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I NOSTRI CD

Forse mai come in questo momento il jazz italiano ha potuto vantare una schiera di jazziste di ottimo livello. Molte di queste nuove leve sono delle vocalist ma non mancano le strumentiste sempre di grande personalità. Con queste recensioni Vi presentiamo alcune di queste nuove stelle sottolineando che il panorama offertovi è tutt'altro che esaustivo.

Giulia Barba – The angry st. Bernard” – Blue Serge 054

La sassofonista Giulia Barba è la protagonista assoluta di questo album dal momento che oltre ad esserne l'esecutrice principale ha scritto ed arrangiato tutti gli otto brani presentati. Al suo fianco Gidon Nunes Vaz alla tromba e flicorno, Christian Ferlaino al sax alto, Sri Hanuraga al , Luca Dalpozzo al contrabbasso, Joan Terol Amigò alla batteria e Sanem Kalfa vocale, quindi una sorta di internazionale del jazz in cui spiccano il pianista indonesiano pluripremiato al Java Jazz Festival e la cantante turca vincitrice al Montreux Jazz Festival. Registrato ad Amsterdam nel settembre del 2012, l'album è il frutto dei primi 4 anni di studio in Olanda, dove Giulia Barba, di origine bolognese, si è trasferita nel 2009 proprio per approfondire le sue conoscenze in campo jazzistico. E tali esordi fanno ben sperare dal momento che il CD è stato accolto assai bene sia nel corso dell'anteprima ad Amsterdam il 20 Settembre 2012, sia alla presentazione ufficiale a Stavanger in Norvegia, il 6 Aprile 2013. Ascoltando l'album non possiamo che condividere tali apprezzamenti: il CD appare ben strutturato, omogeneo nelle pur variegate atmosfere che l'animano, con un gruppo che si muove con ottima intesa e degli arrangiamenti che danno a ciascuno la possibilità di mettersi in luce. Così ad esempio, nel brano d'apertura che dà il titolo all'album, possiamo ascoltare un centrato e trascinante assolo del pianista Sri Hanuraga ben sostenuto da Delpozzo e Amigò. Nel secondo pezzo, di impianto completamente diverso, a mettersi in luce sono la vocalist e il batterista mentre in “Fuio” spazio alla convincente tromba di Gidon Nunes Vaz…e così per tutta la durata dell'album. Dal canto suo Giulia Barba si fa ammirare al sax baritono per il sound così scuro e personale, al clarinetto basso per la fluidità dell'eloquio; ma più in generale per il modo in cui riesce a colloquiare con i compagni di viaggio: si ascolti al riguardo “In a drummer's head” in cui duetta con Sri Hanuraga. Da segnalare , infine, la bontà degli arrangiamenti con ottimi impasti timbrici e il buon equilibrio tra scrittura e improvvisazione.

Giorgia Barosso – “Stories yet to tell” – Raffinerie Musicali 018JZ

Quali sono le storie cui si riferisce Giorgia Barosso in questa sua nuova fatica discografica? “Quelle ancora da raccontare…ed è bello poterlo fare con la musica” risponde la stessa Barosso; ma probabilmente sono, anche, le storie che oramai da lunghi decenni ci raccontano gli standard del jazz ovvero le indimenticabili composizioni scritte dai vari Cole Porter, Styne e Cahn, Arlen e Mercer…e via di questo passo. Un patrimonio musicale che il vostro cronista ha esaminato a fondo durante le sue guide all'ascolto presso la Casa del Jazz e che hanno raccolto un grande consenso da parte del pubblico. Eppure è sempre più aspra la polemica alimentata soprattutto da chi ritiene che oggi ripresentare gli standard sia operazione inutile se non dannosa. Per cui ci vuole un particolare coraggio a presentarsi al pubblico e alla critica con un disco basato su pezzi incisi letteralmente centinaia di volte alternati con degli original. Giorgia lo ha fatto e solo per questo si guadagna una nota di merito… ma ovviamente c'è dell'altro. C'è un gruppo straordinario costituito da Fabrizio Bosso alla tromba, Riccardo Bianchi alle chitarre, Mario Zara al pianoforte & Rhodes, Marco Antonio Ricci al contrabbasso e Michele Salgarello alla batteria; ci sono gli original firmati Barosso-Zara (quest'ultimo responsabile anche degli arrangiamenti) e c'è la bella voce della vocalist, che si muove con grande padronanza all'interno di un repertorio, come si accennava, assai impegnativo affrontato in modo differenziato. Un esempio per tutti: la versione funky del brano d'apertura “Love for sale”; il pezzo è stato inciso letteralmente centinaia di volte e da voci femminili tra le più prestigiose come Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Anita O'Day, Dinah Washington, Dianne Reeves e Dee Dee Bridgewater. Per una cantante, quindi, l'idea di riproporlo è, se possibile, ancora più ardua. Giorgia Barosso e i suoi compagni affrontano la prova con coraggio ed evitano qualsivoglia paragone fornendo un'interpretazione del tutto personale: la Barosso dialoga prima con il pianoforte e poi con la tromba di Fabrizio Bosso, che si produce in uno dei suoi magnifici assolo.

Claudia Cantisani – “Storie d'amore non troppo riuscite” – Crocevia di Suoni Records CDS008

Autrice di canzoni fin dal 2007, Claudia Cantisani vanta una formazione classica che culmina nel 2009 col diploma in canto lirico. Dopo un primo esperimento discografico autoprodotto, ci presenta questo “Storie d'amore non troppo riuscite” che può essere considerato il suo album d'esordio, album per cui può contare su una presentazione di lusso da parte di colei che viene ancora considerata la miglior cantante jazz italiana e una delle migliori vocalist europee, Tiziana Ghiglioni. Afferma Tiziana che “Claudia Cantisani, con lucida ironia, propone un repertorio di canzoni accattivanti, impreziosite dagli arrangiamenti in stile swing, magistralmente eseguiti da un gruppo di musicisti di chiara fama”. Quali questi musicisti? Felice Del Vecchio al pianoforte (responsabile anche degli arrangiamenti), l'ottimo Pietro Condorelli alla chitarra, l'eccellente Massimo Moriconi al contrabbasso, il ben noto Massimo Manzi alla batteria, il bravo Massimo Morganti al trombone, il sempre positivo Felice Clemente ai sax tenore e soprano e al clarinetto. Nove i brani presentati, tutti originali firmati dalla stessa Cantisani e da Felice Del Vecchio, brani porti con grazia ed originalità dalla vocalist che avendo studiato al CET di Mogol ed essendosi fatta conoscere anche a Castrocaro, si dice ispirata dallo swing di Sergio Caputo. Ed in effetti nello stile di Claudia si avverte qualcosa del cantautore di “Un Sabato Italiano”: la stessa carica di ironia, il modo scanzonato di affrontare alcune tematiche non necessariamente leggere, una poetica delicatamente dissacrante ed il tono con cui viene proposta – aggiunge ancora Tiziana Ghiglioni – perfettamente in linea con gli intenti espressivi. Insomma un disco ben concepito, divertente, spiritoso… peccato che il vostro cronista da un “BUON” disco di jazz pretenda qualcosina di più.

Erika Dagnino Quartet – “Signs” – Slam 546

Ancora un album del quartetto della poetessa Erika Dagnino completato da Ras Moshe al flauto, sax tenore e sax soprano, Ken Filiano al contrabbasso ed effetti sonori, John Pietaro vibrafono e vari strumenti a percussione. In questa stessa sede ci siamo già occupati di Erika Dagnino sottolineando come nei suoi album i versi e le note si incontrano in un intreccio che dà risalto ad ambedue le arti. Anche perché, come fa acutamente osservare nelle note di copertina, Marco Buttafuoco, “il rapporto fra suono, voce e parola (non solo cantata) è centrale nella storia del jazz”. Eppure, sottolinea ancora Buttafuoco, “Il jazz del Vecchio Continente che pure ha meriti enormi nell'opera di rinnovamento della musica improvvisata, ha approfondito poco questo tema fascinoso”. Ebbene, in questo specifico ambito la Dagnino ricopre un ruolo di assoluta centralità in quanto nella sua forma espressiva è sempre stata originale, se volete dura, in certo senso aggressiva, cercando quel conflitto sonoro che molti suoi colleghi scientemente evitavano. Di qui alcuni album caratterizzati da grande ritmo, inventiva, gioia improvvisativa, freschezza, brillantezza, un senso di libertà che si riscontrava tanto nei versi quanto nella musica. Ecco, tutte queste caratteristiche sono presenti anche in quest'ultimo album, ma è come se apparissero un po' appannate…in buona sostanza è come se si avvertisse una certa sensazione di stanchezza, di deja vu … tanto che alle volte si ha l'impressione di fare un balzo nel passato e di ritornare a quegli anni in cui si cominciava a sperimentare, con alterni risultati, questo particolare tipo di connubio.

Lorena Fontana – “A Vision” – Videoradio 000837

Progetto ambizioso ma ben riuscito questo della vocalist Lorena Fontana che, al suo quinto album da leader, ha voluto realizzarlo negli Stati Uniti con musicisti di sicuro talento quali Mitchel Forman pianista già celebre grazie anche alle collaborazioni con Wayne Shorter; Michael Rosen sassofonista ben noto al pubblico italiano per aver suonato accanto a Stefano Bollani, Enrico Rava, Paolo Fresu, Roberto Gatto, Danilo Rea; Edwin Livingston contrabbassista ascoltato accanto a mostri sacri quali Elvin Jones, Stanley Jordan, Bob Mintzer, Peter Erskine, e Ralph Humphrey batterista di indiscusso valore come testimoniano le sue collaborazioni con, tra gli altri, Frank Zappa, George Duke, Al Jarreau. Oltre all'accurata scelta dei musicisti, Lorena ha posto una particolare attenzione al repertorio da lei stessa arrangiato con originalità: di qui la composizione di cinque original appositamente per questo progetto cui ha affiancato pezzi di Jobim, Djavan, Cedar Walton e Violeta Parra. E proprio con l'indimenticabile “Gracias a la vida” di quest'ultima, Fontana apre il disco come a voler immediatamente introdurre l'ascoltatore in una certa atmosfera intrisa di quell'intenso lirismo che costituisce, a nostro avviso, la dote migliore della vocalist. Comunque Lorena appare più che positiva in ogni brano: il suo scat è degno delle migliori tradizioni jazzistiche così come l'irruenza con cui affronta “The Maestro” di Cedar Walton o la delicatezza del suo “A vision” sottolineata anche dall'accordion di Mitchel Forman. Un'ultima notazione: le perfetta pronuncia inglese cosa che potrebbe sembrare scontata…ma che purtroppo non lo è.

Elisabetta Guido – “Let your voice dance” – koiné kne020

Un gruppo di ottimi musicisti al servizio di Elisabetta Guido, poliedrica artista salentina che spazia, sempre con pertinenza, dal jazz, al soul, dal gospel al repertorio lirico, docente e pianista, cantante e direttrice di coro, autrice di musiche e testi nonché arrangiatrice di buone capacità. Ecco, almeno parte di queste doti la Guido riesce ad evidenziarle nel CD dato che, ad esempio ha scritto la musica di un pezzo, con liriche di Maurizio D'Anna -“Sueño”- e le liriche di due brani – “Equilibrista” e “Un'altalena sopra un prato” – con musiche rispettivamente di Alfredo Impullitti e Paolo Di Sabatino. Ebbene in ambedue le vesti la Guido evidenzia doti di eccellente musicalità non disgiunte da una certa originalità. Quella stessa originalità che sta alla base del disco fortemente voluto dalla Guido per due ordini di motivi: innanzitutto – confessa la vocalist – quello di essere parte di una dream band “con alcuni dei miei musicisti preferiti” e in secondo luogo dar vita ad un progetto “corale, in cui cioè la voce non fosse in evidenza, come solitamente avviene, ma avesse una sonorità tale da mescolarsi ed amalgamarsi con gli strumenti”. Obiettivo raggiunto? Francamente direi di sì e per merito non solo della Guido ma anche del gran lavoro svolto da Mauro Campobasso nelle molteplici vesti di arrangiatore, direttore musicale e chitarrista.. per non parlare dell'eccellente contributo di tutti i solisti che si sono posti al servizio di cantante e arrangiatore nella maniera più completa possibile. Si ascolti, al riguardo, gli assolo di Ottaviano (sax), Tamburini (tromba) e Signorile in “El desayuno de los gauchos” o gli interventi del pianista Paolo di Sabatino in “Equilibrista” e “Un'altalena sopra un prato”. Nell'album figurano anche due cover, “Fronteras” di Roberto Darwin e “Tango” di Ryuichi Sakamoto impreziositi rispettivamente dagli assolo di Javier Girotto e Raffaele Casarano l'uno, e ancora di Girotto e Marco Signorile l'altro.

Gianna Montecalvo – “While we're young. Tribute to Alec Wilder” – Dodicilune Ed302

Alla corte della Dodicilune ancora una vocalist affiancata da un gruppo di eccellenti solisti quali Roberto Ottaviano al sax soprano, Carlo Morena al piano, Yuri Goloubev al basso e Michele Salgarello alla batteria. L'album si iscrive nella categoria dei “Tributi a…” ma lo fa con una particolarità: il destinatario della dedica è un autore del novecento americano quasi del tutto dimenticato nonostante gli indubbi meriti, Alec Wilder. Contemporaneo di George Gershwin e Cole Porter, Alec Wilder ha ottenuto un successo infinitamente inferiore rispetto alla qualità della sua musica, qualità da sempre riconosciuta dai musicisti, soprattutto quelli di jazz. Non a caso sue composizioni sono state incise, tra l'altro, da Keith Jarrett, Helen Merrill, Nat King Cole, Meredith D'Ambrosio, Ben Sidran… e tra gli italiani da Tiziana Ghiglioni, Carlo Magni, Michele Franzini. Ora tocca a Gianna Montecalvo misurarsi con un repertorio tutt'altro che semplice e i risultati sono pari all'impegno. In effetti la vocalist mostra, innanzitutto, una bella aderenza al testo facendone risaltare ogni piega espressiva; di qui un'interpretazione molto personale, con una voce ben calibrata, giocata sostanzialmente sul registro medio senza trascurare escursioni sul registro medio-alto, con uno scat mai abusato, ottimamente supportata dai compagni d'avventura. Ed in questo quadro non si può non citare ancora una volta colui che personalmente considero oramai da anni uno dei migliori sassofonisti a livello europeo, Roberto Ottaviano; lo si ascolti con attenzione come, con pochissime note, già dalle prime batture del brano d'apertura (title track) disegna tutta un'atmosfera che successivamente verrà ripresa dall'intero gruppo, vocalist compresa; particolarmente interessante l'assolo in “I'll be around” dove Roberto evidenzia di aver ottimamente introitato la lezione di Steve Lacy…insomma non si esagera affermando che i suoi interventi solistici illuminano l'intero album. Perfettamente aderente al progetto il pianismo di Carlo Morena mentre Yuri Goloubev e Michele Salgarello danno vita ad un tappeto armonico-ritmico di fine tessitura.

– “Plankton” – Jazzwerkstatt 141

In questa rubrica abbiamo già ospitato questa eccellente sassofonista che si ripresenta in veste di baritonista, cantante, bandleader e compositrice in questo primo album registrato per l'etichetta tedesca Jazzwerkstatt. Helga conferma tutto ciò che di buono si era ascoltato nei suoi precedenti album evidenziando una musicalità che risalta evidente anche in un contesto diverso; in effetti questa volta la jazzista guida un sestetto internazionale completato da Michael Lösch all'organo , Matthias Schriefl dall'Algovia alla tromba, Gerhard Gschlössl al trombone nonché due rappresentanti del jazz italiano, per la precisione veronese, Enrico Terragnoli alla chitarra e Nelide Bandello alla batteria. La musica appare tutta ben strutturata sia nei brani originali scritti da Michael Lösch (un pezzo), sia dalla leader (sei brani) sia nelle due composizioni già note vale a dire “Comes love” (di Lew Brown, Charles Tobias, Sam H. Stept) e “They can't take that away from me” di Gershwin in cui Helga esibisce la sua non comune vocalità. Il gruppo si muove con sicurezza ben guidato dalla Plankensteiner che mostra di conoscere bene i diversi stili attraverso cui si articola il jazz. Così, ad esempio, in “The never Ending Blues” attraverso lo splendido assolo del sax baritono e i cambi di atmosfera possiamo ascoltare l'influenza di Mingus e di Ellington ; in “No ballad no crime” prevale, nella parte finale, un clima africaneggiante mentre in “Tangomatango” si respira un'atmosfera latina; infine nei pezzi cantati Helga si rifà ad atmosfere del passato grazie alle sonorità del pianoforte e soprattutto del banjo. E al riguardo risalta un'altra straordinaria valenza del gruppo, e cioè quella di sapersi esprimere alle volte come una sorta di big-band (si ascolti “Loo” un sentito omaggio a Lew Soloff con cui Helga ha collaborato nella band di Carla Bley), altre volte come un complesso dixieland d'altri tempi. Insomma un album ricco di piacevoli sorprese.

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  1. Giulia Barba – The angry st. Bernard”
  2. Giorgia Barosso – “Stories yet to tell”
  3. Claudia Cantisani – “Storie d’amore non troppo riuscite”
  4. Erika Dagnino Quartet – “Signs”
  5. Lorena Fontana – “A Vision”
  6. Elisabetta Guido – “Let your voice dance”
  7. Gianna Montecalvo – “While we’re young. Tribute to Alec Wilder”
  8. Helga Plankensteiner – “Plankton”
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