Anders Jormin: l’importanza del suono nel jazz svedese

Colpo grosso dalla Svezia: il nostro corrispondente, Luigi Bozzolan, ha intervistato per noi il grande contrabbassista Anders Jormin, uno dei personaggi oggi più in vista del jazz internazionale. Ecco qui di seguito domande e risposte. (GG)
Anders Jormin2Anders, tu sei uno dei più importanti ed influenti  musicisti di Jazz moderno della scena scandinava. Ci daresti una panoramica della tua carriera dagli esordi fino ad oggi?

E’ una lunga storia…mio padre era una pianista di Jazz. Io ho ascoltato sui dischi il Jazz degli anni ‘50 sin dall’infanzia e suonavo a casa standard jazz con mio padre ogni sera. Ho iniziato a suonare prima su una batteria fatta in casa, poi sono passato al basso elettrico ed infine al contrabbasso. Mi sono Diplomato molto giovane presso l’Accademia di Musica (Goteborg ndr) studiando anche pianoforte classico e seguendo un percorso didattico molto stimolante e versatile nei generi. Dopo di che ho iniziato a maturare una lunga serie di esperienze musicali davvero incredibili. Ho avuto il privilegio di collaborare con alcuni dei più grandi musicisti mondiali, sarebbe impossibile citarne alcuni ed escluderne altri. Sarò sempre grato di aver suonato e registrato con Elvin Jones, Don Cherry, Joe Henderson; incredibili musicisti di Jazz che non sono più con noi…sono sempre concentrato sul presente, ma a volte le persone ed i colleghi mi ricordano tutte le cose magnifiche alle quali ho preso parte in passato!”.

Da qualche anno il Jazz contemporaneo scandinavo inizia ad imporsi al pubblico Italiano; questo grazie anche a qualche eccelente Label come ECM ed ACT. Mi riferisco in particolare all’EST trio, Bobo Stenson Trio, Jon Balke e…Anders Jormin. Cosa pensi riguardo questo crescente fenomeno culturale?

La situazione della Musica Improvvisata in Scandinavia è stata da sempre molto buona. Già 40 anni fa i musicisti avevano la possibilità di esplorare nuovi linguaggi musicali ispirandosi al Jazz americano senza necessariamente copiarlo, piuttosto sviluppando nuovi approcci  all’improvvisazione, includendo nuovi elementi musicali. La politica dei paesi scandinavi ha sempre supportato la musica improvvisata in maniera concreta e l’Improvvisazione qui è considerata una vera e propria forma d’Arte…non a livello della musica classica, comunque sempre più supportata e promossa. I musicisti emergenti cosi sono stati messi nelle condizioni di poter lavorare professionalmente nonostante le possibilità di esibirsi fossero sempre limitate in aree piccole come i Paesi scandinavi. Le scuole di Musica godono di una buona reputazione. Il fatto che i Paesi  si trovino in un area relativamente limitata e concentrata ha fatto si che i pochi musicisti abbiano potuto creare un atmosfera familiare fra loro, dove c’è una facilità a partecipare e collaborare a progetti reciproci ed a sperimentare  con curiosità anche attraversando barriere di generi e di stili che in altri Paesi sono insormontabili. Tutto questo, a mio avviso, ha profondamente sviluppato una qualità nella nostra concezione di musica…ci sono molte spiegazioni…ECM ed ACT (ed altre labels) hanno divulgato chiari e definiti aspetti della nostra musica. Anche altre realtà di musica improvvisata contemporanea hanno dato vita a nuove etichette e molti incredibili musicisti scandinavi possono essere cosi ascoltati ovunque”. 

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3 Agosto – Brötz Festival 2013 – Hjartum (Sweden)

Stage

Il Brötz Festival è stato una lunga giornata di musica, istallazioni e performances, che lo staff del club svedese organizza in luogo davvero incantato. Siamo a Hjartum, una sessantina di chilometri ovest di Gotheborg; seguendo il fiume Älv, si arriva in aperta campagna. E’ questa, forse, la faccia più “swedish” di questo Paese, dove la sera si possono seguire le scie luminose delle barche a vela che risalgono il fiume fino a Nord.

Il Festival è anche, e soprattutto, il modo per celebrare le attività e la presenza di questa associazione che da 25 anni si occupa di divulgare l’Improvvisazione in ogni sua forma: Musica, Pittura, Scultura, Poesia e Danza.

La seconda edizione del giovane Brötz Festival è stata da me vissuta in qualità di staff member (come ultimo atto del mio soggiorno semestrale del progetto Leonardo Working with Music 2013) e come pianista. Il Brötz Festival ha tenuto fede alla sua cifra stilistica proponendo un evento decisamente multidisciplinare con concerti, istallazioni, mostre, laboratori on stage in cui scultori ed artisti si sono dati appuntamento sugli immensi campi di grano e di avena per esporre i propri lavori ed incontrare il numeroso pubblico accorso.

Si è infatti trattato di un festival ”itinerante”, dislocato sul terreno di una tenuta agricola dei primi dell’800. I fienili e le stalle, ormai in disuso, dunque sono diventati le sedi indoor per i concerti, le mostre e le esibizioni degli artisti. I campi di cereali hanno ospitato istallazioni che si spingevano fin dentro la foresta ed esposizioni a cielo aperto. Il tutto scandito da un preciso programma di eventi che permettevano a tutto il pubblico di esplorare liberamente l’area del Festival andando ora ad ascoltare un set nella sala della musica, ora ad ammirare sculture ed oli su tela in un campo di colza. Come ogni mercoledì di rito durante il periodo invernale, il Brötz, anche in questa occasione, ha potuto fare affidamento sulla totale collaborazione di tutto lo staff, costituito in maggior parte dagli stessi artisti. Questo non voglia essere “screditante” per la figura dell’Artista, ma anzi, pone sotto una luce positiva la totale e completa libertà e serenità di considerare un Artista anche colui che magari il giorno prima del festival prepara con martello e chiodi il bancone del Bar. Ecco la Svezia e la sua lezione di vita in campo artistico ed umano…

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In ricordo di Cedar Walton

cedar-walton

Nel giro di pochi giorni – il 18 e il 20 agosto – quest’estate 2013 ha visto la scomparsa di tre importanti protagonisti del jazz: il pianista Cedar Walton, morto a settantanove anni nella sua casa newyorkese di Brooklyn; lo scrittore, intellettuale e saggista afroamericano Albert Murray (scrisse, tra l’altro, a quattro mani con Count Basie l’autobiografia del celebre bandleader), deceduto novantasettenne tra le mura della propria abitazione a New York; la pianista britannica, naturalizzata statunitense, Marian McPartland che è morta a novantacinque anni il 20 agosto nella sua residenza di Port Washington (NY).

La scomparsa che più amareggia e colpisce è quella di Cedar Walton, musicista ancora attivissimo venuto meno dopo una breve malattia, secondo quanto dichiarato dal suo manager Jean-Pierre Leduc (e riportato nel blog del “New York Times”). Accompagnatore molto richiesto per bravura, gusto e stile personale (fu a più riprese al fianco di Abbey Lincoln), il pianista dagli anni ’80 “ha favorito come pochi altri l’affermarsi della tendenza neobop ” (François-René Simon) e lo ha fatto costituendo un sodalizio affiatatissimo con il batterista Billy Higgins e supportando – in festival, concerti ed incisioni – solisti del valore di Curtis Fuller, Dexter Gordon, Bobby Hutcherson, Milt Jackson, Harold Land e Frank Morgan. Cedar Walton va altresì ricordato come compositore di brani eseguiti, studiati ed imitati (“Bolivia”, “Fiesta Espanola”, “Mosaic”, “Ojos de Rojo”, “Suite Sunday”, “The Maestro”, “Ugetsu”, “Blues for Alberto” dedicato all’organizzatore italiano Alberto Alberti) nonché come arrangiatore dalle raffinate conoscenze armoniche; non a caso nel 2010 era stato insignito del National Endowment for the Arts (NEA) in qualità di “jazz masters”. Un jazzista, insomma, a tutto tondo che, al di là degli Stati Uniti, era amatissimo in Giappone ed in Europa dove si esibiva spessissimo.

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Una ripresa ancora difficile

sad musicianCari amici,

eccoci ancora qua dopo l’indispensabile pausa estiva. Chi si augurava una ripresa almeno a tinte cangianti si dovrà sostanzialmente ricredere: dal punto di vista economico le cose vanno ancora maluccio, di politica è meglio non parlare… ma non è che il nostro universo di riferimento, il jazz, ci dia poi così tante soddisfazioni. Nel pieno della  calura estiva è esploso lo scandalo dei festival che non pagano, fenomeno ad onor del vero non del tutto nuovo su cui mi riservo di intervenire quando avrò le idee più chiare. La stagione dei festival si sta concludendo con un bilancio tutto sommato negativo per quella reiterata mancanza di progettualità cui abbiamo più volte fatto riferimento e per la reiterata volontà degli organizzatori di puntare sempre sugli stessi nomi pur di non rischiare alcunché (Keith Jarrett docet). E così si va avanti tra proteste generali che purtroppo a nulla approdano.

Protestano, giustamente, i musicisti che – guarda un po’ – vogliono essere pagati per le loro prestazioni; protesta il pubblico che magari vorrebbe ascoltare e vedere qualcosa di nuovo; protestano gli organizzatori che, invece di spremersi le meningi e , se del caso, rinunciare a qualcosa, preferiscono mungere ancora la “vacca pubblica” le cui mammelle si sono però prosciugate; protestano tutti assieme – musicisti, critici, organizzatori, politici – per ottenere una “legge che in accordo con la SIAE e l’ex ENPALS annulli le procedure burocratiche e i permessi per i locali – di qualsiasi tipo – che ospitano chi si esibisce dal vivo” almeno con riferimento ai locali che non possono contenere più di 200 persone; protestano ancora tutti assieme – musicisti, critici, organizzatori, politici – per il modo, veramente assurdo, in cui vengono distribuiti i finanziamenti del F.U.S. (Fondo Unico Spettacolo). Proteste che, fino a questo momento, non hanno sortito effetto alcuno né credo che ne sortiranno se non cambia radicalmente la situazione della cultura in Italia. Ma questo è un discorso molto più complesso su cui mi piacerebbe che i nostri lettori intervenissero.

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