei momenti più alti della serata coincide con la toccante interpretazione di “A House Is Not A Home” portata al successo da Dionne Warwick. Elling regala alla platea un’interpretazione memorabile, ricca di drammaticità mostrando di vivere la canzone in maniera assolutamente personale e libera da raffronti con il passato. Verso la metà del concerto, però, l’abitudine statunitense di trasformare un concerto in uno show internazionale, buono per tutti i pubblici, prende il sopravvento. Dapprima Elling si avventura in “For Luisa” di Antonio Carlos Jobim, una canzone lenta e ricca di sentimento, dove la sua band comincia a mostrare i suoi limiti. Non scopriamo certo oggi che il senso ritmico anche dei più provetti musicisti statunitensi è in seria difficoltà alle prese con le insidiose bossa nova. Se il jazz si è fuso con il samba per dar vita alla bossa, non per questo il nuovo genere si mostra docile e arrendevole al cospetto del genitore nordamericano. Ancora una bossa nova, “Estate”, firmata da Bruno Martino, viene interpretata come di fronte a una platea di Las Vegas e si trasforma in una sbiadita cartolina. Apprezzabile però lo studio che Elling ha effettuato per ottenere una pronuncia quantomeno accettabile dell’italiano. Nel brano interviene come ospite il sassofonista Rosario Giuliani che esegue un assolo dal timbro tagliente, congruo con lo spirito originale del brano. Segue una personale versione di “I Only Have Eyes For You” che Giuliani arricchisce con un altro assolo. Questo si trasforma in un sensazionale duetto con Elling che, a suon di scat, sciorina scale vertiginose come se anch’egli avesse un sax alto.

Il gran finale è lanciato affrontando il repertorio di Stevie Wonder con una “Golden Lady” spettacolare, arricchita da un altro scat vertiginoso e da un assolo di batteria di Carter assolutamente non banale. Il gruppo sta ancora suonando quando Elling abbandona il palcoscenico. Il pubblico lo richiama a gran voce: il bis che il cantante regala alla platea è “La Vie En Rose”, che però mostra gli stessi difetti degli altri brani non statunitensi interpretati nella serata. Il pubblico, comunque, è letteralmente conquistato ed Elling si presta ad essere attorniato dai fan, a farsi fotografare assieme a loro, a scambiare qualche parola, a firmare decine di autografi.  Anche questa disponibilità estrema fa parte del personaggio Elling, un artista che bisogna accettare così, luci ed ombre, apprezzando quei bagliori di grande musica che i suoi spettacoli contengono e accettando quelle cadute di tono che ad altri artisti non sarebbero certo perdonate.

Marco Giorgi
Per www.red-ki.com

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