Jazz e letteratura

Mingus Dynasty

Mingus Dynasty

Jazz e letteratura: il possibile intreccio tra musica afroamericana e parola scritta, tra un linguaggio sonoro fortemente connotato dall’improvvisazione e testi proposti attraverso una dimensione orale e performativa.

Questa è la strada che ha provato a percorrere il 37° Roma Jazz Festival, conclusosi il 2 novembre sotto il segno sonoro espressionistico di Charles Mingus. La Mingus Dinasty, guidata dal contrabbassista Boris Kozlov, ha suonato con vigore e un pizzico di manierismo alla sala Sinopoli; la presentazione del libro di John Goodman “Mingus secondo Mingus” – prevista per il pomeriggio – è saltata ma il musicologo Stefano Zenni ha letto gustosi estratti dal testo prima del recital serale, sostituendo l’annunciato Francesco Pannofino (il volume di Goodman, edito da minimum fax, uscirà nel 2014 mentre è annunciato in libreria il basilare “Space Is the Place.

La vita e la musica di Sun Ra” di John F.Szwed). Zenni, nell’ambito delle “Lezioni di Jazz”, ha tenuto domenica 3 (ore 11, teatro Studio) una seguita conferenza intitolata “Peggio di un bastardo: l’autobiografia musicale di Charles Mingus”, dimostrando come ci sia interesse per una fruizione non solo spettacolare della musica, cosa ampiamente dimostrata anche dal successo delle Guide all’Ascolto ottenuto da Gerlando Gatto alla Casa del jazz.

Perché tornarci sopra a distanza di un paio di settimane? Per mettere a fuoco due recital che hanno centrato l’obiettivo della relazione tra codici artistici diversi; altri concerti chi scrive non ha avuto l’opportunità di ascoltarli ma, almeno sulla carta, promettevano bene: il poeta, scrittore e musicista caraibico Anthony Joseph con la Spasm Band; Danilo Rea con le letture da “Suburra” di Fabrizio Gifuni e l’introduzione degli autori Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo; “Chisciottimismi” con lo scrittore Erri De Luca voce recitante, più Gianmaria Testa e Gabriele Mirabassi.

Servillo Girotto Mangalavite

Servillo Girotto Mangalavite

Il 21 ottobre è stato riproposto un progetto documentato nel gennaio 2009 da un Cd dei “materiali musicali de il manifesto”: “Futbol”. I brani si ispirano ai racconti di Osvaldo Soriano – a lungo collaboratore del “quotidiano comunista” – ed alla sua visione tra mito, realtà e realismo magico del calcio, sogno-riscatto degli umili. Soriano li raccolse nel volume “Futbol. Storie di calcio”, pubblicato nel 2006 da Einaudi. Il piano e le tastiere di Natalio Mangalavite, il sax sorano ed il baritono più i flauti andini di Javier Girotto e la voce-corpo che canta e recita di Peppe Servillo hanno avvolto il pubblico in un denso, ironico, brillante fluire di lettura e musica. Due argentini e un campano, accomunati dal ‘culto’ di Maradona, hanno tanto in comune e il progetto “Futbol” è stato a lungo rodato. Alla sala Petrassi ha però vibrato di una forte, comunicativa immediatezza grazie, in particolare, a Servillo, pronto a cogliere qualsiasi occasione per attualizzare, parodiare, far immaginare, rendere vivo quel progetto. Protagonisti dei brani (tredici ne contava il Cd, come il numero della schedina) Don Salvatore, Diego Armando Maradona, il mediano Varela della nazionale uruguyana che sconfisse il Brasile, l’allenatore Trapattoni, lo stadio carioca Maracanà e le lande della Patagonia… Un recital torrido e intenso che ha unito i sud del mondo grazie alla scrittura unica di Soriano – che fu calciatore prima di un serio incidente – e grazie al vigore ritmico-melodico di Natalio Mangalavite e Javier Girotto che, ad un certo punto del concerto, ha indossato la maglia biancoceleste dell’Argentina.

La serata del 31 ottobre (alla sala Sinopoli) aveva quale fulcro letterario “Come se avessi le ali. Le memorie perdute”, testo autobiografico di Chet Baker riemerso anni dopo la morte del trombettista (minimun fax lo pubblicò nel 1998, ad un solo anno dall’edizione inglese e con la traduzione di Marco di Gennaro). Sezioni del libro (ripubblicato nel 2009, in versione rilegata e con contributi di Enrico Rava e Paolo Fresu) sono state lette con maestria e passione da Massimo Popolizio, in efficace montaggio con sequenze sonore e brani eseguiti dalla tromba di Fabrizio Bosso e dal piano di Julian Mazzariello. Qui parole e note si sono evocate le une con le altre, rispecchiate e fuse fino all’ultimo e più sperimentale brano, “Bomb” di Gregory Corso che è deflagrato sul pubblico in un reading che ricordava quelli dei beatniks. Popolizio ha scelto estratti dei testi bakeriani disponendoli in ordine cronologico, dal servizio militare del 1951 alla Londra del 1962, passando per il soggiorno italiano che regalò a Chet successo e galera, l’articolo di Oriana Fallaci su “L’Europeo” e quindici mesi di detenzione. Bosso e Mazzariello hanno collegato e “amplificato” i frammenti biografici (con frequenti riferimenti alle compagne del trombettista – da Cisella a Carol – e alla tossicodipendenza) attraverso ballad e brani come “All Blues”, “Estate”, “But Not For Me” e “My Funny Valentine”, tutti eseguiti nella formula audace e a tratti virtuosistica del duo. Alla loro musica, impeccabile ed elegante, è mancato talvolta il fascino un po’ maledetto di Baker. Come scrive la moglie Carol nell’introduzione alle “memorie perdute” “Chet non può essere definito semplicemente un musicista, un tossicodipendente, un marito o una leggenda. Era tutto questo e molto di più (…) Le parole di Chet vanno più in là. Rileggendo questo meraviglioso miscuglio di immagini e sensazioni, posso solo stupirmi di quanto riflettano fedelmente la vera essenza della vita di Chet: un caos incessante intriso di puro genio. Chet non l’avrebbe voluta in nessun altro modo”. (LO)

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