Hiromi, la tecnica pianistica, il virtuosismo e due confessioni da fare
Hiromi: pianoforte e tastiera
Anthony Jackson: bass guitar
Steve Smith: batteria
Comincio questo mio articolo con una confessione : a me non piace molto Hiromi . La trovo un po’ troppo tecnica, la trovo un po’ troppo incentrata su virtuosismi di certo eccezionali L’ anno scorso l’ avevo vista in una location a dir poco dispersiva, ed ero lontanissima dal palco: ero rimasta strabiliata dai suoi numeri, dalla sua energia ma anche un po’ delusa da quel suo lato un po’ circense che toglieva spazio all’ espressività che ci si aspetta quando si ama il lato più profondo del Jazz e del quale in Hiromi non trovavo molte tracce.
Ieri ho ritrovato Hiromi ad Atina. La location è diversa siamo in una bellissima piazza a misura d’ uomo, il palco è vicino al pubblico, Hiromi appare ed è piccolina, sorridente, umana, direi quasi.
Si siede al pianoforte e comincia a suonare con un’ energia pazzesca, brani virtuosistici di una difficoltà tecnica veramente incredibile, dando impulsi continui e tenendo le redini di un gioco ritmico – armonico – melodico in continuo divenire, tenendo in pugno, con quelle manine piccolissime milioni di note ed anche i suoi musicisti.
Sgranella idee, tante, tantissime idee, una dopo l’ altra, non c’è mai una suggestione ripetuta nei brani e nelle suite che propone. Ci sono decine di riferimenti a musicisti, standard, stili (molti dei quali di sicuro saranno sfuggiti a me per prima) ma non posso dire che il suo concerto sia stato un arido collage dimostrativo della sapienza tecnico – musicale di Hiromi.