Se ne vanno Pete Seeger e Riz Ortolani

Pete_Seeger11Eccoci ancora qui, purtroppo, a ricordare la figura di due grandi musicisti scomparsi di recente, autore di colonne sonore l’uno – Riz Ortolani -, cantante, chitarrista e compositore folk, l’altro -Pete Seeger.

Nato il tre maggio del 1919, Pete Seeger è morto per cause naturali al New York Presbiterian Hospital, all’età quindi di 94 anni. Si dice, non senza ragione, che lo stress, le tensioni accorciano la vita: eppure Pete nel corso della sua lunga vita di stress e di tensioni ne aveva sopportati fin troppo essendosi caratterizzato come uno dei principali esponenti della musica “impegnata” con i fatti e non solo con le parole.

Attivista dei diritti civili, cominciò a far sentire la propria voce già negli anni ’40 e ’50 quando si schierò apertamente dalla parte del movimento operaio che rivendicava maggiore attenzione e condizioni di lavoro più eque; negli anni ’60 fu sempre in prima linea nelle marce per i diritti civili e nei raduni pacifisti contro la guerra nel Vietnam, tanto da divenire una sorta di icona dei pacifisti di tutto il mondo. E non è certo un caso se durante un concerto in occasione del suo 90esimo compleanno al Madison Square Garden, Bruce Springsteen lo presentò  come “un archivio vivente della musica e della coscienza dell’America, una testimonianza del potere della canzone e della cultura a forgiare la storia”.

Personalmente imparai a conoscerlo negli anni ’60 per merito, strano a dirsi, di Rita Pavone: “Pel di Carota” interpretava con la solita verve “Datemi un martello” che altro non era se non la versione italiana di “’If I had a hammer”  scritta per l’appunto da Seeger insieme a Lee Hays, che, però, nella versione originale era una delle prime canzoni di protesta della stagione del pacifismo e della contestazione contro la discriminazione razziale. Da allora, dato il mio prevalente interesse per il jazz, ho continuato a seguirlo ma non in modo approfondito. Comunque non mi sono certo sfuggiti i suoi maggiori successi e i pezzi più significativi tra cui citerei ”Where have all the flowers gone?” che fu giustamente considerato una sorta di inno anti-militarista.

Ma di perle del genere nei suoi oltre cento album se ne trovano in quantità a conferma di una straordinaria inventiva che non è venuta meno nel corso degli anni. E che la sua “lezione” rimarrà nella storia della musica mondiale lo conferma altresì l’influenza che Pete ha avuto su molti artisti prima fra tutte Joan Baez.

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EPOKARTET al Bar Italia Jazz Club di Cassino

Epokartet 2

In questo sito porremo sempre l’ accento sul fatto che ci sono alcuni spazi dedicati al Jazz che sono certamente meno “istituzionali” di altri: ma di certo sono preziosi per questo particolare genere di musica da molti punti di vista. Uno di questi è di sicuro il Bar Italia Jazz Club di Cassino, piccolissimo ma vivace club, gestito dal coraggioso ed entusiasta Roberto Reale,  nel quale ogni 15 giorni si possono ascoltare concerti di ottimo livello stando a stretto contatto con i musicisti. Pochi posti a sedere, posti in piedi e l’ atmosfera vincente, quella che ti fa respirare la musica, e che piace ai musicisti stessi: che improvvisano contagiati dal clima informale eppure competente, di un pubblico sinceramente appassionato di Jazz.

Questo piccolo miracolo è avvenuto anche sabato 11 gennaio. Sul palco EPOKARTET, un quartetto a dir poco degno di nota: Francesco Desiato ai flauti, Umberto Muselli al sax tenore, Dario Deidda al basso e Stefano Costanzo alla batteria.
Un’ unica suite di musica improvvisata, con interessanti raccordi scritti dallo stesso Desiato, musicista che chi vi scrive segue da tempo, e che si sta dimostrando sempre più bravo e ricco di idee. Non è facile trovare un flautista “puro” nel Jazz, e Desiato, che ha una solida formazione classica alle spalle, ha molta musica da cui attingere per creare e improvvisare. Suona i flauti tutti, dall’ ottavino al basso, in maniera creativa e disinvolta: il timbro particolarissimo dei suoi strumenti non è così consueto da ascoltare nel Jazz.  Per di più c’è anche lo studio e la messa a punto di una difficile tecnica di canto “parallelo” al suono del flauto, che lo vedono creare polifonie contrappuntistiche contemporanee tra voce e suono dello strumento. Il che però non va immaginato come particolarità di tipo “virtuosistico – circense”: Desiato propone questa tecnica difficile del “suonare cantando” in momenti molto circoscritti, a fini esclusivamente espressivi e non certo per strappare applausi. Gli applausi scaturiscono per un’ ora di musica ininterrotta eppure scorrevole e sempre emozionante.
Da dove ne proviene il fascino? Dai duetti tra i flauti ed il sax tenore del bravissimo Muselli, ad esempio: un incrociarsi di timbri armonicamente in contrasto. Dall’ alternarsi costante e spesso serrato tra ritmi sghembi e ritmi pari. Dal basso sapiente dell’ ottimo Deidda, che è capace di intessere dialoghi proficui e pieni di spunti di volta in volta con batteria, sassofono e flauti o di creare riff brillanti che diventano la base di lungi episodi improvvisati. Dalla capacità di Desiato di far sembrare dispari con i suoi fraseggi dall’ accentuazione inconsueta tempi in realtà simmetrici, creando una piacevole tensione crescente e che sfocia poi in momenti di “sfogo sonoro” in cui lo spessore si espande al massimo per poi zittirsi quasi improvvisamente per dare spazio ad uno di quei bei “raccordi” scritti: solenni, sospesi, con attenzione particolare  all’ aspetto armonico e alla raffinatezza delle dinamiche.

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Damiani, Jasevoli e Oltre Project

Paolo Damiani cello

Domenica 26 gennaio alle ore 11.00, il Conservatorio “Santa Cecilia” porta il jazz al Teatro Tor Bella Monaca per “Domeniche in musica”, la rassegna di ventiquattro concerti iniziata con grande  e caloroso successo domenica scorsa.

Protagonista di questo appuntamento è il duo formato dai noti e grandi jazzisti, Paolo Damiani al violoncello e Antonio Iasevoli alla chitarra, entarmbi docenti a “Santa Cecilia”. Il loro duo apre il concerto, per poi lasciare il posto a Oltre Project e infine unirsi a questo quintetto, composto da giovani musicisti formatisi nel dipartimento di jazz, uno dei punti di forza del prestigioso Conservatorio romano: sono Francesca Fusco (voce), Lorenzo Apicella (pianoforte e arrangiamenti), Luigi Tresca (sax soprano), Stefano Battaglia (contrabbasso) e Francesco Merenda (batteria).

Il concerto inizia dunque con Paolo Damiani e Antonio Iasevoli, che suonano alcuni pezzi di cui sono loro stessi autori: Respiri di Tempo di Damiani, Nina di Iasevoli, Tie di Iasevoli, Franci di Iasevoli e In altri luoghi di Damiani. Sono musiche in bilico tra aperta cantabilità mediterranea e nuove sonorità metropolitane, attraverso percorsi che rinviano a un’idea di molteplicità. “Questa pluralità dei linguaggi è garanzia d’una verità non parziale”.

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Claudio Abbado

ABBADO

Certo, con il mondo del jazz nulla aveva a che spartire, ma con quello della musica sì, eccome: ne rappresentava, infatti, una delle espressioni più elevate, una sorta di incarnazione se mi consentite l’espressione.

Sto parlando, ovviamente, del maestro Claudio Abbado morto qualche giorno fa nella sua casa di Bologna a 81 anni. La notizia non è giunta inattesa dato che il maestro da lungo tempo lottava contro la malattia; inoltre venerdì scorso avevo letto all’Auditorium un avviso che la nuova Orchestra Mozart (da lui diretta con straordinaria passione dal 2004) non avrebbe più tenuto i programmati concerti. Insomma i segnali c’erano tutti chiari, inequivocabili a volerli interpretare nel modo giusto… eppure l’annuncio che Abbado non era più tra noi  mi ha colto impreparato, come se davvero una cosa del genere non potesse e non dovesse realmente accadere. E’ invece è accaduta lasciandoci tutti un po’ più poveri.

L’ho scritto tante volte ma mi pare giusto ribadirlo in questa sede. In un periodo di lunga crisi come l’attuale, una delle pochissime realtà di cui andare fieri è quella dell’arte e della musica in particolare, con i nostri straordinari talenti riconosciuti in ogni dove.

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I Palmarès de l’Académie du Jazz in Francia

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Con questo pezzo inizia la sua collaborazione da Parigi il ben noto giornalista e critico musicale Didier Pennequin.

L’accordeonista Vincent Peirani, la vocalist Cécile McLorin Salvant, il bluesman Eric Bibb e il clarinettista Eddie Daniels sono stati i principali artisti destinatari dei premi dell’ « Académie du Jazz en France » per il 2013, presieduta da François Lacharme, nel corso di una simpatica serata svoltasi nel gran foyer del Théâtre de Châtelet a Parigi.

Originario di Nizza, il giovane Vincent Peirani, 34 anni, ha vinto il premio Django Reinhardt, quale « musicista francese » dell’anno. E’ il primo accordeonista, dopo Richard Galliano, a ricevere questo trofeo. Nel 2013, Vincent aveva pubblicato un album importante, “Thrill Box” (ACT). Oltre al suo lavoro in solo, egli collabora con la vocaliste sud-coreana Youn Sun Nah e il batterista svizzero, Daniel Humair.

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Amiri Baraka poeta performer lascia un vuoto incolmabile

Amiri Baraka giovane

Repentina la scomparsa, il 9 gennaio a Newark, di Amiri Baraka. Il settantanovenne poeta afroamericano (narratore, autore teatrale, saggista, critico musicale, editore e attivista politico che molti metaforici orfani lascia) fino all’autunno 2013 conduceva la sua solita esistenza, divisa tra militanza politica, conferenze, performance. In ottobre era stato in Italia: a Milano per “Aperitivo in concerto” e nella capitale per il “Roma Jazz Festival”, dedicato al rapporto tra musica e letteratura. Baraka era apparso un po’ affaticato ma sempre militante e battagliero, con la borsa di cuoio piena di pubblicazioni autoprodotte e la parola che – sul palco e dentro il microfono – si muoveva ritmando come una batteria ed improvvisando come un sassofono.

Davvero sterminata la produzione/azione di Baraka, una galassia, come sottolineava Franco Minganti, curatore con Giorgio Raimondi della caleidoscopica ed eccellente antologia “Amiri Baraka. Ritratto dell’artista in nero” (Bacchilega 2007). Letteratura (poesia, teatro, narrativa, saggistica, spoken word e performance poetry), politica culturale, politica come azione concreta e musica. In essa è oggi, tempo di veloci bilanci post-mortem, importante individuare  il seminale e costante lavoro critico di Amiri Baraka  come il suo essere “un jazzista della parola”.

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