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Bugge & Henning – “Last spring” – ACT 9526-2

Ecco l'album che non ti aspetti: leggi che uno dei due protagonisti è Bugge Wesseltoft e immediatamente pensi alla musica elettronica, al suo “New conception of jazz” ovvero all'intento del pianista-tastierista norvegese di affiancare in modo organico l'improvvisazione jazz con i ritmi e i suoni della musica elettronica. Ma, come si dice, hai fatto i conti senza l'oste, in questo caso rappresentato dal violinista e violista di estrazione classica Henning Kraggerud: è infatti lui a dettare le atmosfere dell'album che si richiama soprattutto alle melodie folkloristiche norvegesi ma anche alla musica classica con il brano che dà il titolo all'album basato su una composizione di Edward Grieg e la riproposizione della notissima “Wiegenlied” “Lullaby” di Joahannes Brahms di cui forniscono, per altro, un'interpretazione straordinariamente toccante. Kraggerud è giustamente considerato uno dei più grandi violinisti europei avendo suonato sia in grandi orchestre come la Danish National Orchestra o la London Philarmonic Orchestra sia in celebrati ensemble da camera quali il quintetto all star con Marta Argerich, Joshua Bell, Yuri Bashmet e Mischa Maisky ; in questo album Henning conferma appieno le sue doti di solista maturo, che predilige un linguaggio minimalista e un classicismo austero. Di qui una sorta di meditazione in musica caratterizzata dalla bellezza e purezza del suono, dalla cura di ogni singola nota, di ogni minimo dettaglio, di ogni seppur minima variazione della melodia. E' sostanzialmente Kraggerud il musicista incaricato di disegnare le linee melodiche ma non bisogna trascurare l'eccezionale lavoro svolto da Bugge Wesseltoft che, abbandonate le vesti di travolgente improvvisatore, riesce a calarsi benissimo nelle atmosfere volute dal “compagno” sottolineandone i passaggi principali senza dare la benché minima sensazione di invadenza.

Yaron Herman – “Alter ego” – ACT 9530-2

Questo album presenta una novità di non poco conto nelle scelte artistiche del pianista Yaron Herman: niente più cover di successi pop ma undici brani originali cui si aggiungono una composizione di Gideon Klein e “Hatikva” , l'inno nazionale ebraico. Ad accompagnare Yaron ci sono i fidi compagni Stephane Kerecki al contrabbasso e Ziv Ravitz alla batteria con l'aggiunta di due sassofonisti, lo statunitense Logan Richardson al sax alto e il talentuoso parigino Emile Parisien ai sax tenore e soprano. I fiati regalano al gruppo maggior mordente e maggior incisività che si avvertono soprattutto nei brani a tempo veloce come ad esempio in “Mojo”. Ma, al di là delle prestazioni dei singoli, è la personalità del leader che si staglia prepotente questa volta anche come compositore. Le sue partiture sono tutt'altro che banali denotando una compiuta conoscenza dell'universo pianistico, non solo jazzistico. A ciò si aggiunga il dichiarato intento di esprimere, attraverso la musica, con la massima onestà e trasparenza una serie di emozioni, di sensazioni che l'artista ha vissuto nel corso degli anni. In quest'ambito da segnalare il modo amorevole con cui Herman tratta l'inno nazionale riservandolo ad un duetto pianoforte-sassofono. Comunque il pezzo più interessante è forse quello più lungo dell'album, “Madeleine” sia per la compattezza del gruppo, sia per lo splendido assolo del leader: dopo l'ennesimo dialogo piano-sax che si scambiano il ruolo di strumento guida, dopo circa quattro minuti prende letteralmente il volo l'assolo di Herman magnificamente supportato da Ravitz e soprattutto da Kerecki che non esiterei a definire bassista di classe superiore.

Jeanette Köhn & Swedish Radio Choir – “New Eyes on Baroque” – ACT 9547-2

Ecco un altro album in cui musica classica e jazz in qualche modo si fondono per dar vita a qualcosa di nuovo. Protagonisti il soprano Jeanette Köhn, un quartetto di musicisti jazz (Nils Landgren trombone, Johan Norberg chitarra, Jonas Knutsson sax baritono e soprano, Eva Kruse contrabbasso) e il coro della Radio Svedese diretto da Gustav Sjökvist. Questo album viene da lontano: era il 2007 quando Nils Landgren fu incaricato dagli organizzatori del Leipzig Bach Festival di preparare un progetto che prevedesse la reinterpretazione della musica di Bach in modo nuovo, moderno. Il trombonista-arrangiatore cominciò a lavorare a questa idea chiamando innanzitutto una vocalist come Jeanette Köhn che aggiunse al repertorio partiture di Georg Friedrich Händel e Henry Purcell. Quindi vennero contattati uno per uno gli altri jazzisti che accettarono con entusiasmo. Ma fu solo nel 2010 che il progetto prese definitivamente vita con il coinvolgimento dello “Swedish Radio Choir” diretto da quel Gustav Sjökvist che aveva già partecipato ad un'impresa del genere con la registrazione del “Magnum Mysterium” di Jan Lundgren's dedicato alla musica del Rinascimento. Ciò detto bisogna sottolineare come la riuscita dell'album sia eccellente: le interpretazioni, in massima parte arrangiate da Landgren, affrontano il repertorio barocco con grande rispetto. In buona sostanza, cercando di conservare intatta la valenza dell'originale, i musicisti lavorano soprattutto sul suono, sulla timbrica offrendo agli ascoltatori la possibilità di gustare questa musica da una prospettiva diversa. Ed in questo si nota sia la sapienza degli arrangiamenti che fanno esprimere il quartetto jazz quasi come un gruppo da camera, sia la valentia strumentale soprattutto di Landgren e del chitarrista Johan Norberg con l'unico strumento a corde presente nell'ensemble. Dal canto suo ottima la prova della Köhn che dimostra di sapersi perfettamente adattare agli arrangiamenti di Nils.

Joachim KÜhn Trio – Voodoo Sense” – ACT 9555-2

Interessante album di colui che viene a ben ragione considerato una sorta di icona del jazz tedesco, vale a dire il pianista Joachim KÜhn, accompagnato dal batterista spagnolo Ramon Lopez e dal marocchino Majid Bekkas specialista di guembri, kalimba e balafon nonché vocalist. Al trio di base si aggiunge un nutrito gruppo di ospiti costituito da quattro musicisti africani e soprattutto dal grande tenorista Archie Shepp. KÜhn e Shepp avevano già collaborato assieme in un album del 2011 e ora si ritrovano assieme in tre brani che possiamo considerare tra i più significativi dell'intero album. Così particolarmente riuscita appare l'esecuzione del brano d'apertura, quel “Kulu Se Mama” reso indimenticabile da John Coltrane. Il gruppo si muove con grande disinvoltura: l'incipit è maestosamente lento con batteria e contrabbasso che introducono pianoforte e sax; subito dopo la voce di Majid Bekkas intona il tema; quindi è la volta del pianista a prendere la scena magnificamente supportato da ritmi afro-arabi con Shepp a puntualizzare qualche passaggio; man mano la tensione sale e si intensifica la presenza del sassofonista che intorno all'ottavo minuto prende un assolo di rara bellezza supportato solo dalle percussioni; di qui si dipana un dialogo sempre più fitto tra pianoforte e sax all'insegna dell'improvvisazione pura; dopo altri due lunghi assolo rispettivamente di KÜhn e Shepp, la voce di Majid Bekkas ci riporta al tema per una degna conclusione. Insomma un brano di rara intensità il cui ascolto da solo vale l'acquisto dell'album. Di sapore completamente diverso “L'eternal Voyage” scritto appositamente da KÜhn per Shepp; il sassofonista si esibisce con tocco morbido in questa ballad evidenziando l'altro lato del suo linguaggio tenoristico mentre il pianista sottolinea la raffinatezza armonica del brano. Infine tutta giocata sulle percussioni e quindi anche sul ritmo la title track in cui ritroviamo il pungente Archie Shepp di sempre.

Geir Lysne – “New Circle” – ACT 9561-2

Un sestetto di base ed una serie di ospiti eccellenti provenienti da ogni parte del mondo. E questo elemento illustra assai bene la poetica del sassofonista che ha cercato ispirazione dalle musiche più diverse, mai limitandosi alle fonti nazionali. Dopo essersi fatto conoscere ed apprezzare non solo come solista ma anche come arrangiatore e direttore di band acustiche, Geir ha ora deciso di cambiare strada, di dar vita ad un “New Circle” per l'appunto. Questo album, come spiega egli stesso, rappresenta una sorta di ricomposizione in forma elettro-acustica di alcune delle pagine già incise per la stessa ACT. Di qui la ricomparsa di personaggi già apparsi nei precedenti album come il serpente Kaa e la ricerca di “compagni” adatti allo scopo, primo fra tutti Reidar Skår abilissimo nel programmare i computer sì da far assumere ai vari strumenti tradizionali una timbrica completamente diversa. Ma non basta ché Lysne fa interagire i propri ospiti con partiture che nulla hanno a che vedere con il loro background. Così ascoltiamo la cantante vietnamita Huong Thanh misurarsi con un brano, “A million stars”, appartenente alla cultura delle popolazioni Sami delle tundre nordiche; un salmo scritto per la chiesa norvegese diventa una canzone senegalese; una tensione crescente accompagna una penosa riflessione sull'eccidio di Utoya in Norvegia del 22 luglio 2011 ad opera di un uomo di estrema destra mentre “Amana Na Nunga” è una favola che potrebbe essere raccontata da chiunque in una qualsivoglia parte del mondo. L'effetto del tutto è decisamente straniante ma di grande interesse. In tutti i brani, composti per la quasi totalità dal leader, si avverte un eccellente senso della costruzione accompagnato da una ben collaudata capacità di arrangiatore; così le tessiture armonico-ritmiche appaiono sempre appropriate e gli assolo si susseguono senza alcuna forzatura.

Gerardo Nuñez – “Travesía” – ACT 9534-2

Quest'album fa seguito a quel “Andando el tiempo” edito nel 2004 e il suo titolo ha un significato preciso, illustrato dallo stesso chitarrista flamenco: “Travesía (Traversata) è quella dei miei amici Ahmed e Khaleb, che realizzarono il sogno di emigrare in Europa, quell' El Dorado che alla fine si rivelò pan di oro. Fecero una lunga traversata attraverso il deserto per intraprendere un'altra dura traversata per mare e poi un'altra e ancora un'altra allontanandosi sempre più dalle loro origini. Allora ho realizzato che anche la mia era una traversata e ho ricordato il poema di Luis Rius ‘Ogni volta che mi metto a camminare verso me stesso perdo la via, vado fuori strada . Io volevo raccontare una storia e la storia ha raccontato me”. E si tratta di una storia vera dal momento che Ahmes e Kjhaleb sono ancora oggi amici di Gerardo e lo aiutano, ad esempio, nella organizzazione dei concerti. Núñez è considerato, a ben ragione, uno dei più importanti compositori e interpreti di flamenco, riconosciuto nel mondo per essere riuscito a modernizzare questa tradizione musicale attraverso tutta una serie di influenze derivanti da musiche altre tra cui il jazz. Non a caso ha collaborato con alcuni jazzisti di valore assoluto quali Michael Brecker, John Patitucci, Paolo Fresu, Perico Sambeat e Mariano Diaz; non a caso l'unico brano di quest'ultimo disco non scritto da lui stesso è dovuto alla penna di John Scofield. . La sua è una tecnica semplicemente straordinaria frutto di un intenso studio sia dello strumento sia della forma del flamenco. Le sue composizioni sono il frutto naturale di quella ibridazione cui prima si faceva riferimento: un insieme di spunti provenienti in primo luogo dal flamenco ma poi anche dal jazz, dal rock, dal pop, dalla musica latina che danno vita ad un unicum che colpisce per la sua spontaneità e raffinata bellezza. In questo album la moglie di Gerardo, la famosa ballerina Carmen Cortés e sua figlia Isabel figurano tra i musicisti partecipanti alla registrazione (percussioni, palme e voci) unitamente ad alcuni jazzisti di vaglia quali il sassofonista Perico Sambeat, il pianista Albert Sanz e il percusionista ‘Cepillo'.

Iiro Rantala – “Lost heroes” – ACT 9504-2

Conosco personalmente Iiro Rantala da molto tempo e l'ho sempre considerato una delle persone più gentili e modeste che abbia avuto modo di incontrare. Eppure si tratta di uno straordinario artista, un pianista-compositore di tutto rispetto che non a caso viene da molti considerato – me compreso – uno dei più grandi jazzisti che la Finlandia abbia mai espresso. Non molto tempo fa, Rantala ha inciso in splendida solitudine questo album significativamente intitolato “Lost Heroes”. Varcata la soglia dei quarant'anni, dopo aver dato vita nel 1988 al Trio Töykeät scioltosi nel 2008, e successivamente all' “Iiro Rantala New Trio”, Iiro si concede un momento di riflessione, di introspezione e decide di dedicare un intero album a quelli che considera i suoi “eroi” sfornando otto composizioni una più bella dell'altra cui aggiunge due standard quali “Donna Lee” di Charlie Parker, “Bluesette” di Toots Thielemans , ed uno brano operistico, l' “Intermezzo” tratto dalla “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni. Così in questa galleria di grandi musicisti cui Rantala rivolge un pensiero riverente troviamo Pekka Pohjola prematuramente scomparso nel 2008, Bill Evans, Jaco Pastorius, Esbjörn Svensson, Errol Garner, Art Tatum, Michel Petrucciani, Oscar Peterson e Luciano Pavarotti, mentre “Jean and Aino” è dedicata ai personaggi di una immaginaria, delicata storia d'amore descritta da Rantala con una poetica melodia che, come egli stesso afferma, si rifà in qualche modo alla musica di Sibelius. Per il resto ogni brano ha una sua peculiarità che giustifica la dedica: così, ad esempio, “Thinking of Misty” evidentemente dedicato a Erroll Garner si fa apprezzare per la sua trascinante carica ritmica, “Donna Lee” – in ricordo di Art Tatum – evidenzia l'eccezionale bravura di Iiro nei cambiamenti di tempo, “One more waltz” scritto per Petrucciani illustra tutta la dolcezza di cui Rantala è capace… per finire con “Intermezzo” dedicato a Luciano Pavarotti ed eseguito con struggente partecipazione.

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  1. Bugge & Henning – “Last spring”
  2. Yaron Herman – “Alter ego”
  3. Jeanette Köhn & Swedish Radio Choir – “New Eyes on Baroque”
  4. Joachim KÜhn Trio – Voodoo Sense”
  5. Geir Lysne – “New Circle”
  6. Gerardo Nuñez – “Travesía”
  7. Iiro Rantala – “Lost heroes”
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