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Franco D'Andrea - foto Andreas Pichler

Effervescente conferenza stampa di presentazione incentrata su Franco D’Andrea il 10 mattina all’auditorium Parco della Musica. Carlo Fuortes (amministratore delegato della fondazione “Musica per Roma”), Roberto Catucci (responsabile dell’etichetta Parco della Musica Records) e soprattutto D’Andrea (proclamato miglior musicista del 2013 dal referendum della rivista “Musica Jazz”) hanno illustrato vari progetti e dialogato con giornalisti ed addetti ai lavori per circa un’ora; c’è stato anche il tempo per una breve esibizione in piano solo nonché per aneddoti e ricordi del musicista meranese, particolarmente comunicativo.

In buona sostanza è stato presentato il doppio Cd “Monk and the Time Machine” (uscita ufficiale 13 gennaio), registrato il 22-23 aprile 2013 al Parco della Musica e realizzato da D’Andrea insieme al suo rodato sextet: Mauro Ottolini, Andrea Ayassot, Daniele D’Agaro, Aldo Mella e Zeno De Rossi. “Monk – ha spiegato il pianista – è arrivato tardi nel mio  immaginario sonoro, negli anni ’80. Prima non l’avevo capito bene; è un musicista emblematico che porta in sé tutte le tracce della storia del jazz, avendo cominciato dallo stride piano. E’ una personalità avventurosa, molto avanti rispetto alla sua epoca, e c’è qualcosa che sempre sfugge. All’interno della sua musica ci sono una serie di mondi che si possono scomporre”. Dopo alcune registrazioni in piano solo, questo è il primo album con formazione allargata da lui dedicato al magistero di Thelonious Monk.

La dinamica celebrazione di Franco D’Andrea si articolerà inoltre, come ha spiegato Fuortes, in una “carta bianca” in tre appuntamenti. Il 28 gennaio (sala Petrassi) il sestetto presenterà l’album ma il pianista ha tenuto a precisare che si partirà dai materiali del Cd per andare altrove, “perché questo è il jazz”. Ha anche fatto dei gustosi ritratti dei suoi musicisti, una formazione nata dall’incontro quasi casuale del trio con D’Agaro al clarinetto e Ottolini al trombone (dedito ad una libera e creativa rilettura del jazz “storico” e al recupero dei suoi timbri e colori) con il quartetto. In questo gruppo (con l’artista Ayassot alle ance, Aldo Mella al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria, che ha preso il posto di Alex Rolle) D’Andrea ha, invece, a lungo sperimentato un linguaggio d’avanguardia, memore della sua elaborazione della serialità (che rimonta al Modern Art Trio) e che ha prodotto nel tempo un’originale e personalissima tecnica di improvvisazione basata sulle aree intervallari. Ad essa sarà dedicata una masterclass al conservatorio di S.Ceciilia (27 gennaio dalle 15 alle 20, 28 dalle 10 alle 13) organizzata insieme alla struttura didattica che nella conferenza stampa era rappresentata dal direttore neoeletto Alfredo Santoloci e dal direttore del dipartimento jazz Paolo Damiani. La masterclass (“Aree intervallari. Il negletto interesse del jazz per la serialità”) sarà tenuta dal pianista insieme al valente musicologo Luca Bragalini; lo spirito – ha chiarito il musicista meranese che ha alle spalle una lunghissima esperienza didattica, da Siena Jazz al conservatorio di Trento – “è quello di restituire ai giovani il molto che ho avuto l’opportunità di imparare e sperimentare nella mia carriera”.

Il 24 marzo, questa volta in Sala Sinopoli, D’Andrea incontra la tromba di Dave Douglas e la batteria “totale” di Han Bennink. “Li ho conosciuti in tempi diversi ed ho constatato che potevano essere compatibili con la mia musica” ed è probabile che il trio faccia davvero scintille, a partire dal percussionista olandese che dovrebbe utilizzare il solo rullante per trasformare in sorgente ritmica qualsiasi oggetto alla sua portata, come da decenni fa.

Terzo ed ultimo appuntamento il 23 maggio (nel raccolto teatro Studio) per un solo piano, pratica che risale ai primi anni ’80 e sorta di pre-laboratorio per quello che diventerà materiale da elaborare nei gruppi. “Durante il piano solo – ha spiegato D’Andrea – mi capitano delle cose, vengon fuori dei motivi che si aggiungono ad altri e poi verranno trasferiti al gruppo. E’ come se andassi in avanscoperta da solo”.

Nel suo intervento Roberto Catucci – produttore dell’etichetta dell’Auditorium – ha sottolineato come D’Andrea sia uno dei più grandi musicisti della scena contemporanea, che ha costruito il proprio linguaggio cercando altrove, dal serialismo alla musica africana. Ha anche annunciato che Mauro Ottolini (il 15 gennaio) e Paolo Damiani (l’8 marzo) saranno protagonisti di altrettanti “recording studio”, concerti che, poi, diventeranno album. Mi permetto di consigliare a Catucci tra i Maestri del jazz italiano che meriterebbero questa opportunità il nome di Bruno Tommaso, tra i più grandi compositori, arrangiatori e didatti europei, purtroppo quasi dimenticato.

Nel corso della conferenza Franco D’Andrea ha voluto rimarcare la gioia di essere di nuovo a Roma, città dove ha vissuto negli anni ’60 e ’70 ed in cui, appena ventiduenne, venne accolto con affetto dalla comunità dei musicisti capitolini, suonando a fianco tanto di Carletto Loffredo che di Steve Lacy. Tra i molti jazzisti di allora ha rammentato Puccio Sboto: “Ho un ricordo bello di Roma, se la mia carriera non fosse cominciata qui non sarebbe stata la stessa”.

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