Enrico Rava e Andrea Pozza Duo a Napoli sabato 29 marzo, per la rassegna “I Colori del Jazz”

Tromba e pianoforte: una formula quasi minimale, per valorizzare al massimo il lirismo della tromba di Enrico Rava, ed il perfetto “senso del tempo” di Andrea Pozza, un musicista che i più grandi jazzisti internazionali hanno ripetutamente lodato per le straordinaria preparazione e il suo innato senso dello “swing”. Il duo sarà di scena sabato 29 marzo, ultimo appuntamento della terza edizione della rassegna “I Colori del Jazz” all’Auditorium Salvo D’Acquisto di Napoli (Via R. Morghen 60 – Ore 21.30).

Andrea Pozza, attualmente tra i pianisti più richiesti a livello europeo ed Enrico Rava, tra i nomi più noti del panorama jazzistico internazionale, si conoscono musicalmente da sempre. Pozza, per cinque anni, ha fatto parte del quintetto di Rava (dal 2004 al 2008) con il quale si è esibito in tutto il mondo. “Andrea Pozza è un musicista molto speciale. – afferma Enrico Rava – Non parla molto di sé, non inonda la scena di dischi, non è esibizionista. Andrea Pozza si limita a suonare. E come suona!”. Due i cd realizzati assieme, il primo nel 2003 “Andrea Pozza meets Gianni Basso feat. Enrico Rava – Making ’whoopee” (Philology, 2003) e il secondo intitolato “The Words And The Days” con l’Enrico Rava Quintet (ECM, 2005).

«Non era facile sostituire Stefano (Bollani) nel quintetto. – racconta Enrico Rava nel suo ultimo libro intitolato “Incontri con musicisti straordinari” edito da Feltrinelli nel 2011 – Mi venne un’idea che, pur suscitando lì per lì non poche perplessità, alla fine si rivelò vincente. Andrea Pozza, jazzista puro. Fraseggio impeccabile, grande swing, ma poco avvezzo ad aperture come quelle che caratterizzano la mia musica. Fin dal primo concerto ci si rese conto che avevo ragione io. Un anno dopo registravamo a Udine The Words and the Days, in cui gli interventi di Andrea Pozza sono tra le cose più belle di un disco riuscitissimo. Continuavamo a lavorare molto. Festival in Belgio, Olanda, Francia, Argentina, Brasile, Canada e ovviamente Italia. Una settimana memorabile al Blue Note di Tokyo: il paradiso del musicista. […]».

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D’Andrea, Douglas e Bennink semplicemente… incantano

Han Bennink

Han Bennink

Un pianoforte, una tromba, un rullante. E dietro  a questi strumenti tre grandi uomini di jazz: Franco D’Andrea, Dave Douglas e Han Bennink. Un trio inedito che per la prima volta si presenta davanti un pubblico, attento ed entusiasta, anche se non sufficientemente numeroso. La Roma amante del jazz e dell’improvvisazione si mostra poco ricettiva nei confronti di un evento che sin dalle sue premesse appariva molto promettente e che a consuntivo ha certamente superato le aspettative. Così il secondo appuntamento con la rassegna Carta Bianca, dedicata quest’anno a Franco D’Andrea, è divenuto nei fatti un concerto per pochi intimi dispersi nell’ampiezza della sala Sinopoli.

In apertura di serata, prima che il trio appaia sul palcoscenico, sono stati fatti ascoltare due remix basati su composizioni del pianista di Merano, opera di due DJ vincitori di un concorso indetto dall’Auditorium Parco della Musica. Poi, D’Andrea, Douglas e Bennink hanno cominciato la loro esibizione, ma sarebbe meglio dire che è iniziato l’incontro tra le loro diverse personalità. Introversa e introspettiva quella di D’Andrea, curiosa e ricettiva quella di Douglas, estroversa e anticonformista quella di Bennink. Le loro indoli si riflettono nell’approccio allo strumento. Se D’Andrea, sembra sprofondare nel pianoforte, con la mano destra a disegnare splendide e inusuali figure musicali e la sinistra a giocare con implacabile e feroce determinazione sulle chiavi dei registri bassi, Douglas sembra esplorare ogni possibilità espressiva del suo strumento, ricorrendo anche a tecniche non ortodosse per estrarre dalla tromba il suono desiderato. Bennink, a settantadue anni compiuti, continua  a sembrare un alieno sceso in terra. Il suo swing ha un’efficacia terrificante e il rullante, che per tutta la serata sarà il suo unico strumento, viene percosso dalle bacchette, accarezzato dalle spazzole, battuto dalle mani nude e successivamente colpito dal tallone dal piede dell’olandese, nonché schiaffeggiato da un canavaccio di cotone da cucina. Bennink è l’uomo del ritmo ma non è esatto dire che il rullante sia il suo unico strumento. A questo dovremmo aggiungere, per completezza d’informazione, le gambe metalliche della sedia su cui è seduto (proprio la sedia di casa fu il suo primo “strumento” che imparò a suonare quando era bambino), il pavimento in legno del palcoscenico e qualsiasi cosa che l’olandese ritenga possa produrre un suono dopo essere stato percosso.

Marco Giorgi
www.red-ki.com

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