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I NOSTRI CD

Cari amici,

durante queste vacanze il vostro recensore non è stato, certo, con le mani in mano. Approfittando del tempo libero ha  ascoltato molti nuovi dischi che man mano vi presenteremo magari accorpandoli a seconda delle comuni caratteristiche. Cominciamo, quindi, con un nutrito gruppo di CD che hanno in comune il fatto di vedere in primo piano la voce.

Rosalba Bentivoglio – “Only Light Blue” – Aleph (P)2013

Ancora un ottimo album della vocalist catanese Rosalba Bentivoglio coadiuvata da Paul McCandless (l'eccellente polistrumentista fondatore degli Oregon), Alberto Alibrandi sensibile pianista e autore, Claudio Cusmano chitarra e acustica e Franz Minuta vibrafono e marimba. Il repertorio comprende otto brani di cui sei firmati da Rosalba (una in collaborazione con Paul McCandless)  e uno, “La voce” di Alberto Alibrandi.

L'album, prodotto come al solito da Aleph, evidenzia l'eccellente intesa raggiunta dalla cantante con  Paul McCandeless, intesa cementata oramai da lunghi anni di stretta collaborazione. Di qui gli splendidi dialoghi dei primi due pezzi “Giuggio” e “Solaria” in cui la voce di Rosalba si sposa a meraviglia con i sofisticati fiati di Paul. Il quale firma la terza composizione – “Last bloom” – cui la Bentivoglio ha aggiunto un testo in siciliano. Ed è proprio questo connubio a rappresentare la cifra stilistica dell'album, vale a dire la capacità dell'artista siciliana di esplorare territori internazionali senza che ciò voglia significare l'abbandono delle proprie radici. In effetti la Bentivoglio si muove con estrema pertinenza tra Catania e Parigi ma le motivazioni profonde del suo essere artista si trovano sempre nella sua splendida terra: di qui l'uso della lingua sicula, la dolce melodia  intrisa di quella soffusa malinconia così caratterizzante l'animo dei siciliani, quel caleidoscopio di colori e di suoni proprio dell'Isola… il tutto amalgamato da un senso di modernità che abbiamo imparato ad apprezzare in tutte le produzioni della Bentivoglio.

Carolina Bubbico – “Controvento” – Workin Label 03

Una bella carica ritmica. Questo forse il pregio maggiore dell'album di esordio della

giovane pianista, cantante e compositrice Carolina Bubbico (23 anni), album studiato e progettato da Carolina assieme a due apprezzati musicisti pugliesi, Luca Alemanno al contrabbasso e Dario Congedo alla batteria. In effetti alla registrazione, accanto a questo trio di base, hanno partecipato Roberto Mazzotta ai violini, Gaetano Carrozzo al trombone, Gabriele Blandini alla tromba, Sandro Nocco al sax contralto, Giorgio Distante tromba solista su “At Sunset”, Clara Calignano al flauto traverso su “Noi” . Il repertorio è costituito da  nove canzoni originali tutte composte, parole e musica, dalla Bubbico ad eccezione di “Non cado mai” con testo di Francesco Aprile. Gli arrangiamenti sono ben costruiti, ma un tantino troppo ammiccanti dal momento che echeggiano sonorità assai variegate (dal jazz al funky alla world music) forse ad abbracciare un pubblico vasto. Comunque la Bubbico dimostra buone potenzialità: ventitré anni e un lunghissimo curriculum, Carolina si è ritrovata da subito immersa  nella musica essendo nata da genitori musicisti. Così ha iniziato a studiare musica sin da bambina cambiando diversi strumenti, dal violoncello alla batteria, finché  – afferma la stessa Bubbico “non ho trovato il modo migliore per esprimermi: il pianoforte. E' stato un percorso spontaneo e dopo aver studiato violino al conservatorio ho capito che potevo addirittura cantare”. Ed in effetti come vocalist Carolina se la cava piuttosto bene:la sua voce viene  modulata in modo affatto spontaneo con grande originalità e soprattutto, come sottolineavamo in apertura, con un'eccellente e trascinante vivacità ritmica. La band si muove con buon affiatamento e discrete individualità rendendo giustizia agli arrangiamenti. Ciò detto bisogna tuttavia sottolineare come ,l'album, nella sua globalità, appaia ancora non perfettamente calibrato, con alcune ingenuità che sicuramente la vocalist saprà correggere facilmente. Di qui l'attesa con cui attendiamo l'artista ad una prova più impegnativa.

Joan Camorro, Andrea Motis – Feeling good – Temo records

Feeling goodNonostante la giovane età (21 anni) Andrea Motis è ben nota nel suo Paese, la Spagna, come artista particolarmente sensibile ed originale. Il perché di tanta considerazione lo si capisce bene ascoltando questo album: Andrea Motis, che negli ultimi tempi ha costituito un valido duo con il contrabbassista Joan Camorro, presenta un repertorio particolarmente impegnativo: sedici brani che costituiscono un valido esempio della migliore letteratura jazzistica di tutti i tempi. “Lover come back to me”, “Love me or leave me”, “Lover man”, “Solitude”, “My funny Valentine”, “Bésame mucho”, “Sophisticated lady” sono tutti pezzi celeberrimi, incisi più e più volte per cui i termini di paragone non mancano. Ebbene, le versioni contenute nell'album sono più che accettabili: ad eseguirle un organico dal  numero variabile, dal trio (Camorro, Motis e Josep Traver alla chitarra) ad una vera e propria big band di quindici elementi dall'assetto particolare (ben sette sassofoni, tromba, violino, chitarra, batteria, contrabbasso, pianoforte, flauto oltre naturalmente la voce di Andrea). Dotata di una voce non particolarmente potente, ma di sicuro fascino, Andrea si muove con estrema sicurezza fra i meandri del grande repertorio jazzistico non senza punte di originalità. Così, ad esempio, l'interpretazione di “Solitude” può convincere o meno ma sicuramente testimonia della volontà della Motis di non seguire pedissequamente strade già ampiamente tracciate. E la stessa cosa si potrebbe dire di molte delle esecuzioni presenti nell'album. Quanto ai musicisti che l'accompagnano sempre straordinario l'apporto di Joan Camorro; tra gli altri da segnalare il chitarrista Josep Traver e il pianista Ignasi Terraza.

Ivan Lins, SWR Big Band – “Cornucopia” – Moosicus

Mettete assieme una stella della musica brasiliana, Ivan Lins; un'eccellente orchestra jazz europea, la SWR Big Band di Stoccarda, diretta da un eccellente musicista, Ralf Schmid; aggiungete un pizzico d'Africa nelle persone di Themba Mkhize & South Afican Choir e la magia è completa: ecco “Cornucopia”, un album dal nome antico forse a richiamare la ricchezza di elementi da cui è composto. La calda voce di Lins, che da vita ai 13 brani dell'album tutti composti dallo stesso vocalist e per la maggior parte ancora inediti, si sposa magnificamente con la voce orchestrale della SWR che si muove come un complesso assai ben rodato in cui le notevoli individualità si fondono in mirabile assieme grazie a preziosi arrangiamenti che pur basandosi su un linguaggio jazzistico, tengono nel dovuto conto le peculiarità dello stile “brasiliano” di Lins. Il quale può così tranquillamente esprimere tutto il proprio potenziale ben certo che la band lo seguirà in qualsiasi evoluzione. D'altro canto è lo stesso Ivans a dichiarare esplicitamente che “la SWR Big Band è il più stupefacente ensemble musicale con cui mi sono trovato a suonare”. L'album si apre con “Araketutu” un brano di chiara impronta africaneggiante che in certo modo indica la rotta su cui si muoverà l'intero CD, una rotta giocata su cangianti atmosfere che evidenziano anche la capacità di scrittura dello stesso Lins. Così una piccola perla è costituita da “Atlantida” interpretata da Paula Morelenbaum mentre tutto l'amore di Lins per la sua città, Rio de Janeiro, informa “ de Vison”: Infine da ascoltare con attenzione il brano dedicato a Davis, “Missing Miles”, anche per l'eccellente lavoro di Joo Kraus tromba ed elettronica.

Lisa Maroni – “Intwoition” – koinè kne 019

Prova assai impegnativa per la cantante umbra Lisa Maroni che si ripresenta al pubblico del jazz, due anni dopo l'uscita di  “Auditório Íntimo”, con  un nuovo progetto che la vede affiancata unicamente al bravo e sensibile pianista Alessandro Bravo. Quindi una formula – quella del duo- assai pericolosa per qualsivoglia vocalist in quanto mette a nudo, senza possibilità di scappatoie, pregi e difetti dell'artista. E così Lisa ha modo di evidenziare tutte le sue doti: una bella musicalità, eccellente versatilità, una evidente genuinità che la tiene ben lontana da ogni tentazione virtuosistica, buone doti interpretative che ben si coniugano con una particolare attenzione al testo  sia che canti in italiano sia che si esprima in portoghese, inglese…o napoletano.  Eh sì, perché Lisa presenta un repertorio assai variegato: così ascoltiamo ben cinque  brani originali tra cui “The Call” impreziosito dal sorprendente inserimento di una poesia tratta dalle “Elisabeth Bishop Letters”, “Impro – Direçao do Vento” e “Song Inside”  in cui si rivolge alla nuova poesia brasiliana musicando versi rispettivamente di Luis Eloi Stein e Ronaldo Novaes. Ma, accanto alle proprie composizioni, Lisa presenta tre omaggi a Pat Metheny, Ralph Towner, Michel Petrucciani per la cui “Lullaby” ha scritto di persona il testo in inglese; ebbene, questi brani vengono riletti con pertinenza ed originalità evidenziando un' artista davvero matura, ben consapevole dei propri mezzi espressivi e quindi perfettamente in grado di affrontare anche partiture assai conosciute senza tema di subire il confronto. Ovviamente il disco non avrebbe raggiunto gli stesi risultati se, come si accennava in apertura, ad accompagnare la vocalist non ci fosse stato un pianista di tutto rispetto come Alessandro Bravo. Alessandro non si limita a sostenere il canto, ma assume spesso il controllo del discorso musicale proponendo egli stesso spunti armonici e ritmici che consentono alla coppia di improvvisare con grande naturalezza.

Giuppi Paone – “The Acadia Session” –

Giuppi Paone si muove su un terreno sperimentale, anche se  non così radicale come Marilena Paradisi di cui parliamo subito dopo. Ecco quindi un album assolutamente particolare per la sua genesi e per la musica che contiene. Il disco è stato registrato nell'agosto del 2012 negli States e rappresenta il frutto di una serie di concerti effettuati dalla vocalist italiana con quattro musicisti del Maine: Carl Dimow ai flauti, Mark Tipton alla tromba, John Clark al basso  e Hayes Porterfield batteria e percussioni. Ma, come ci ha dichiarato la stessa Giuppi, è soprattutto con il flautista che  scatta la scintilla: i due si trovano alla perfezione e quando si  tratta di registrare l'album, la musica  fluisce facile, spontanea, tutt'altro che semplice eppure con una sua forza intrinseca; il gruppo suona senza alcun punto fisso, senza mettersi d'accordo su alcunché basandosi esclusivamente sulle capacità improvvisative dei singoli e sulla straordinaria empatia sviluppatasi all'interno del quintetto. “Il terreno comune –nota acutamente Luigi Onori nelle note di copertina –  è quello non inedito di una musica largamente improvvisata, sperimentale, con riferimenti anche all'ambito contemporaneo”. Così ben sette temi originali si alternano a due noti standard (“What is this thing called love” di Cole Porter e “Lover Man” di Davis, Ramirez, Sherman e un brano tradizionale “When Johnny comes marching home”; tutti i pezzi vengono, comunque, trattati dal gruppo nello stesso modo: improvvisazioni destrutturanti e successive ricostruzioni, “fuori da schemi usuali, nella continua invenzione di un linguaggio comune”. Racconta Giuppi: “Ci siamo messi reciprocamente alla prova, ci siamo sfidati, abbiamo giocato e rischiato, ci siamo ascoltati e abbiamo osato: insomma, abbiamo fatto musica come si dovrebbe fare sempre”.

Marilena Paradisi – “The Cave” – Silta Records

‘The Cave – dialogues between echoes of stone', è l'ultimo (settimo) album della vocalist e compositrice Marilena Paradisi, questa volta in duo con il percussionista Ivan Macera; il CD è stato registrato dal vivo il 23 marzo 2013 al Teatro Il Cantiere di Roma . Per illustrare questo lavoro occorre abbandonare i parametri cui siamo abituati e concepire qualcosa di completamente diverso. In effetti l'album concretizza un progetto di ricerca compiuto dai due artisti sulle atmosfere e i mondi sonori che possono aver accompagnato la vita nelle caverne nell'era paleolitica. Non a caso la strumentazione adoperata è quanto mai varia: voce, cristallofono, sassolini, acqua, percussioni, raschiatori in legno, ciottoli di fiume, lastre di terracotta, lastre di onice, fischietti, sonagliere di foglie di magnolia, sonagliere di conchiglie, tamburo sciamanico, foglie secche, rombi rotanti in legno, due conchiglie preparate, campane tubolari, arco sonoro, flautino in legno, grancassa, effetti elettronici. La loro ricerca sul suono ha preso le mosse dal timbro, dal colore, dalla risonanza naturale delle pareti di pietra e degli echi in rapporto alla voce. La ricerca – informa la Paradisi – è partita dagli studi di Iegor Reznicoff, secondo cui la più alta concentrazione di pitture rupestri corrisponde ai luoghi di maggiore risonanza acustica, e le tribù paleolitiche si orientavano nel buio dei cunicoli attraverso la loro voce sentendone le risonanze e gli echi. Di converso nelle zone o passaggi dall'acustica impossibile i primitivi tracciavano una linea rossa. La voce di Marilena richiama, rievoca e si ispira a queste vaghe immagini. Ciò detto occorre dare atto alla Paradisi di un estremo coraggio nel proseguire lungo questa impervia strada con straordinaria cura per i dettagli, con grandissima coerenza, con straordinaria abilità vocale; tutto ciò sicuramente le da grandi soddisfazioni dal punto di vista della ricerca personale ma, altrettanto sicuramente, la confina in una sorta di limbo da cui sarebbe auspicabile una sua apertura verso territori meno impervi.

Gretchen Parlato – “The Lost and Found” – ObliqSound

Veramente particolare la vicenda artistica di Gretchen Parlato: non ha una gran voce, , tutt'altro che potente, si esprime quasi sempre sul registro medio ma in compenso possiede una intonazione affatto particolare e soprattutto un senso del ritmo che pochi vocalist oggi possiedono. Non è quindi un  caso se moti artisti di vaglia hanno espresso giudizi altamente positivi su di lei, Wayne Shorter in testa. E non è un caso se la Parlato viene chiamata assai spesso a collaborare con musicisti pur assai diversi tra di loro a dimostrazione di una versatilità e di un talento non comuni. Insomma un personaggio oramai di spicco della nuova scena jazzistica newyorkese. E questo terzo album a suo nome – dopo “In a Dream” e il disco d'esordio, “Gretchen Parlato” conferma appieno quanto di buono la cantante ci aveva fatto ascoltare. Delicatezza di tocco, eccezionale musicalità, eleganza, raffinatezza, capacità di muoversi con scioltezza e pertinenza in territori sia prettamente jazzistici sia più vicini alla popular music mescolando i due generi senza alcuna forzatura, anzi! E così il disco si apre con un brano dei Simple Red, “Holding Back the Years”, che la vocalist rivisita in chiave jazzistica piegando il brano alle sue esigenze espressive senza alcunché perdere dell'originaria valenza. Poi abbiamo l'opportunità di ascoltare alcuni sentiti omaggi ai grandi del jazz quali “Juju” di Wayne Shorter e “Blue in Green” di Bill Evans. Ma è soprattutto nei brani originali che, a nostro avviso, si apprezza la migliore Parlato: questo perché Gretchen possiede una bella capacità di scrittura che sa adattare magnificamente alle proprie capacità interpretative evidentemente studiate e conosciute sino in fondo. Così da ascoltare con la massima attenzione “Winter Wind,” “How We Love” e “Better Than,” parole e musica della Parlato e “Still,” musicata dal chitarrista Alan Hampton.

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  1. A voce spiegata
  2. Rosalba Bentivoglio – “Only Light Blue”
  3. Carolina Bubbico – “Controvento”
  4. Joan Camorro, Andrea Motis – Feeling good
  5. Ivan Lins, SWR Big Band – “Cornucopia”
  6. Lisa Maroni - “Intwoition”
  7. Giuppi Paone – “The Acadia Session”
  8. Marilena Paradisi – “The Cave”
  9. Gretchen Parlato – “The Lost and Found”
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