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Giuppi Paone – “The Acadia Session” –

Giuppi Paone si muove su un terreno sperimentale, anche se  non così radicale come Marilena Paradisi di cui parliamo subito dopo. Ecco quindi un album assolutamente particolare per la sua genesi e per la musica che contiene. Il disco è stato registrato nell'agosto del 2012 negli States e rappresenta il frutto di una serie di concerti effettuati dalla vocalist italiana con quattro musicisti del Maine: Carl Dimow ai flauti, Mark Tipton alla , John Clark al basso  e Hayes Porterfield batteria e percussioni. Ma, come ci ha dichiarato la stessa Giuppi, è soprattutto con il flautista che  scatta la scintilla: i due si trovano alla perfezione e quando si  tratta di registrare l'album, la musica  fluisce facile, spontanea, tutt'altro che semplice eppure con una sua forza intrinseca; il gruppo suona senza alcun punto fisso, senza mettersi d'accordo su alcunché basandosi esclusivamente sulle capacità improvvisative dei singoli e sulla straordinaria empatia sviluppatasi all'interno del quintetto. “Il terreno comune –nota acutamente Luigi Onori nelle note di copertina –  è quello non inedito di una musica largamente improvvisata, sperimentale, con riferimenti anche all'ambito contemporaneo”. Così ben sette temi originali si alternano a due noti standard (“What is this thing called love” di Cole Porter e “Lover Man” di Davis, Ramirez, Sherman e un brano tradizionale “When Johnny comes marching home”; tutti i pezzi vengono, comunque, trattati dal gruppo nello stesso modo: improvvisazioni destrutturanti e successive ricostruzioni, “fuori da schemi usuali, nella continua invenzione di un linguaggio comune”. Racconta Giuppi: “Ci siamo messi reciprocamente alla prova, ci siamo sfidati, abbiamo giocato e rischiato, ci siamo ascoltati e abbiamo osato: insomma, abbiamo fatto musica come si dovrebbe fare sempre”.

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